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IL TRENO MERCI SUL BINARIO MORTO

Per i treni merci italiani la crisi è cominciata da anni. Dovuta a scarsa produttività del personale, organizzazione del servizio ottocentesca, impianti obsoleti, locomotive vecchie e poco affidabili, marketing inesistente, treni lenti e spesso in ritardo. Ora si aggiungono le barriere all’ingresso di imprese diverse da quelle che fanno capo a Fs. E una serie di vessazioni per le aziende che volessero utilizzare la ferrovia per spedire la propria merce. Forse perché le aree degli scali possono essere vendute a peso d’oro. Ma è tutto il contrario di quello che accade negli altri paesi.

 

C’è la crisi, ormai lo sanno anche i passerotti. Ma per i treni merci italiani, almeno quelli tradizionali, era già cominciata da anni. Una infelice coesistenza di fattori da tempo serrava i freni: scarsa produttività del personale, organizzazione del servizio ottocentesca, impianti obsoleti, locomotive vecchie e poco affidabili, marketing inesistente, treni lenti e spesso in ritardo. Anche l’arrivo delle nuove imprese ferroviarie non ha sortito grandi effetti, dal momento che, almeno all’inizio, per rientrare degli alti costi di investimento, hanno cercato di generare un cash-flow positivo e consolidarsi sottraendo traffici all’“incumbent” (Trenitalia Cargo del gruppo Fs) più che allargando il mercato.

LE BARRIERE ALL’INGRESSO

Le barriere all’ingresso alzate dal gestore dell’infrastruttura (Rfi del gruppo Fs) cercavano maldestramente di proteggere la società Cargo. Resterà scolpito sul muro della vergogna l’obbligo di avere sulle locomotive una fascia di un certo numero di centimetri quadrati e di un certo rosso (e solo di quello) tra i respingenti. Un requisito unico in Europa. Per non parlare dei tempi biblici per abilitare un macchinista: in Italia siamo sopra i due anni, mentre in Germania bastano poco più dodici settimane, all’incirca quanto serve per ottenere la patente E, quella per guidare i Tir. Per non parlare del meccanismo del “certificato di sicurezza”: in Europa vale per tutta la rete, in Italia linea per linea e nodo per nodo. Tutti ostacoli all’ingresso di nuovi concorrenti.
Non così nel Nord Europa: in quelle regioni, il traffico merci totale a fine 2007 rispetto al 1990 (l’anno precedente l’avvio della liberalizzazione prevista dalla direttiva Ce 91/440) era cresciuto a due cifre. Con punte del 95 per cento nel transfrontaliero Olanda-Germania e del 65 per cento nel traffico interno in Germania. E questo prima della apertura della Betuwe-Linie, tra il porto di Rotterdam in Olanda e il confine tedesco. Anche l’occupazione nel settore è aumentata grazie alle centinaia di imprese ferroviarie nate quasi ovunque, alcune di nicchia, altre molto grandi. Istruttivo quanto è stato illustrato nei convegni “Mercintreno” (www.mercintreno.it) svoltisi a Roma nel novembre 2009 e 2010.

