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Autore: Ivan Beltramba

Ingegnere Civile specializzato nel settore dei Trasporti. Lavora dal 1999 come funzionario nella P.A., è originario del Sudtirolo ed è esperto delle realtà ferroviarie Europee e del Nordamerica.

Il treno è lento? Paga un pedaggio più alto

L’Autorità dei trasporti vuole aumentare il canone per l’utilizzo delle infrastrutture ferroviarie per i treni che viaggiano al di sotto dei 200 chilometri orari. Si profila un aumento di tariffe o una riduzione dei servizi nel trasporto passeggeri sulle linee regionali e nel trasporto merci.

Quando il treno è inaccessibile

Nonostante la normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche, salire sui treni è ancora troppo spesso complicato per le persone con ridotte capacità motorie. Eppure, basterebbero alcuni semplici interventi sui marciapiedi delle stazioni per risolvere molti problemi.

Il realismo dei francesi taglia l’alta velocità

Il piano dei trasporti francese del 2011 prevedeva una spesa di circa 245 miliardi per potenziamenti, miglioramenti e nuove opere in campo stradale, marittimo e ferroviario. Dopo il cambio di presidenza, ne è stata affidata la revisione a una commissione di esperti. Che ha rovesciato le priorità. 

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio tutti i lettori dei commenti ricevuti.
Nessuno mette in dubbio l’opportunità di identificare univocamente i soci delle società. Questa, però, è attività che potrebbe essere fatta a basso costo (per esempio) in sede di iscrizione nel registro delle imprese, né più ne meno di quanto accade dinanzi a un altro ufficio pubblico. Un controllo di questo tipo risponderebbe sia alle generali esigenze di tutela di corretta tenuta dei registri pubblici, sia a finalità di lotta al riciclaggio o a fini di polizia. D’altronde, anche oggi i notai certo non rifiutano, né ovviamente potrebbero, di rogare atti in cui parti siano società fiduciarie, italiane o estere, o società estere a loro volta formate senza le “garanzie” notarili nei rispettivi Paesi d’origine. Rispondo qui incidentalmente anche a chi afferma che le direttive prescrivano l’intervento del notaio. Non è così: l’art. 10 della I direttiva (art. 11 dell’attuale versione, 2009/101) richiede alternativamente il controllo amministrativo o giudiziario oppure  la forma dell’atto pubblico.
Quando invece si parla di “controllo di legalità” si parla della generale conformità dello statuto ad un “tipo” di società predeterminato dalla legge. Il controllo notarile ha il merito storico di aver consentito l’abolizione del controllo giudiziario, come ricorda un lettore, che a sua volta fu una grande conquista di libertà, perché sostituì quello governativo, erede della “concessione” sovrana. Questo controllo, tuttavia, è nella stragrande maggioranza dei casi una mera formalità: nelle operazioni più semplici le parti adottano statuti assolutamente standardizzati (i cui modelli potrebbero essere offerti anche dalle camere di commercio), in quelle più complesse gli statuti non sono che uno dei tasselli di una complessa serie di contratti negoziati con l’aiuto di avvocati, commercialisti e altri consulenti. D’altro canto, molte importanti deliberazioni societarie sono prese senza intervento del notaio: per esempio, l’approvazione del bilancio (che viene poi reso pubblico) e la determinazione dei compensi degli amministratori.
