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Autore: Francesco Daveri Pagina 17 di 28

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È stato Professor of Macroeconomic Practice alla School of Management dell'Università Bocconi, dove insegnava Macroeconomics, Global Scenarios ed è stato direttore del Full-Time MBA. Ha insegnato in varie università come l’Università Cattolica (sede di Piacenza), Parma, Brescia, Monaco e Lugano. Ha svolto attività di consulenza presso il Ministero dell’Economia, la World Bank, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo. Le sue ricerche si sono concentrate sulla relazione tra le riforme economiche, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Ha collaborato con il Corriere della Sera e ha fatto parte del comitato di redazione de lavoce.info, di cui è stato Managing editor dal 2014 al 2020. Scomparso il 29 dicembre 2021.

Crescere si può

Come può tornare a crescere un paese vecchio, ricco, densamente popolato e con un sistema industriale fondato sulla piccola impresa? Lo spiega Francesco Daveri, intervistato da Sergio Levi, nel nuovo libro della serie de lavoce.info in collaborazione con Il Mulino: “Crescere si può”. Ne pubblichiamo un estratto. 

Una recessione che si attenua ma non finisce

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La politica per le imprese

La misura più importante a sostegno delle imprese esistenti è l’Ace, con un incentivo fiscale al rafforzamento della struttura patrimoniale delle aziende. Per le start-up innovative sono previste deroghe al diritto societario e di carattere fiscale e contributivo. Il doppio effetto della svalutazione fiscale. 

Il Pil delle Olimpiadi

La recessione è finita, per ora, nel Regno Unito. Merito delle Olimpiadi di agosto. I dati inglesi non possono però essere una valida ragione di rammarico per la rinuncia al progetto Roma 2020. Ai tempi di Italia ’90 nel nostro paese non ci fu nessuna accelerazione nell’andamento del Pil. E di quell’evento non rimane nessuna traccia positiva nei dati di contabilità nazionale. La spesa pubblica in infrastrutture e grandi opere non accelera la crescita nello stesso modo in tutti i paesi.

Gracili germogli di ripresa autunnale

Dopo mesi di numeri negativi, dai dati di luglio e agosto su fatturati e ordini è finalmente arrivata qualche buona notizia per l’economia. Ma è difficile che i gracili germogli di ripresa si trasformino in una ripresa duratura. L’economia mondiale che ha finora aiutato gli esportatori sta rallentando. Sul mercato interno pesa la stretta fiscale e sul paniere della spesa degli italiani pesa la mancanza delle liberalizzazioni.

Italia 2012: la gelata di ferragosto

Un Ferragosto di gelo è calato sull’economia italiana. La recessione non diminuisce di intensità e la produzione industriale continua a perdere terreno. Per tre ragioni: peggioramento dello scenario internazionale, crisi dell’euro e aggiustamento fiscale incompleto. La probabilità che la recessione 2012 sia peggiore di quella del 1993 è cresciuta rispetto a qualche mese fa.

Il Pil 2012 tra Squinzi, Monti E Visco

La Confindustria e il governo hanno idee molto diverse sulla crescita 2012. I dati sulla produzione industriale indicano che l’associazione degli imprenditori è troppo pessimista e che l’esecutivo è troppo ottimista. Ad oggi, una stima di -2 per cento per il 2012, indicata dalla Banca d’Italia, è la più coerente con le informazioni disponibili. L’aumento del deficit 2012 potrebbe essere così di pochi decimi di punto percentuale. E probabilmente non sarebbe necessaria una manovra aggiuntiva.

I problemi reali dell’unione monetaria in Europa

Le slides della presentazione che il Professor Daveri ha tenuto il 4 luglio 2012 all’Università Cattolica, in occasione del Convegno per il decennale de Lavoce.info. Scarica il pdf in allegato.

