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Corbyn, un leader ad alto rischio per il Labour

Il previsto Tsunami nel Labour ha spazzato via gli ultimi residui di Blairismo, ed eletto Jeremy Corbyn alla guida del partito. È difficile prevedere i futuri sviluppi e le possibile profonde conseguenze per il Regno Unito e l’Unione Europea.

Un’opposizione divisa
Nonostante l’ampio mandato, Corbyn si trova a guidare un Labour profondamente diviso: la stragrande maggioranza dei parlamentari, compresi molti di quelli che lo hanno nominato, non ha votato per lui; molti “moderati”, hanno rifiutato la nomina di portavoce, non volendo dover sostenere le posizioni ufficiali del partito; si parla anche di “purghe” dirette a sostituire deputati opposti a Corbyn. Le sue dichiarazioni conciliatorie nel discorso a caldo non corrispondono alla scelta del governo-ombra, dove siedono molti colleghi di estrema sinistra, quali il portavoce economico (un Varoufakis in cravatta e senza moto) che vorrebbe l’esproprio di imprese privatizzate, e imposte punitive sui redditi e la ricchezza delle famiglie benestanti e sui profitti.
Nel breve periodo, mancherà un’effettiva opposizione in Parlamento: Corbyn non riuscirà a formare alleanze temporanee contro le proposte più estreme di David Cameron né con tories moderati, né con gli irlandesi del Nord, visti i suoi rapporti passati con l’Ira. La destra è ora molto più tranquilla, come spiega nelle sue riviste e su twitter, e potrà continuare la demolizione del welfare e gli attacchi alla libertà sindacale.
È possibile che Corbyn diventi primo ministro?
Visti i precedenti pronostici, è bene non ritenere impossibile che entri a Downing Street nel 2020 (i bookmakers, che in giugno offrivano a 200/1 la sua vittoria, ora lo danno prossimo premier al prezzo di sette a uno). Ma se davvero ottenesse la maggioranza nel 2020, Corbyn avrebbe compiuto un’impresa assolutamente straordinaria. Al di là delle sue proposte politiche, Labour è un partito più di opposizione che di governo: solo due leader laburisti su undici hanno vinto un’elezione nel regno di Elisabetta. Oggi, per vincere, Labour deve strappare ai tories quasi 100 dei loro 330 seggi, e allo stesso tempo riconquistare il consenso perduto in Scozia e sconfiggere l’attacco su tre fronti di Ukip, dei liberali, e dei verdi, gruppi la cui somma dei voti in maggio 2015 era vicina al totale del Labour, anche se insieme ottennero solo 10 seggi. Questo quando l’economia sarà probabilmente in ripresa, e con un elettorato che rifiuta di sostenere un partito la cui politica economica considera inaffidabile: il consigliere economico scelto da Corbyn non promette bene. Senza dimenticare la stampa, che certo non esiterà a ripetere la feroce campagna mediatica, dalle opinioni del padre al modo in cui ha mangiato un panino, scatenatasi contro Ed Miliband. L’attacco è già iniziato, con la metodica analisi della sua passata attività romantica. E Corbyn stesso si dà la zappa sui piedi con errori banali, quali non scegliere donne per i ruoli principali e il rifiuto di cantare l’inno nazionale all’anniversario di un’importante battaglia aerea contro i nazisti.
Escluderei anche una scissione del Labour, che il sistema elettorale punirebbe severamente, come avvenne nel 1983 alla cosiddetta banda dei quattro. Penso che i deputati moderati cercheranno di mantenere la fiducia del partito locale, che gode comunque di un certo grado di autonomia, e di coltivare il rapporto personale con i loro elettori, sperando di mantenere così il seggio in attesa di tempi migliori.
Nel medio periodo, molto dipende da come reagiranno i tories. Potrebbero occupare il centro, dove oggi non ci sono né i laburisti né i liberali, ancora in un profondo coma dopo il crollo che ha visto ridursi a otto i loro 57 deputati, attuando qualche politica di effetto, come il recente aumento del salario minimo a 7,20 sterline (circa 10 euro), ma certo senza in realtà intaccare i seri privilegi di cui gode il 5 per cento più ricco della nazione. Oppure potrebbero radicalizzarsi a destra, tornando all’ideologia divisiva dell’“us and them” di Margaret Thatcher e abbandonando al loro destino gli elettori di Corbyn; questo potrebbe lasciar spazio ai liberali. In ogni caso, per tornare al successo elettorale, Labour dovrà ricostruirsi sui quattro pilastri che costituiscono un moderno partito social-democratico: efficienza – capire che le risorse sono scarse e non vanno sprecate –, redistribuzione – solidarietà verso i membri della società meno fortunati –, diritti civili – libertà nell’espressione individuale –, e internazionalismo – rifiuto di lavarsi le mani del resto del mondo. La dimensione della scalata elettorale necessaria e la distanza ideologica da colmare mi portano ad escludere che i laburisti possano completare questo tragitto e tornare al governo prima del 2025.
E in Europa?
L’elezione di Corbyn cambia gli equilibri sul tema Europa. Il referendum del 1975 vide il Labour spaccato, mentre i tories erano a favore. In seguito, fu la destra a dividersi; con l’elezione di Corbyn ci sarà quindi la nuova situazione in cui le allenze per il sì e il no sono ortogonali alle opinioni politiche, il che rende l’esito del voto del referendum del 2017 più aleatorio, ma meno basato sulla relativa popolarità di breve periodo dei partiti: predirrei perciò un sì. Sono invece certo che nemmeno da Downing Street il pacifista Corbyn riuscirebbe a far uscire il Regno Unito dalla Nato.

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  1. Sergio Brenna

    Le analisi politiche, si sa, non sono come le dimostrazioni di teoremi scientifici ed ogni punto di vista ha la stessa validità di altri. Proprio per questo consiglio a chi voglia farsi un’idea meno unilaterale di quella dell’autore sull’elezione di Corbyn di leggersi almeno l’articolo di Piero Ignazi su La Repubblica del 18.9.2015 “Cosa dice l’elezione di Corbyn alla sinistra”. Per lo meno potrà godere di una visione prospettica binoculare!

  2. giovane arrabbiato

    Corbyn ha già detto che non uscirebbe unilateralmente dalla NATO, cosa che forse sarebbe da considerare visti i recenti risultati in Libia, Siria e Ucraina, tutte azioni ben teorizzate dai vari Neocon Kagan, Wolfowitz etc.
    Sorvoliamo.
    L’elezione di Corbyn salva l’unità del Regno Unito, per ora, perchè è difficile immaginare che una Scozia governata per intero dal SNP e un’Inghilterra Tory stiano insieme per molto.
    Riapre inoltre l’attenzione sui chavs, aka la working class britannica, abbondantemente tradita dal blairismo e ad un passo dall’abbandonare in massa verso Ukip o chiunque altro.
    Poi Corbyn sarà anche dato 200 a 1, ma se un’altra tempesta finanziaria colpisce Londra, nemmeno la Regina potrà impedire la sua vittoria.

  3. Massimo Matteoli

    Il previsto”tsunami” Corbyn?
    All’inzio non aveva nemmeno le firme per candidarsi (con pefida ironia della storia gliele hanno date anche i blairiani) ed i bookmakers inglesi 8che come è noto sono meglio di una società di sondaggi) lo dvano 200 ad 1.
    Prima di cantare il “de profundis” al nuovo leader del Labour consiglierei ai vari commentatori di aspettare almeno un pò. Una brutta figura va bene, due sarebbero troppe.

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