Gli scenari al 2021 per il mercato del lavoro italiano indicano un rischio: l’aumento dei lavoratori in età matura può rallentare l’ingresso dei più giovani. Dannoso però pensare a una riforma delle pensioni. La soluzione è nella crescita del paese.
Autore: Gianpiero Dalla Zuanna
Gianpiero Dalla Zuanna (1960) è professore di Demografia presso
ilDipartimento di Scienze Statistiche dell'Università di Padova.
Attulmente, è parlamentare, e fa parte della Commissione Istruzione del
Senato.
Il basso numero di omicidi di donne in Italia rispetto ad altri paesi non deve creare illusioni. Per le donne il rischio resta dentro le mura di casa. Come dimostrano anche i numeri di altri reati. Il fenomeno è complesso e i dati aiutano a comprenderlo.
L’Italia è il paese dove le donne corrono il minor rischio di essere uccise. Quando l’omicidio c’è, è molto spesso un familiare a commetterlo. Più in pericolo continuano a essere le straniere. E resta da capire perché il reato diminuisce meno che altrove.
Invecchiamento della popolazione, crisi economica e pur necessarie riforme pensionistiche hanno inciso molto sull’occupazione dei giovani e degli uomini adulti. Solo uno sviluppo vivace può permettere il ritorno ai tassi di occupazione pre-crisi.
Il passaggio da graduatorie locali a una unica graduatoria nazionale per l’accesso alla facoltà di medicina ha avuto effetti positivi. Il principale è che il meccanismo premia effettivamente il merito, favorendo gli studenti che ottengono i punteggi più alti al test. La mobilità delle matricole.
L’Italia sta affrontando una vera e propria rivoluzione demografica. E ciò genera paure e incertezze che alimentano molti luoghi comuni, “le cose da non credere” appunto. In un volume pubblicato da Editori Laterza, Gianpiero Dalla Zuanna e Guglielmo Weber analizzano e confutano i miti e i pregiudizi che nel nostro paese ostacolano una gestione corretta dei cambiamenti. Lo fanno attraverso un’analisi attenta della realtà, così come rappresentata dai dati. Perché il senso comune si nutre di miti, il buon senso di fatti. Per i nostri lettori, anticipiamo il capitolo conclusivo del libro.
Le previsioni demografiche degli anni Ottanta indicavano come probabile un invecchiamento insostenibile e una rapida diminuzione della popolazione italiana, con conseguenti gravi problemi sociali ed economici. Non è accaduto, perché negli ultimi trent’anni sono entrati in Italia milioni di giovani cittadini stranieri. E tutto fa pensare che il meccanismo di rimpiazzo della popolazione continuerà. Perché neppure la crisi fermerà l’afflusso dei nuovi italiani.
Daniela Del Boca e Alessandro Rosina sostengono che le politiche per conciliare lavoro di cura e per il mercato messe in atto dal governo Prodi sono molto timide. A mio avviso, tale affermazione non tiene nella giusta considerazione le misure effettivamente adottate.
I "fatti" del governo
La Finanziariadel 2007 ha stanziato 300 milioniper creare nuovi servizi per la prima infanzia, equamente ripartiti per gli anni 2007, 2008 e 2009. Inoltre, per il 2007 a questa cifra sono stati aggiunti 40 milioni provenienti dal Fondo politiche per la famiglia. Ancora: nel decreto legge n. 159, articolo 45 del 1° ottobre 2007, in attesa di conversione, per il 2007 è stato assegnato un ulteriore stanziamento di 25 milioni di euro per i nuovi servizi alla prima infanzia. Infine, il governo nella Finanziaria del 2007 ha stanziato anche 35 milioni di euro per le cosiddette "sezioni primavera", ossia classi aggiuntive nelle scuole per l’infanzia destinate ai bambini di età 24-36 mesi. Tirando le somme, il governo nel 2007 ha destinato 205 milioni all’attuazione di servizi di cura per i bambini con meno di tre anni, oltre a 100+100 milioni per il 2008-09. Queste ultime due somme potranno essere incrementate nei prossimi mesi, se si destinerà a questo scopo parte del Fondo politiche per la famiglia. L’intenzione è di arrivare a stanziamenti simili a quelli del 2007. Inoltre, in un decreto emanato il 28 settembre, i 140 milioni già stanziati per il 2007 sono stati ripartiti fra le Regioni .
