Le comunità energetiche rinnovabili non sembrano aver ancora trovato un ruolo definito. Il modello italiano si incentra sugli incentivi pubblici, ma non sembra capace di creare un mercato locale dell’elettricità. Anche per questo i numeri restano bassi.
Autore: Daniela Pappadà

Daniela Pappadà è ricercatrice in Diritto Privato Comparato presso l'Università degli studi di Cagliari. Dopo la laurea in Giurisprudenza, ha conseguito il dottorato di ricerca in diritto privato comparato e diritto privato dell'Unione Europea presso l'Università degli studi di Macerata.
Territorio limitato e senso di appartenenza alla comunità degli abitanti fanno delle piccole isole italiane un laboratorio ideale per la sperimentazione delle comunità energetiche rinnovabili. Ma ostacoli di varia natura bloccano l’espansione.
Le Zone logistiche speciali hanno finalmente trovato una definizione di legge. Il modello è la prima versione delle ormai cancellate Zone economiche speciali. Il ruolo delle regioni e il rischio che fra tante incertezze le imprese rinuncino a investire.
Le comunità energetiche rinnovabili sono cruciali per la decarbonizzazione, decentralizzazione e digitalizzazione del settore energia. Il loro profilo fiscale, però, non è ancora del tutto definito. Una risposta dell’Agenzia delle entrate aiuta a orientarsi.
Il Gse ha pubblicato le sue proposte di regole operative per l’adesione alle comunità energetiche rinnovabili. Tre le questioni cruciali: individuazione del soggetto referente, definizione dei poteri di controllo e disponibilità dell’impianto di produzione.
Secondo la normativa europea, le Cer dovrebbero fornire benefici ambientali, economici e sociali alle comunità, condividendo energia autoprodotta. Per avere successo hanno bisogno di regole chiare e organiche. Proprio quello che in Italia manca.