La distinzione – che un lettore mette in dubbio – circa l’intervento in materia di società e la circolazione della ricchezza resta a mio parere essenziale. In particolare, i diritti reali immobiliari fanno caso a sé per (almeno) due motivi: nel caso delle compravendite immobiliari il notaio garantisce sostanzialmente che chi compra, compri bene, funzione molto, ma molto più importante rispetto alla verifica di astratta legalità dell’atto rogato (com’è per le competenze propriamente “societarie”). In secondo luogo, per la stragrande maggioranza degli italiani la casa è un investimento in cui si concentra la grandissima parte del risparmio familiare, e che ha un rilevante valore sia di scambio, sia d’uso. Di conseguenza, la sicurezza dell’acquisto è di importanza fondamentale, e giustifica l’intervento di un soggetto che offra questa certezza, in mancanza di sistemi pubblici affidabili. Se il costo dei servizi notarili in questo ambito sia congruo è un problema aperto che non può certo essere liquidato con un “troppo caro”.  Il sistema a tariffa fissa su base territoriale (di fatto, a quanto mi è stato possibile capire, sono i Consigli notarili a stabilire i criteri applicativi della tariffa) che è invalso finora fa sì, a livello del singolo utente il costo del notaio può essere, in relazione allo specifico atto rogato, molto variabile. Poiché si paga in base al valore, e non alla complessità dell’atto e all’attività di fatto svolta dal notaio, il notaio costa poco (talvolta troppo poco, dal punto di vista del notaio) per quello che offre nelle transazioni di piccolo valore, e troppo per quelle di grande valore (specie se semplici). Ma, ripeto, questo è un altro problema, che non tocca la questione del se un notaio debba intervenire nelle compravendite immobiliari: a ciò risponderei, allo stato attuale del sistema, positivamente, pur non avendo mai approfondito la questione.
Circa, invece, la circolazione delle quote, si dimentica sovente che le azioni di s.p.a. circolano senza bisogno di notaio, con sottoscrizione autenticata dalla banca o, per le azioni dematerializzate, mediante mera annotazione in conti tenuti dagli intermediari con modalità informatiche.
Il tema del capitale sociale – toccato in modo del tutto incidentale – è ampiamente dibattuto; le direttive sul capitale minimo, comunque, non si applicano alle s.r.l. Il capitale sociale non è certo il metro del merito creditizio; e non fa alcuna differenza, dal punto di vista di una banca, che il capitale sia di 1 euro o 10.000.
Il notaio, poi, non svolge proprio alcuna funzione in relazione all’esistenza del capitale, limitandosi a constatare che è stato versato (per almeno il 25%) in banca. Ma, appena dopo la costituzione, l’amministratore è libero di prelevare quel denaro e spenderlo come desidera, che sia un euro, diecimila, o un milione; se lo spende male, ne risponderà ai soci e ai creditori.
Più in generale, il problema della responsabilità limitata è sovente mal posto. Nessuno costringe un contraente a entrare in affari con una s.r.l. e, di conseguenza, chi lo fa deve valutare se è il caso di erogare credito, o no; di vendere a credito, o no; ecc. Dubito che una decisione del genere possa essere influenzata dal fatto che la società sia costituita con atto notarile o, invece, mediante atto depositato nel registro delle imprese con sottoscrizione autenticata da un funzionario.

