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Autore: Gianni De Fraja Pagina 6 di 7

GDF2015Ha conseguito il dottorato a Siena nel 1987 e il DPhil a Oxford nel 1990; è attualmente professore ordinario di Economia a tempo parziale presso l’Università di Roma “Tor Vergata” e presso l’University of Nottingham ed è Research Fellow al Cepr. In passato è stato professore ordinario a York e a Leicester, e visiting scholar a Tokyo, Bonn, e Barcellona. La sua recente ricerca si è soffermata sulle aree dell’economia dell’istruzione, economia del lavoro, economia industriale, coprendo sia aspetti teorici, sia applicazioni empiriche. La sua attività di ricerca si è concentrata sulla pubblicazione di articoli accademici in riviste internazionali. È stato direttore di dipartimento a Leicester, e co-ordinatore del dottorato a York, Leicester e Nottingham, e membro del GEV13 per la VQR 2016.

Brexit: un messaggio semplice, dunque efficace

Nel Regno Unito non decolla il dibattito in vista del voto sulla permanenza o meno nell’Unione Europea. Se la campagna a favore dell’uscita si fonda su argomenti semplici, che fanno appello allo sciovinismo britannico, l’elenco dei vantaggi di rimanere nella Ue non scalda il cuore dei cittadini.

Se gli economisti fanno i conti con la Brexit

La Brexit e lo spauracchio della burocrazia per elettori confusi

Cronache dall’Inghilterra profonda

Il risultato del referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, in programma il 23 giugno, è molto imprevedibile: c’è un vero rischio che la campagna pro-Brexit, incentrata sulla semplice idea che la burocratizzazione della società britannica sia causata dall’Ue, possa convincere molti elettori che non vedono chiaramente i benefici della permanenza né intendono seguire le confuse indicazioni dei partiti.
Sabato mattina, dal macellaio a far la spesa. La piazza di una piccola market town, nella parte più rurale dell’Inghilterra. Bella, ma sconosciuta ai turisti italiani, che l’attraversano nel viaggio da Londra alla Scozia, con tappa magari a York. Una nonna con due nipotine in coda dopo di me vede il camioncino della campagna elettorale per la Brexit e spiega loro che anche lei e il nonno sono per l’uscita dall’Europa. Perché, chiedo semi-serio, e mi risponde che lei è stufa di dover ubbidire a Bruxelles. Non le chiedo, perché sarebbe fiato sprecato, quand’è stata l’ultima volta che lei personalmente ha dovuto ubbidire a Bruxelles. Né le faccio notare che suo marito o suo figlio o il fratello o il genero e molti dei suoi conoscenti, come agricoltori locali, hanno certamente ricevuto in sussidi europei legati alla Politica agricola comunitaria molto più di quanto abbiano pagato in tasse addizionali. I diretti interessati sanno bene che l’agricoltura è uno dei settori dell’economia britannica che più di altri riceve sussidi diretti dall’Europa. Non è un caso che l’associazione nazionale degli agricoltori, ultra sciovinista e ultra regressiva, non è certo pro-Brexit. Nemmeno è un caso che il deputato locale, astrologo e omeopata, lontano anni luce dall’immagine tory-progressista che David Cameron cerca di proiettare, non abbia ancora preso posizione sul referendum.
Nel mio silenzio, si inserisce il macellaio con una mini-filippica su tutte queste regole, moduli e passaporti delle bestie, e norme su come assumere dipendenti, e i mille lacci e lacciuoli che gli rendono la vita complicata, distante da un mitico passato bucolico e felice, in cui tutto era semplice e logico.
La strategia elettorale della campagna per l’uscita dall’Europa cerca di convincere elettori confusi come questi che l’Ue è una congiura burocratica, imposta al paese dai perfidi francesi.
Il messaggio colpisce nel segno perché è certo vero che la burocrazia è aumentata e perché gli inglesi la detestano: la sua riduzione è considerato il più importante aspetto dell’accordo Regno Unito-Ue.
Questa antipatia, che può sembrare contraddetta dall’amore per le code e l’ordine, è legata allo spirito ribelle e anarchico che hanno gli inglesi (ancor più degli scozzesi): l’autorità deve conquistare il rispetto del pubblico, la semplice posizione di potere non protegge da critiche e sberleffi. Così nessuno (casa reale compresa) batte ciglio sulle vignette satiriche sulla regina e un deputato che viene smascherato come disonesto deve aspettarsi una feroce vendetta dell’elettorato. È sempre per questo che la polizia non porta armi da fuoco; così come quando il governo cercò di introdurre un sistema di carta d’identità, simile a quello da sempre presente in Italia, si scatenò una veemente opposizione e molti lo considerarono una violazione dei diritti umani, e alla fine l’idea fu abbandonata.

Burocrati a ogni latitudine

Ma se c’è senz’altro stata una crescita esponenziale di burocrazia, moduli e formalità in tutti i settori – dal lavoro, agli ospedali, alle scuole – la colpa non è certo solo dell’Ue. I funzionari britannici sono anche loro burocrati entusiasti: in caso di dubbio, ecco qua un modulo o una bella richiesta di autorizzazione, tanto se qualcuno protesta se ne può sempre dar la colpa a immaginarie regole europee. È vero che in certi casi, come le regole sulla patente, che fino a vent’anni fa qui non scadeva né aveva la foto tessera, la nuova procedura è dettata dalla Ue, ma in molti altri l’ossessione burocratica è completamente indigena. Un esempio: chi ha a che fare con minorenni deve avere un certificato che conferma di non essere stato condannato per molestie a minori. Il certificato serve a proteggere l’organizzazione e quindi ognuna non si fida di quelli altrui, ma vuole il suo: così, quando abbiamo ospitato una studentessa francese per uno scambio con nostra figlia, mia moglie si è ritrovata con quattro di questi certificati (la scuola di mia figlia ne ha richiesto uno nuovo benché lei ne avesse già uno in qualità di membro del consiglio di istituto della scuola degli altri figli, poi c’è quello del club del tennis e quello dell’organizzazione equestre per disabili dove spesso aiuta da volontaria). Per me, invece, era solo il terzo. Ovviamente quando nostra figlia è andata a ricambiare la visita, è venuto fuori che in Francia questi certificati non esistono.
La giornata, sono lieto di riferire, continua con una nota ottimista: nel pomeriggio, tè da amici, marito e moglie che lavorano nel settore privato, mandano i figli a scuole private, tipici fedeli da sempre elettori tory. Entrambi non hanno dubbi: voteranno a favore della permanenza, convinti che i benefici per la società britannica, se non per loro personalmente, eccedano senz’altro i costi.

To Brexit or not to Brexit? Un voto all’ultimo respiro

Il referendum per la permanenza del Regno Unito nell’UE potrebbe tenersi già in giugno. La maggioranza dei cittadini ha però scarsa consapevolezza di ciò che si decide a Bruxelles. Non seguirà le indicazioni ufficiali dei partiti e voterà sulla base di emozioni più che di convinzioni profonde.

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