LA RISPOSTA A GILBERTO TURATI E AI COMMENTI

La Germania non è necessariamente il benchmark del virtuosismo fiscale. Ma è certamente il paese che con la sua reputazione di rigore e anti-inflazione ha consentito che, nel contesto di abbondanza di credito dell’epoca, l’euro portasse ad una riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico di tutti in Europa, anche di quello italiano. Dato questo punto di partenza, si può capire che i tedeschi siano attenti a come sia stato usato questo bonus dai vari paesi. All’inizio gli era stato raccontato che gli “altri” paesi – quelli che avevano vissuto di svalutazioni – con l’euro avrebbero fatto “le riforme” per guadagnare competitività. Invece, gli “altri” si sono consumati il bonus dell’euro senza fare le riforme, mentre in Germania il cancelliere Schroeder le riforme le ha fatte (e la signora Merkel ne ha beneficiato). Per questo la Germania oggi è un benchmark.
Turati e vari lettori parlano di spesa sanitaria pro-capite e di come i livelli della spesa pro-capite siano più alti in Germania che altrove. Non sta scritto da nessuna parte che tutti i paesi debbano avere lo stesso livello di spesa sanitaria pro-capite: dipende dai gusti, dalle istituzioni e anche dalle possibilità dei vari paesi. Peraltro per il bilancio pubblico conta disgraziatamente la spesa totale, non quella pro-capite. E in questo periodo di tempo, in Germania, la spesa pubblica totale è aumentata molto meno che negli altri paesi europei. Ho scritto un precedente articolo sull’argomento. Lo si può interpretare come si vuole, ma è un dato. E’ anche per questo dato che in Italia da mesi si parla della “spending review”. A me pare ovvio che questa spending review debba portare ad una riduzione della spesa pubblica, non a qualche pudico eufemismo come “riqualificazione”, “redistribuzione” e simili.
Ci sono poi alcune voci della spesa che sono aumentate più di altre e che sono anche quantitativamente più importanti di altre. I dati Eurostat dicono che, “con l’euro” (dal 2001 al 2010), la spesa totale a prezzi correnti è aumentata del 30,6 per cento in Italia. Guardando alle varie voci di spesa, si vede che la voce di spesa aumentata di più rispetto al 2001 è quella per la difesa (+ 55 per cento; da 14 a 22 miliardi). Poi viene la spesa sanitaria con +50,6 per cento (da 72 a 118 miliardi). Poi vengono le spese sociali (+46 per cento, da 208 a 317 miliardi) il cui andamento ha certamente risentito degli aumenti di spesa semi-automatici indotti dalla crisi. Tutte le altre voci di spesa pubblica sono aumentate molto meno dell’incremento medio del 30,6 per cento.
La spesa sanitaria è dunque una delle voci che è aumentata di più in Italia, il che motiva l’attenzione dedicata al tema da me e – leggo – dal governo. Ci sono varie ragioni per questo, da me sinteticamente elencate nel mio pezzo. Non siamo il paese in cui la spesa sanitaria è aumentata di più, ma anche da noi è aumentata molto più che in Germania. Inoltre, guardare all’andamento della spesa sanitaria è un test utile perché la spesa sanitaria non dipende dal ciclo ed è potenzialmente soggetta a shock simili tra paesi. Vuol dire che la spesa sanitaria dovrebbe andare in modo relativamente simile tra paesi demograficamente, socialmente e tecnologicamente simili come i paesi europei. E invece i dati di spesa indicano differenze molto grandi, il che deve farci riflettere, a mio avviso.
Infine, una volta stabilito questo punto, non ne consegue che si debbano fare tagli lineari (anzi!); del resto, non ho scritto ciò né in questo né in articoli precedenti (anzi!). Occorre guardare dentro alle varie voci di spesa, compresa quella spesa sanitaria, delle varie regioni e dei vari enti pubblici, stabilire da dove vengono gli sprechi e le ruberie che – leggendo i giornali ancora prima delle statistiche – pare abbondino, al Nord e al Sud, per ridurre la spesa pubblica complessiva.

I DATI PER UNA SPENDING REVIEW SANITARIA IN EUROPA

Chi si oppone all’austerità fiscale sostiene che l’aumento della spesa pubblica e l’accumulo dei debiti pubblici successivi sono il risultato e non la causa della crisi attuale. Può allora essere utile guardare i dati di spesa per la sanità pubblica, che non dipende dalla crisi, ma da vari altri fattori, demografici in primo luogo. Questa spesa è aumentata in media del 50 per cento nell’area euro e solo del 26 per cento in Germania.. L’Italia ha fatto meglio di molti altri paesi, ma comunque peggio dei tedeschi. Un elemento di riflessione per la spending review europea e italiana in corso.

