La democrazia si sta lentamente diffondendo nel mondo. Ma quanto conta per lo sviluppo economico di un paese? L’evidenza empirica suggerisce che riforme politiche possono aver maggior successo se sono precedute da riforme economiche che accrescono le possibilità di mercato e facilitano l’integrazione internazionale. Al contrario, quando si è tentata una transizione democratica in un contesto economico chiuso e fragile, il risultato è stato molto peggiore. Un modello ben rispecchiato dai casi di Cina e Russia.
Autore: Guido Tabellini
Guido Tabellini è professore di economia presso l’Università Bocconi dal 1994. Dal luglio 2013 è titolare dell'Intesa Sanpaolo Chair in Political Economics. È stato Rettore dell’Università da novembre 2008 a settembre 2012. Si è laureato in economia nel 1980 a Torino e ha conseguito il PhD in economics alla UCLA negli Stati Uniti. Prima di rientrare in Europa, ha insegnato a Stanford e alla UCLA. È membro onorario straniero dell’American Academy of Arts and Sciences; è fellow della Econometric Society e del Canadian Institute for Advanced Research. È stato insignito del Premio Yrjo Jahnsson dalla European Economic Association. È stato Presidente della European Economic Association.
Il problema dell’Italia non è la sostanziale equivalenza in termini di consenso delle due coalizioni. Anzi, significa che il sistema politico italiano ha ormai trovato un suo schema bipolare e competitivo. La questione è invece la legge elettorale, che va cambiata. Il maggioritario a doppio turno, già utilizzato nell’elezione dei sindaci, unisce due pregi: limita la capacità di ricatto dei partiti estremisti e consolida gli incentivi all’aggregazione tra le forze politiche in due schieramenti contrapposti. E va abbandonato il bicameralismo perfetto.
Confondere vantaggi comparati con vantaggi assoluti è un errore ricorrente nel dibattito italiano. La Cina non può acquisire un vantaggio comparato in tutti i settori. La vera sfida è allora rinforzare quelli dell’Italia, per esempio utilizzando meglio la mano d’opera istruita, trattenendo i migliori scienziati, migliorando le istituzioni e le infrastrutture, liberalizzando i servizi, facilitando la riallocazione delle risorse. E rinunciare a inutili barriere commerciali. Anche perché la Cina è soprattutto un’opportunità. Come altri hanno già capito.
Un nostro sondaggio conferma che i giovani italiani continuano a essere filo-europei e voterebbero a favore del Trattato costituzionale europeo perché hanno poca fiducia nel sistema politico e nelle istituzioni nazionali. L’Europa piace perché ci protegge dai nostri stessi errori. La maggioranza degli intervistati ritiene però che l’euro abbia danneggiato l’economia italiana. Da questi dati si possono trarre alcune indicazioni sull’atteggiamento che il Governo dovrebbe tenere al Consiglio europeo e nel negoziato con Bruxelles sul riequilibrio dei conti pubblici. E ci sarebbe materia di riflessione anche per la Bce.
Non è vero che gli europei lavorano meno degli americani perché sono pigri o perché hanno scelto di godersi la vita. I dati suggeriscono che le asimmetrie fra Europa e Stati Uniti derivano dalle politiche pubbliche più che da libere scelte individuali. Il basso tasso di partecipazione al lavoro degli anziani è semplicemente il risultato di sistemi pensionistici generosi. Mentre la scarsa occupazione di giovani e donne riflette una regolamentazione del mercato del lavoro che protegge gli occupati, escludendo molte altre persone dal lavoro.
La legge elettorale andrebbe modificata, per eliminare la quota di seggi ancora assegnata con il proporzionale. Renderebbe più compatti gli schieramenti di maggioranza e opposizione, aumentando la capacità di decidere del governo e rafforzando la tendenza al bipolarismo. Ma una riforma di questo tipo cambierebbe i rapporti di forza soprattutto allinterno delle coalizioni e dunque non si trova una maggioranza disposta ad approvarla. Ecco perché si preferisce discutere della forma dello Stato e delle regole di governo.
Aumentare per legge le ore lavorate può distruggere posti di lavoro. Diminuire il prelievo fiscale e contributivo soprattutto sui salari più bassi può invece servire ad aumentare il numero delle ore lavorate portando più persone ad avere un impiego. Ma i tagli promessi del Governo non sembrano motivati solo da criteri di efficienza economica; guardano anche alle prossime elezioni europee. Se il Governo vuole convincerci del contrario deve accompagnare ogni taglio alle imposte con un pari risparmio nella spesa. Gli effetti benefici sull’economia di una riduzione delle imposte sono maggiori quando non comportano un aumento del disavanzo.
Come da rituale, i capi di Governo riuniti a Bruxelles scoprono che lEuropa è ancora ben lontana dal diventare il continente più competitivo del pianeta. Perché le scelte politiche dei singoli paesi sono spesso in contrasto con gli obiettivi fissati nel 2000. Non tutti per esempio vogliono un aumento del tasso di occupazione perché implica tagliare i privilegi di alcuni. Così come è un errore limitare larrivo di lavoratori dai nuovi paesi membri. Se lobiettivo è aumentare le ore lavorate, meglio aprire i flussi invece di chiedere agli italiani di ridurre le ferie.