La riduzione di cinque punti del cuneo contributivo sul costo del lavoro ha varie controindicazioni. Per superarle, si può ipotizzare una progressività per scaglioni del contributo: aliquota ridotta fino a una determinata soglia del salario, normale sull’altra parte. In termini di aliquota media, la riduzione contributiva sarebbe così decrescente in modo continuo al crescere del salario. Il costo della riforma sarebbe di 7,7 miliardi. Ma con effetti positivi sull’occupazione. E coinvolgendo gli autonomi, si andrebbe verso un sistema previdenziale più omogeneo.
Autore: Giuseppe Pisauro Pagina 6 di 8
Si è laureato in Scienze Statistiche all'Università "La Sapienza" di Roma e ha proseguito gli studi di Economia presso la London School of Economics. Professore di Scienza delle Finanze presso l'Università "La Sapienza" di Roma (in precedenza ha insegnato all'Università di Campobasso, alla LUISS di Roma, alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione e all'Università di Perugia). Si occupa prevalentemente di temi di finanza pubblica. Ha svolto attività di consulenza per istituzioni italiane e internazionali (IMF, Camera dei Deputati, Presidenza della Repubblica). Ha fatto parte della Commissione tecnica per la spesa pubblica (Ministero del Tesoro) dal 1991 fino al suo scioglimento nel 2003. Dal luglio 2006 dirige la Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze. Redattore de lavoce.info.
È stato Presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio dal 2014 al 2022.
Magari nel 2000 fossimo davvero arrivati a un rapporto indebitamento netto/Pil dello 0,8%! (è questo, e non 0,4%, il dato che si desume dalla nuova serie Istat pubblicata il 1° marzo). In realtà in quellanno cè stato lincasso straordinario della vendita delle licenze Umts (13,8 miliardi di euro). Escludendo – come è corretto fare – tale voce, il rapporto nel 2000 è pari al 2%. Lanno successivo, nel 2001, è salito al 3,1%. Si tratta sempre un bellincremento in un solo anno (1,1 punti), ma è molto inferiore a quello che si ricava dallesame dei dati non corretti.
La serie completa è nella tabella.
Piuttosto, per giudicare le performance della politica di bilancio, è più utile concentrarsi sul saldo primario (che esclude la spesa per interessi, che non dipende dalle scelte del governo in carica e che come si vede dalla tabella è molto diminuita nellultimo decennio, grazie alla diminuzione dei tassi internazionali e alleuro). Il saldo primario è anche la variabile cruciale (insieme con il tasso di interesse e il tasso di crescita del Pil) per determinare la dinamica del rapporto tra stock del debito e Pil.
Tabella- Indicatori di finanza pubblica – Nuova serie Istat
1994 | 1995 | 1996 | 1997 | 1998 | 1999 | 2000 | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | 2005 | |
Indebitamento netto | -9,1 | -7,4 | -7,0 | -2,7 | -2,8 | -1,7 | -2,0 | -3,1 | -2,9 | -3,4 | -3,4 | -4,1 |
Interessi | 11,4 | 11,6 | 11,5 | 9,3 | 7,9 | 6,6 | 6,3 | 6,3 | 5,5 | 5,1 | 4,7 | 4,6 |
Avanzo primario | 2,3 | 4,2 | 4,6 | 6,6 | 5,1 | 4,9 | 4,3 | 3,2 | 2,7 | 1,7 | 1,3 | 0,5 |
Il saldo primario nella seconda metà degli anni 90 è sempre oscillato tra il 4 e il 5 per cento del Pil (con la punta eccezionale del 1997, lanno delleurotassa, quando ha toccato un massimo al 6,6 per cento). Nel 2000 era ancora al 4,3 per cento. A partire dal 2001 lavanzo ha iniziato a contrarsi, a un ritmo compreso tra mezzo punto e un punto di Pil lanno, che ne ha prodotto il sostanziale azzeramento nel 2005. Insomma, nel 2001 è iniziato il deterioramento dellavanzo primario, ma negli anni successivi le cose sono andate sempre peggio.
A cosa è dovuto il peggioramento dellavanzo primario? Allandamento della spesa corrente primaria (al netto degli interessi) e della pressione fiscale. (Non sono importanti la spesa in conto capitale e le entrate non fiscali, che in tutto il periodo oscillano entrambe tra il 3,5 e il 4,5 per cento del Pil, senza mostrare alcun trend significativo). Per entrambe il 2005 è un anno record: fa segnare per il periodo 1994-2005 il livello più elevato della spesa corrente e quello più basso delle entrate fiscali.
La spesa è ritornata nellarco di un decennio allo stesso livello del 1993 (39,9 per cento nel 2005, 39,8 per cento nel 1993). La crescita si è concentrata nel periodo 2001-2005: rispetto al 2000 la quota della spesa corrente primaria è oggi più alta di 2,6 punti di Pil.
Il deterioramento delle entrate, trascurando il picco del 1997, è concentrato in tre anni, tra il 1999 e il 2002, quando la pressione fiscale è diminuita di 1,5 punti, fino al 40,8%. Gli anni successivi, con leccezione del 2003 contrassegnato da entrate straordinarie, hanno visto soltanto una stabilizzazione della tendenza, fino al 40,6% registrato nel 2005.
