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Autore: Giovanni Vecchi

vecchi Giovanni Vecchi, laureato in Economia e Commercio presso l'Università di Modena, e’ Professore di Economia Politica all’Universita’ di Roma “Tor Vergata”. Si occupa di teoria, misurazione e storia del benessere. Su questi temi ha pubblicato numerosi articoli sulle principali riviste internazionali. Con il Mulino ha pubblicato "In ricchezza e in povertà. Il benessere degli italiani dall'Unità a oggi". E’ consulente per la World Bank in tema di misurazione e stima della poverta’ e della disuguaglianza economica. In questa ambito, partecipa regolarmente ai nuclei in missione presso i paesi che richiedono assistenza tecnica per la valutazione delle condizioni di vita della popolazione."

La linea (di povertà) è mobile

Interpretare i dati sulla povertà non è semplice. Rivalutare una soglia relativa, aggiornandola per il solo aumento del costo della vita, equivale a tenere immobile la soglia di povertà. Mentre utilizzare una soglia della povertà relativa che si aggiorna automaticamente al variare della distribuzione del reddito è una prassi radicata nel nostro paese, ma non consente di monitorare con efficacia l’evoluzione del fenomeno, proprio per la sua eccessiva mobilità. Sul piano concettuale e su quello empirico sembra dunque preferibile seguire la dinamica della povertà assoluta.

CHI INVITA I POVERI AL RISTORANTE?

La povertà degli italiani non interessa alla classe politica. Quando parla di un paese benestante perché i ristoranti sono pieni, Silvio Berlusconi riecheggia una frase analoga di Bettino Craxi. E conferma quanto ampia sia la distanza fra la classe politica e i problemi legati alle condizioni di vita delle fasce più marginali della popolazione. Ma questo atteggiamento di indifferenza è antico, radicato e persistente nella storia italiana. Forse è arrivato il momento di affrontare il problema.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

L’articolo intende ricordare che la povertà relativa e la povertà assoluta rappresentano due indicatori concettualmente distinti. La “povertà relativa”, a dispetto di quanto suggerito dal termine, coglie la disuguaglianza della distribuzione piuttosto che la presenza di povertà. Se dunque si è interessati al fenomeno della povertà, conviene utilizzare altre misure, per esempio la povertà assoluta oppure la vulnerabilità alla povertà. Ciò non implica in alcun modo che l’andamento temporale e territoriale della disuguaglianza dei redditi sia un fenomeno privo d’interesse. In altre sedi abbiamo sostenuto esattamente il contrario (si vedano i capitoli “Disuguaglianza” e “Povertà” in “In ricchezza e in povertà” di G. Vecchi). Se l’oggetto di interesse è la disuguaglianza,  esistono strumenti appositi per misurarne l’evoluzione e studiarne la struttura, per esempio l’indice di Gini, per citare l’indicatore forse più famoso (la letteratura è riassunta molto bene nel libro di Frank Cowell, Measuring Inequality, non ancora disponibile tuttavia in italiano).
Nell’articolo si ribadisce, inoltre, che la povertà assoluta non deve essere associata a una nozione di povertà estrema. La soglia di povertà assoluta dipende dal valore di ciò che si ritiene essenziale per un’esistenza dignitosa, adeguata alla società alla quale si riferisce. Alla definizione di povertà assoluta concorrono elementi e scelte che sono spesso l’esito di un processo politico tra le parti sociali di un paese. In tal senso, e in punta di teoria, la soglia di povertà assoluta può essere anche maggiore della soglia di povertà relativa.
La dinamica divergente della povertà assoluta tra il nord e il sud del paese segnala di certo il fallimento del processo d’integrazione economica tra le due aree, ma non ha alcuna implicazione normativa in favore di un modello dualistico di sviluppo; tutt’altro, saremmo tentati di dire.
Riguardo al grado di copertura delle stime presentate è certo che vi siano segmenti della popolazione che sfuggono alla rilevazione statistica. I limiti in questo caso, sono quelli imposti dallo schema di campionamento delle indagini campionarie che, com’è noto, in Italia come altrove, non raggiungono le persone senza fissa dimora. Le indagini sui consumi e sui redditi delle famiglie condotte da Istat e Banca d’Italia estraggono le famiglie da intervistare dalle anagrafi di ogni comune campione. In questo senso sembra ragionevole immaginare che le stime campionarie tendano a sottostimare il fenomeno della povertà, anche se non è dato sapere di quanto.

LE TRE POVERTÀ DEGLI ITALIANI

La crisi economica rende sempre più attuale il tema delle condizioni di vita degli italiani. A definire la povertà sono tre concetti cruciali. La povertà relativa è essenzialmente una misura della disuguaglianza. La soglia di povertà assoluta, invece, è identificata dal valore di un paniere di beni e servizi ritenuti essenziali nel contesto sociale di riferimento. In Italia è oggi essenzialmente un problema del Sud. Ma particolarmente interessante è guardare alla “vulnerabilità alla povertà”, che misura la povertà di domani. Nel nostro paese potrebbe avere dimensioni drammatiche.

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