RISPOSTA ALLA LETTERA DELLA MARCONI EXPRESS

L’iter di approvazione dell’opera ricorda da vicino quello del “Civis”, il filobus a guida ottica in cui è presente il CCC, al centro di un ciclone giudiziario (http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2012/7-marzo-2012/civis-sequestrati-77-milioni-beni-bloccati-ccc-irisbus-2003577591534.shtml). Sulla informazione dei cittadini sull’opera ho opinione diversa. Chiedete per strada quanti sanno cos’è il PM, chi lo paga e quanto costa. Un referendum cittadino in coincidenza con altre elezioni no?
La specializzazione delle infrastrutture è deleteria: introdurre una rottura di carico invece di eliminarla è un modo elegante di uccidere il trasporto pubblico. L’automobile fa porta-a-porta.
Che gli utenti del SFM non siano interessati ad andare in Aeroporto si avvicina all’inverosimile, superato affermando che il PM sia più veloce: farà 4 km in 7’20”, cioè 35km/h, i treni del SFM sono tra 50 e 60 km/h. I Regionali Veloci Piacenza-Ancona sono sopra gli 80 km/h: vedere l’orario. Alcune relazioni sui 35 km/h (come il PM) sono per l’uso di veicoli diesel causa scarsità di elettrici, ora in corso di fornitura (FLIRT di Stadler). Il Comune di Bologna ha rinunciato alla metropolitana per il solito problema del Patto di Stabilità che colpisce i virtuosi (incommentabile), ma che i denari del Governo siano re-indirizzati per opere già finanziate da altri Accordi è una sconfitta del trasporto pubblico, la strategia da polli di Renzo.
La ferrovia proposta supera alcune preesistenze in più rispetto al PM. La Cintura NO, è stata sotterrata proprio per volere dell’Aeroporto (26 milioni per allungare la pista di 300m e far decollare un 747 Cargo la settimana…). La AV e la Bologna-Verona sì, la Bologna-Venezia NO. Non so chi sia FER Infrastrutture, a Bologna esistono FER Srl, TPER SpA e RFI SpA che gestiscono infrastrutture di trasporto pubblico. Chiunque altro che ne avesse la capacità tecnico-economica può farlo, forse con costi inferiori. Il collegamento punto-punto va bene all’interno di grandi aeroporti (VAL di Charles de Gaulle), centri commerciali o grandi parcheggi (Tronchetto di Venezia), o con percorso più breve possibile per raggiungere la ferrovia più vicina (Orly-Val, costruito in p-f ma con risultati economici deludenti). Una linea specializzata per passeggeri può affrontare pendenze più elevate: 25‰ ed oltre (linea ripida dei Giovi: 35‰) per cui non vedo impatti sconvolgenti.
L’allungamento dell’orario dei RV Piacenza-Ancona (non vanno più a Milano dal dicembre 2005…) lo ha già fatto il cantiere AV della stazione sotterranea, infatti percorrono l’itinerario “via sottovia buca”: 3 km a 30 km/h, perdendo nel complesso circa 5’. Per l’Aeroporto risparmierebbero un minuto se la linea fosse da 100 km/h. I viaggiatori della linea di Verona non sono molti, per linea Venezia è possibile una bretella; per quelli dell’AV, oltre alla possibilità di usare i RV, prevedo che ci sarebbe una forte richiesta per usarla, e l’allacciamento a Lavino consente un agevole passaggio in entrambi i sensi, con 5’ di percorrenza in più. Sullo spazio per i bagagli riporto un”tecnico” del Comune: “50 persone avranno spazio sui 12,5 m² di superfice del mezzo”… Trattenendo il respiro e con le valige in braccio, giacché staranno in piedi.
La maggior parte dei Malpensa Express (guardare l’orario!) sia di “Cadorna” che di “Centrale” fanno fermate intermedie, di base Bovisa (Passante) e Saronno (linee di Como e Varese). Pochissime le corse nostop, altro che punto-punto. I treni “ad hoc” erano normali TAF ricolorati e meno sedili per i bagagli, ma i “due piani” erano sovrabbondanti e si sono acquistati i “Coradia” di Alstom (versione a 5 casse dei noti Minuetti da 3 casse…): rispetto a quelli di serie spazi bagagli in più.
Di nuovi soci nel capitale di Marconi Express si sente parlare da anni. Da vedere se sono privati o società a capitale pubblico.
3,5 milioni di viaggiatori/anno presuppone un esercizio h24? Ma la notte ci son pochi voli…, meglio vedere qualche fascia di punta; e perché limitarsi al 20% della domanda? L’espandibilità del sistema, di cui non ho trovato traccia nei documenti ufficiali (banchine delle stazioni corte…) è più che auspicabile, altrimenti ci vorrà l’eliminacode con numerino.
Mi preoccupa l’affidabilità: come si fa a garantire il cadenzamento a 7’30” con una percorrenza di 7’20”? Le 50 persone con valige a capolinea scendono in 5” ed altrettante salgono in altri interminabili 5”? Con cassone ribaltabile e tramoggia di carico tipo ghiaia.
Intravvedo anche una contraddizione: prima l’interesse dell’utenza è nell’area Provinciale (cioè SFM) e perfino in Toscana grazie all’AV Bologna-Firenze, poi solo intorno a stazione Centrale e Fiera (nelle 3 o 4 occasioni di richiamo internazionale…).
La zona del Lazzaretto di Bologna e del Campus universitario che vi sta nascendo aggraverà i problemi: la stazione intermedia dove “incrociano” le cabine (via di corsa a binario unico!) dovrebbe aumentare l’accessibilità di una zona interclusa. Se nella cabina di 12,5 m² ci sono già 50 persone (4/m², con valige!), dove salgono quelli della fermata intermedia? Sul tetto?

