Un ordine del giorno della Camera punta a differenziare i salari in base al loro potere d’acquisto, almeno nel pubblico. La proposta non è esente da critiche. Ma potrebbe essere un punto di partenza per adeguare il reddito alle esigenze di consumo.
Autore: Gabriele Serafini
Professore associato di Storia del pensiero economico presso l’Università degli Studi Niccolò Cusano, dove è Direttore del CESDE (Centro studi per l’analisi delle dinamiche economiche). È Professor in History of Economics presso lo Xenophon College London, UK, ed è stato Preside della Facoltà di Business and Management della NCI University in London (UK). È autore di monografie e articoli scientifici in materia di imprenditorialità e teorie del valore.
L’accordo europeo sul salario minimo ripropone il tema della riduzione delle disuguaglianze. Meglio sarebbe, però, diminuire il carico fiscale sui redditi più bassi. Si eviterebbe una rincorsa prezzi-salari e si chiarirebbero le responsabilità politiche.
Per ottenere un aumento dei compensi più bassi, il salario minimo legale non è lo strumento adatto. Si dovrebbe invece intervenire sull’Irpef. Il taglio per i lavoratori a basso reddito ricadrebbe sulla fiscalità generale, dunque sui redditi più alti.