Tabella – Spesa pubblica e pressione fiscale (Nuova serie Istat)
1994 | 1995 | 1996 | 1997 | 1998 | 1999 | 2000 | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | 2005 | |
Spesa corrente | 38,9 | 36,7 | 37,4 | 37,7 | 37,3 | 37,6 | 37,3 | 37,6 | 38,3 | 39,1 | 39,3 | 39,9 |
Pressione fiscale | 40,8 | 41,2 | 41,6 | 43,7 | 42,3 | 42,4 | 41,6 | 41,3 | 40,8 | 41,4 | 40,7 | 40,6 |
Morale della favola? Senza avanzo primario il rapporto tra debito pubblico e Pil riprende a crescere. E infatti, dopo essere sceso tra il 1994 e il 2004 di 17,7 punti (da 121,5 a 103,8) il debito nel 2005 è, per la prima volta dopo dieci anni tornato a salire, con un aumento di 2,6 punti di Pil, toccando il valore di 106,4.
I dati diffusi dall’Istat sull’andamento dell’economia nel 2005 spengono ancora una volta i facili ottimismi. A evitare una caduta del Pil contribuiscono le voci meno virtuose: i consumi collettivi e l’accumulazione di scorte. Gettando un’ombra sulle prospettive per il 2006. Per i conti pubblici, rispetto alle previsioni di settembre, peggiora l’avanzo primario. Il miglioramento dell’indebitamento netto è dovuto a una diminuzione imprevista della spesa per interessi, agevolata da operazioni di finanza straordinaria. E aspettiamo la Trimestrale di cassa.
La manovra di finanza pubblica è ora molto diversa da quella presentata a settembre. Si è scongiurato il pericolo di una Finanziaria elettorale. Ma le previsioni di tagli alle spese e maggiori imposte per quasi 28 miliardi si realizzeranno? E saranno permanenti? L’impressione è che nei tagli vi sia ben poco di strutturale. Sulle entrate pesa il punto interrogativo del gettito della lotta all’evasione. L’eredità per la prossima legislatura resta pesante. Soprattutto, c’è bisogno di eliminare l’opacità e la frammentarietà dell’informazione sulle attività pubbliche.
La manovra di finanza pubblica, dopo le modifiche subite, è certamente più solida dal lato delle entrate, anche se appare ancora insufficiente a raggiungere lobiettivo sul disavanzo. Permane un pesante deficit di trasparenza che genera incertezza sui conti pubblici e, quindi, sulle caratteristiche delle politiche fiscali future. Rimuovere questa incertezza sarebbe più vantaggioso per le prospettive di crescita dell’economia di quanto non siano le varie misure “per la famiglia e lo sviluppo” presenti nella Finanziaria.
Dopo la pubblicazione di tutti i documenti di bilancio la copertura della manovra di finanza pubblica per il 2006 continua ad apparire debole. Intanto, si parla di un possibile intervento correttivo sul 2005, per rimediare al mancato realizzarsi delle misure previste dalla Finanziaria dello scorso anno. E’ un problema che potrebbe ripresentarsi anche nel 2006. In particolare suscitano interrogativi le entrate da vendite di immobili, la regolazione dei flussi di Tesoreria, il co-finanziamento dei progetti comunitari, la lotta all’evasione e la riforma della riscossione.
La Finanziaria dovrebbe ridurre il disavanzo di 11,5 miliardi. E’ una cifra insufficiente e che comunque difficilmente sarà realizzata, poiché contemporaneamente si destinano altri 11 miliardi a nuove spese e agevolazioni fiscali, la cui copertura è tutto fuorché solida. Sarebbe meglio, per una volta, abbandonare la retorica della Finanziaria per lo sviluppo e limitarsi a una correzione reale del disavanzo.
La riforma della Banca d’Italia presentata dal Governo compie il solo “miracolo” di lasciare tutto come prima, aggravando la situazione. Si definisce il mandato a termine, ma manca la disciplina transitoria per garantire un rapido ricambio. Molta incoerenza anche sulla questione della collegialità nell’esercizio dei poteri di vigilanza. L’intervento sull’assetto proprietario della Banca previene un conflitto di interessi che non c’è. Per infilarsi in un labirinto: come valutare le quote di partecipazione che le banche dovranno cedere allo Stato.
Laudizione di Siniscalco alle commissioni Bilancio di Camera e Senato è reticente sullo stato dei nostri conti pubblici. Per questo non serve a rassicurare i mercati. Né a valutare se è davvero possibile fare a meno di una manovra correttiva. Le prospettive negative dei conti pubblici non dipendono solo dalla crescita economica, ma anche dalla politica di bilancio seguita negli ultimi anni: un’ipoteca sul futuro che stiamo cominciando a pagare.
Dopo la revisione del Patto di stabilità, difficilmente l’Italia potrà beneficiare di maggiori margini di manovra rispetto a quelli che ha già utilizzato. La flessibilità per i paesi con un debito elevato non è aumentata, semmai è diminuita. Intanto, le previsioni della Commissione europea danno il nostro disavanzo pubblico al 3,6 per cento del Pil nel 2005. Il ciclo elettorale, con il promesso taglio delle imposte, potrebbe portarlo intorno al 6 per cento nel 2006. Ancor prima che dall’Europa, le sanzioni potrebbero arrivare dai mercati, con un incremento del costo del debito.