UN TRENO PER L’AEROPORTO

La vicenda del “people mover” tra l’aeroporto e la stazione centrale di Bologna ha ormai assunto tratti paradossali. Si tratta infatti di un progetto destinato fin dall’inizio al fallimento. Non tiene conto del fatto che l’area di influenza di un aeroporto non è solo la città di riferimento. D’altra parte la società di gestione sembra più interessata ai parcheggi e ad eventuali centri commerciali. Per il piccolo aeroporto bolognese basterebbe una ferrovia, collegata alla linea Milano-Bologna, che entri all’interno dell’aerostazione.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie a tutte le lettrici ed a tutti i lettori. Compresi quelli che mi hanno scritto personalmente di persona.
Sulla Torino-Lione cito qualche numero. Alla fine degli anni Settanta la tratta Bussoleno-Salbertrand della attuale linea era a binario unico: 23 km con pendenze dal 27 al 30 per mille, che per i treni è tantissimo. I merci andavano su spesso in tripla trazione (due locomotive in testa e una in coda, senza radio né telefono, solo coi fischi). E passavano 10 Milioni di tonnellate di merci all’anno, adesso con la linea a due binari e pendenze più agevoli (26 per mille) siamo sugli 8 milioni. Sul Gottardo, quando si è deciso di progettare ( e poi di sottoporre a ben due referendum) la Galleria di base, passavano 26 milioni di tonnellate all’anno (di cui circa 4 milioni di traffico interno). Adesso sono poco meno. Sul Brennero siamo sui 6 milioni. Un recente studio commissionato da "Iniziativa da las Alps" alla società Metron di Brugg ha messo comunque in luce che senza provvedimenti di accompagnamento di tipo economico-normativo, solo il 5% o poco più dell’attuale traffico stradale attraverso il Tunnel del Gottardo passerà sui treni. Infatti il guadagno di tempo è stimato in circa 1 ora, che rispetto alle 6-12 ore che un carro tradizionale passa in uno scalo di smistamento è irrilevante. Le diminuzioni di costo di esercizio per le imprese ferroviarie saranno sensibili solo con il completamento del tunnel sotto il Monte Ceneri (Lugano-Bellinzona) e del Tunnel dello Zimmerberg (Zug-Thalwil) perché renderanno superfluo l’uso della doppia trazione oppure, in alternativa, circoleranno treni molto più pesanti con due locomotive.
Sugli investimenti infrastrutturali per le merci cito Union Pacific (quotata in borsa). Nei primi anni Ottanta, per cercare di contrastare il declino del traffico merci per ferrovia, UP studiò due progetti alternativi: portare la velocità massima dei treni merci da 60 miglia/ora (96 km/h) a 100 miglia/ora (161 km/h) su alcune direttrici transcontinentali oppure "alzare la bassa velocità" (15-30 miglia/ora) nei nodi e nei grandi scali, dove i treni impiegavano molte decine di minuti per entrare/uscire o semplicemente per transitare, con in più alcuni interventi mirati di tratti a doppio e triplo binario. Sembrerà strano a molti, ma il costo dell’intervento sulla bassa velocità era di un fattore 10 inferiore a quello sull’alta, dava risultati in meno tempo e, soprattutto, aumentava la velocità del sistema di un fattore molto più alto rispetto alle 100 miglia/ora. Così si è fatto, e UP è una delle "7 sorelle ferroviarie" che svolgono il traffico merci in Nordamerica, dopo avere assorbito MP, MKT, CNW, SP. La taglia media di un treno merci nel Nordamerica è di 8.000 tonnellate (da noi 800) ed è lungo almeno un miglio (1600 metri, da noi 400).