Questi soldi sono sufficienti? A mio avviso sì, non certo perché in grado di coprire la domanda potenziale, ma perché verosimilmente congruenti con le capacità di spesa delle Regioni e dei comuni. Se riuscissimo, nei prossimi tre anni, a spendere effettivamente 200 milioni di euro l’anno per costruire nuovi asili nido o mettere in atto misure di cura alternative (come le sezioni primavera, i nidi integrati, le organizzazioni di mamme di giorno, eccetera), sarebbe un successo straordinario. L’insoddisfazione del ministro Bindi per la Finanziaria 2008 non riguarda tanto i mancati nuovi stanziamenti per politiche di conciliazione, quanto la mancata implementazione dell’assegno unico universale per i figli, che avrebbe dovuto unificare detrazioni e assegni familiari, estendendo la misura anche ai lavoratori autonomi, e accentuando la progressività per numero di figli e reddito.
Occupazione femminile e fecondità
Ora, qualche commento più "demografico" all’articolo. In che misura il recupero di fecondità in Italia è dovuto, come sembrano sostenere Del Boca e Rosina, ai primi cenni dell’inversione del tradizionale rapporto conflittualefra fecondità e lavoro della donna? Del Boca e Rosina, in figura 2, mostrano una forte relazione positiva fra tasso di occupazione femminile e ripresa della fecondità, utilizzando dati per le 20 Regioni italiane. Probabilmente, il risultato sarebbe stato lo stesso se, invece dell’occupazione femminile, si fosse messo in ascissa qualsiasi altro indicatore territoriale correlato allo sviluppo socioeconomico. I recenti dati Istat sulla fecondità per età mostrano che 1) per generazione, la fecondità dell’Italia non è mai scesa sotto 1,5 figli per donna; 2) il declino della fecondità in età giovanile è terminato, grazie anche alla maggior fecondità prima dei 30 anni delle donne straniere; 3) il recupero di fecondità oltre i 30 anni, per le coorti nate negli anni Settanta, è molto vivace. (1)Quindi, la ripresa della fecondità in Italia è in buona parte dovuta al recupero oltre i 30 anni della mancata fecondità in età giovanile per le donne nate negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, oltre che a una fecondità un po’ più elevata delle donne straniere. I due fenomeni sono stati più accentuati nelle regioni più sviluppate (che hanno attratto più stranieri) e dove la fecondità era maggiormente diminuita negli anni Ottanta e Novanta, e questo spiega risultati come quelli illustrati nella figura riportata nel lavoro di Del Boca e Rosina.
Purtroppo, in Italia " a livello individuale" il legame fra occupazione femminile e fecondità è ancora fortemente negativo. Un lavoro comparativo molto ricco e documentato sull’argomento è stato recentemente scritto dal demografo spagnolo Pau Baizan. (2)Solo in Danimarca le coppie dove entrambi i coniugi lavorano hanno più figli di quelle dove l’uomo lavora per il mercato e la donna è casalinga. Negli altri tre paesi studiati (Italia, Spagna e Regno Unito) avviene l’opposto.
In conclusione, a mio avviso, Del Boca e Rosina si sono lasciati un po’ trascinare dalla passione. È vero che le misure di conciliazionesono fondamentali per aiutare le coppie ad avere figli. Non è però vero che il governo sta facendo poco su questo versante. Le maggiori manchevolezze sono su altri aspetti, in particolare sullemisure monetarieper le coppie con più figli a reddito moderato. È vero, inoltre, che nelle società ricche la fecondità si alza se il lavoro di cura e per il mercato sono conciliabili. Non è vero, invece, che in Italia si osserva un’inversione di tendenza del legame negativo fra lavoro della donna e fecondità.
(1)Vedi il recente lavoro di Marcantonio Caltabiano
(2)Pau Baizan, "Family formation and family dilemmas in contemporary Europe", 2007, Fundacion BBVA.
Il test di ingresso alla facoltà di Medicina è una prova nazionale e molto selettiva. Le differenze fra le sedi nei punteggi mediani degli ammessi sono ampie. E potrebbero essere legate al diverso livello di preparazione fornito dalle scuole superiori italiane. Il Nord-Est ottiene i migliori risultati, con tre università fra le prime quattro. All’opposto, delle ultime otto, sette sono meridionali. Con alcune importanti eccezioni, come Bari e Palermo dove il punteggio medio è superiore alla media nazionale. Discutibile la creazione di una graduatoria per ogni sede.