Da quando c’è  l’euro, la spesa pubblica è letteralmente esplosa in tutti i paesi dell’euro zona tranne che in Germania. In alcuni casi (Spagna, Irlanda)  l’esplosione è avvenuta insieme con e a causa della grande recessione 2008-09 che ha prodotto la necessità di salvataggi bancari, sussidi di disoccupazione, assistenza sociale ai nuovi poveri. E infatti chi si oppone all’austerità fiscale – il Nobel Paul Krugman, l’editor economico del Financial Times Martin Wolfe e molti economisti italiani – sostiene con qualche ragione che l’umento della spesa pubblica e l’accumulo dei debiti pubblici successivi sono il risultato piuttosto che la causa della crisi attuale.

LA SPESA PER LA SALUTE NON DIPENDE DALLA CRISI

C’ è però una voce della spesa pubblica che dovrebbe essere relativamente indipendente dalla crisi dell’economia: si tratta della spesa sanitaria. La sua evoluzione è infatti il risultato di vari fattori: prima di tutto della demografia, del prezzo dei farmaci e del costo della tecnologia necessaria per erogare i servizi sanitari oltre che dell’organizzazione del lavoro in campo sanitario e delle legislazioni nazionali. La crisi con la spesa sanitaria non c’entra. Guardare a ciò che è successo alla spesa sanitaria è dunque utile per capire in che senso e quali paesi dell’eurozona – esposti più o meno a simili trend di invecchiamento della popolazione e al progresso tecnologico in campo farmaceutico e medicale – sono stati un po’ troppo generosi con le loro spese. I dati rappresentano utili elementi per la spending review europea (e italiana) oggi in corso. E i dati sulla spesa sanitaria parlano chiaro. Come si vede nelle figure 1 e 2, i numeri per la sanità tendono a riprodurre i trend della spesa complessiva. Dal 2001 fino al 2010, la spesa sanitaria nell’eurozona è aumentata del 51 per cento in euro correnti, corrispondenti a un aumento di poco più di un punto in percentuale sul Pil. Nello stesso periodo di tempo, la spesa sanitaria tedesca è aumentata solo del 26 per cento (+0,5 in percentuale sul Pil tedesco: dal 6,7 al 7,2 per cento). Nel resto dell’eurozona senza la Germania, la spesa sanitaria è invece aumentata del 64 per cento (+1,3 per cento sul Pil degli altri 16 paesi, dal 6,3 al 7,6 per cento). Nei paesi oggi sull’orlo del default, la spesa sanitaria è aumentata del 128 per cento in Grecia (+2,4 in percentuale sul Pil), del 96 per cento in Spagna (+1,4 in percentuale sul Pil), dell’83 per cento in Irlanda (+2,3 sul Pil) e solo del 40 per cento in Portogallo (+0,6 sul Pìl). In Francia la spesa è aumentata del 42 per cento, cioè di poco meno di un punto in percentuale rispetto al Pil.

LO SPAZIO PER I TAGLI DELLA SPENDING REVIEW

E in Italia? La spesa sanitaria italiana, oggi al centro dell’’attenzione della spending review del governo, è aumentata meno che nell’’eurozona ma due volte più che in Germania, con un aumento del 50 per cento dal 2001, salendo dal 6,3 al 7,6 per cento del Pil (cioè di 1,3 punti). Tutto ciò mentre la frazione di persone anziane (sopra i 65 anni) in Italia e Germania è la stessa: 21 per cento del totale. Non c’’è dubbio che dieci anni fa, in Italia e nel resto dell’’Europa, la spesa pubblica sanitaria fosse più bassa che in Germania. Ma la crescita della spesa sanitaria degli ultimi dieci anni in presenza di simili shock demografici e tecnologici è un dato difficile da smentire. Buon lavoro, commissario Bondi.

Figura 1: Crescita della spesa sanitaria (in euro correnti) nei paesi europei, punti percentuali

Figura 2: Aumento della spesa sanitaria nei paesi europei (in percentuale sul Pil)

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