Sugli incentivi per i raccordi. Non so quante segherie in Molise vogliano il raccordo. Però non mi risulta che ANAS paghi le strade per le fabbriche. Se un imprenditore vuole il binario in fabbrica è giusto che lo paghi fino a raggiungere la ferrovia più vicina, eventualmente anche lo scambio. Ma è delirante pretendere che debba pagare tutti i segnali e le modifiche (anche cervellotiche) che RFI vuole per i propri impianti, compresi km e km di nuovo binario in affiancamento alla linea o la soppressione di Passaggi a Livello. Se poi il traffico del raccordato raggiunge livelli insostenibili per un raccordo tradizionale, RFI deve anticipare i costi dei miglioramenti dell’allacciamento e farli scontare in un congruo numero di anni (almeno 20) con il pedaggio per accedere alla fabbrica. Nel frattempo siamo in attesa che il Consiglio di Stato si pronunci sulla legittimità del DPCM 7/7/2009 "Direttive a RFI sul trasferimento di Impianti merci a Trenitalia" MAI PUBBLICATO IN GU ed impugnato da Fercargo, l’associazione degli operatori privati, che ha fatto avviare anche una procedura di pre-infrazione della Commissione.
Sugli stipendi dei ferrovieri (FS e non, anche se ho alcuni numeri) preferirei non pronunciarmi, ma segnalo che i dipendenti di Omnitel NON avevano il contratto dei telefonici, ma quello dei metalmeccanici. Forse a qualcuno fa schifo che i costi telefonici in 10 anni siano calati del 65%? E sono certo che i nuovi operatori "elettrici" non applicano quello di ENEL, e nemmeno quello Federgasacqua. Non mi sembra che i relativi dipendenti stiano morendo di fame. I concessionari privati delle "Autolinee Ministeriali" applicano il contratto degli autoferrotranvieri e non lavorano certo in perdita, anzi.
Sul Ponte sullo Stretto osservo un particolare. Il pericolo più grave per una costruzione del gener (ferroviariamente sarebbe un unicum, non esistono ponti ferroviari sospesi così lunghi, credo al massimo arrivino ad un quarto della lunghezza) è la stabilità aeroelastica, non quella sismica. Orbene le simulazioni le ha fatte un noto professore del Politecnico di Milano, che fu anche perito del PM nel disastro di Piacenza del 12 gennaio 1997. Dato che in quel procedimento ero perito di parte lesa, ricordo benissimo che il suddetto prof. fornì al PM una simulazione alcalcolatore del ribaltamento del Pendolino che faceva alcune semplificazioni più che discutibili. Chiesi al pm tramite l’avvocato di avere copia del programma di simulazione, ma il prof. si rifiutò di consegnarla adducendo motivi di "segreto professionale e copyright". Da quella volta evito accuratamente la prima carrozza dei Pendolini.
Sugli incidenti stradali ricordo che la maggior parte avviene su strade ordinarie extraurbane, al secondo posto le strade urbane. Avere introdotto a tappeto il cd "Tutor" in autostrada ha fatto calare verticalmente il numero di incidenti e di morti su quelle infrastrutture. Il preconsuntivo dei morti del 2010 mi risulta sui 4000 per tutta Italia, erano 4237 nel 2009, di cui 667 pedoni e circa 600 ciclisti.
Sull’a.d. del gruppo FS ricordo che è anche sindaco di un Comune del Reatino, evidentemente cercava uno svago per il fine-settimana. Lo conobbi nella seconda metà degli anni Ottanta quando era Segretario Regionale della Filt-CGIL dell’Emilia-Romagna. Mi fece una strana impressione: in un ufficio pieno di carte e volumi, anche sulla scrivania, era tirato a lucido in doppiopetto blu scuro e cravatta di marca. Molto strano come sindacalista, pensai, soprattutto di ferrovieri. E non mi sembrò molto preparato sulla storia delle ferrovie e sulle condizioni operative dell’esercizio.
Sui macchinisti di NTV (auguro un successo clamoroso a entrambi) ricordo che questa impresa ha alle spalle ingenti capitali e che ha potuto usufruire per la formazione dei propri dipendenti di istruttori accreditati e di locomotive di Nordcargo (gruppo LeNord) nonché di un congruo numero di istruttori e di macchinisti pensionati del gruppo FS o congedati dal Genio Ferrovieri. Come d’altronde fatto da quasi tutte le nuove imprese. Non credo che sia necessario istruire un macchinista per 18 mesi. Il regolamento segnali è molto più semplice del codice della strada e se in tre mesi fate la patente E e potete guidare un Tir di 44 ton o un autobus snodato con 150 persone nel traffico urbano, onestamente non vedo perché ci sia questa discriminazione. Inoltre la patente E vale in tutta Europa, la patente F (ferroviaria) ancora no, anche se la UE lo vuole almeno per le linee a standard ETCS. Ovviamente RFI ha attrezzato solo le linee AV con l’ETCS, sulle tradizionali niente, nemmeno lungo i corridoi (Assi) della rete Transeuropea. Sospetto che anche su questo corriamo senza freni verso una procedura di infrazione. Una più una meno ormai…
Sulle stazioni con capostazione segnalo che io parlavo di scali che fanno da 600.000 a 1 Milione di tonnellate all’anno. In una stazione che faceva tre carri al giorno ci sono "nato", ricordo che nei primi anni Ottanta c’erano 4 ferrovieri: capostazione, deviatore, assistente e capo gestione; a volte i carri erano anche 5 o 6, non si faceva marketing, si curavano le aiuole. Non rimpiango questa ferrovia. Ma oggi lo scalo è un parcheggio, la stazione è telecomandata da 200 km di distanza, la biglietteria è aperta 6 ore al giorno nei feriali. Se volete spedire o ricevere per ferrovia ( fabbriche ce ne sono molte, anche una di fama internazionale, la LEITNER) dovete andare a 70 km di distanza. Se fate traffico intermodale dovete andare a 120 km. Ma negli anni Sessanta andavano via da lì treni interi di trattori. E di legname da costruzione.
Sul Certificato di Sicurezza non so come spiegarlo in maniera elementare: all’estero è UNICO per tutta la rete di un Gestore, dato che il Regolamento Segnali è UNICO per tutta la rete così come il Regolamento Circolazione Treni e tutti gli altri. In Italia no, e la sicurezza non c’entra niente. ANSF ha ereditato da RFI una serie zeppe ridicole quando non farsesche che una qualsiasi autorità Antitrust seria avrebbe sottoposto a sanzioni draconiane, un’autorità seria appunto. Sulla sicurezza dopo Viareggio segnalo che nessun proprietario di carri in Europa ha adottato provvedimenti come quello citato. Il problema della rottura degli assi è vecchio come la ferrovia, e comunque ancora non sappiamo COSA ha bucato la cisterna (ne sono sviate 9, 5 si sono ribaltate ed una sola si è bucata). Da tempo esistono apparecchiature "portatili" per il controllo non distruttivo degli assili (a ultrasuoni), ma spesso sono buttate in un angolo, e poi faceva acqua il controllo di qualità in acciaieria. Il problema però non sono i treni, è il GPL. Nel 1974 in Spagna una camion con rimorchio carico di GPL si ribaltò su una strada costiera vicino ad un campeggio, ci furono se non ricordo male quasi 200 morti. Ma il GPL ha continuato a girare impunemente ovunque.
Infine credo che il trasporto di merci, sia esso su camion, aereo, nave, carretto o treno sia un fenomeno economico ed in quanto tale debba rispettare determinate regole a garanzia della salute pubblica e della concorrenza, dopodiché vinca il migliore. Non possiamo tornare ai tempi della DDR o della Romania di Ceaucescu (io le ho viste) dove tutto andava per ferrovia, anche per 20 km. Non poteva durare.
Non mi scandalizzo se qualcuno vuole fare i soldi con le merci per ferrovia. Però sono indignato che qualcun altro distrugga un patrimonio costruito dai nostri bisnonni, nonni e padri pur di non metterlo a disposizione dei concorrenti. Non solo perché si spaccia di sinistra e perché certi ambienti della sinistra continuano a coprirlo.

IL TRENO MERCI SUL BINARIO MORTO

Per i treni merci italiani la crisi è cominciata da anni. Dovuta a scarsa produttività del personale, organizzazione del servizio ottocentesca, impianti obsoleti, locomotive vecchie e poco affidabili, marketing inesistente, treni lenti e spesso in ritardo. Ora si aggiungono le barriere all’ingresso di imprese diverse da quelle che fanno capo a Fs. E una serie di vessazioni per le aziende che volessero utilizzare la ferrovia per spedire la propria merce. Forse perché le aree degli scali possono essere vendute a peso d’oro. Ma è tutto il contrario di quello che accade negli altri paesi.

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