COM’È DIFFICILE PRENDERE UN TRENO MERCI

Ma al peggio non c’è limite. Il gruppo Fs ha adottato atteggiamenti che rendono problematico l’utilizzo dello scalo usato abitualmente. Oppure: se avete una fabbrica vicino a una ferrovia e volete farvi il binario che entra in stabilimento (il “raccordo”) dovete pagarvi tutte le modifiche agli impianti a insindacabile giudizio di Rfi. Ma se siete lontani da una stazione vi diranno quasi sempre che non si può realizzare alcun raccordo, per non specificati motivi di sicurezza. Con la nuova normativa sui raccordi, introdotta da dicembre 2009, se non fate traffico merci oltre una certa soglia, il gestore dell’infrastruttura vi farà pagare anche un canone esorbitante che, vista la crisi, vi costringerà presto a spedire tutto su strada. O a chiudere.
Naturalmente, nel resto dell’Europa non è così. Anzi, poco ci manca che vi stendano il tappeto rosso. In Germania il Bund (lo stato federale) riconosce un contributo fino al 50 per cento dei costi a chi (ri)attiva un raccordo, commisurato al traffico effettivamente svolto, il tutto con l’approvazione della Commissione europea, che non lo considera aiuto di Stato.
E ancora: se un’azienda si azzarda a rivolgersi a un’impresa ferroviaria diversa da Cargo, lo scalo merci “pubblico” vicino alla fabbrica rischia di finire nella lista di quelli improduttivi e viene chiuso. Se lo scalo del gruppo Fs si trova in una media stazione che viene “telecomandata” da un posto centrale a centinaia di chilometri di distanza e quindi perde il capostazione, ha altissime probabilità di venire chiuso. Nei dati che il gruppo Fs pubblica o distribuisce agli enti locali per giustificare lo scarso traffico merci di una stazione e quindi le manovre di soppressione (e “valorizzazione delle aree” con i palazzinari) le cifre del movimento merci sono solo quelle di Trenitalia Cargo, società del gruppo Fs. Ma spesso in quegli scali il grosso delle tonnellate lo fanno le nuove imprese ferroviarie: a volte anche oltre il 70 per cento delle merci movimentate. I costi della manovra, se non viene fatta in proprio, sono ormai a 500 euro + Iva/treno (con coefficienti di maggiorazione fino a 1,5) e, guarda caso, è sempre affidata, se fornita da Rfi, a una società del gruppo Fs (Trenitalia o Serfer senza gara). In alcuni scali non potete nemmeno farla in autoproduzione. D’altronde la radio è in uso solo da pochi anni, prima si andava con bandierina e fischietto, che con la nebbia della Val Padana erano molto pratici. Figuriamoci usare locomotive radiocomandate o il gancio automatico da manovra, ormai lo standard nel Nord Europa. Sncf (le Fs della Francia) – che ha problemi gestionali simili e nel dare il cattivo esempio è spesso in competizione con le Fs – nel 2009 ha quasi del tutto soppresso il servizio merci “a carro singolo” e Trenitalia ne ha subito seguito le orme, dal 1° aprile 2010. Finalmente, le vastissime e inutili aree degli scali merci e di smistamento, vicinissime alle grandi città, potranno essere “liberate” dai nocivi binari e vendute a peso d’oro, per farci tante casette, centri commerciali e direzionali, e cinema multi-sala. La chiamano “rete snella”…
L’ultima mossa è di pochi giorni fa: il 24 gennaio 2011 Trenitalia Cargo (Tic) – essendo responsabile della manutenzione, secondo le ultime norme della Unione Europea – ha stabilito che i carri privati immatricolati presso Fs, potranno muoversi solo previo nulla osta della stessa Tic. Facile sospettare che il nulla osta arriverà solo se la trazione del treno sarà affidata a una società del Gruppo Fs, Tic o Serfer o a qualche suo “contoterzista”.
E pensare che negli Stati Uniti, a dispetto della crisi, le società ferroviarie (molte quotate in borsa) non solo non hanno abbandonato il traffico a carro singolo che è una specie di “cash cow”, ma stanno studiando le strategie per attaccare il traffico “Ltl” (Less than Truck Load), cioè le piccole partite e i pacchi, in Italia abbandonati già ai tempi di Antonio Lorenzo Necci nel 1991, ma che in termini di tonnellate sono circa un terzo del totale merci e come reddito sono ben oltre la metà della “torta”. L’Italia avrà forse le ferrovie più sicure del mondo, ma non c’è da stupirsi: i treni fermi non fanno incidenti.

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15 commenti

  1. Andrea Malan

    La cosa incredibile è che, a fronte di questo sfascio si progetti di investire miliardi di euro (decine?) in un nuovo tunnel, che si giustificherebbe solo con un intensissimo traffico merci, i benefici potrebbero non essere all’altezza. In base a una banale analisi costi-benefici, quanto renderebbe investire anche solo metà della somma nel risolvere i problemi citati dall’articolo?

  2. massimiliano marcon

    Forse quando la FIAT considererà l’Italia un paese minore, potremo finalmente affrontare senza l’ostacolo principale il trasporto ferroviario delle merci, iniziando dieci anni prima a dire ai potenziali camionisti che per loro il lavoro andrà sempre diminuendo e che, quindi, non si orientino verso questo settore i giovani aspiranti. Per quanto riguarda Atlantia, si potranno mantenere invariate le tariffe a fronte di minori investimenti in manutenzione, poiché minor traffico di camion equivale a minore usura. Ne guadagneranno soprattutto il bilancio dei morti sulle autostrade oltre che il minor inquinamento ed il minor traffico.

  3. Marco

    Strano, sono decine d’anni che ci propinano la TAC/TAV come panacea dell’economia, del turismo, dell’occupazione. Forse, per qualcuno, sono più interessanti i cantieri di quello che serviranno a costruire…

  4. Marcello Battini

    "Libertà e concorrenza nel traffico merci ferroviario". E’ il titolo di un testo economico, scritto da un certo Gheddafi, al quale, mi dicono, si attiene coscienziosamente il presidente delle ferrovie italiane, per altro d’estrazione politica progressista, nelle sue scelte aziendali. Anzi, mi giunge notizia che gli stessi principi economici sono applicati anche al traffico passeggeri. Buona fortuna e buona notte.

  5. Dario Tensini

    Cari amici, ho appena letto e firmato questa petizione online: «Trasporto merci su ferrovia e non su gomma». Io ho firmato.

  6. domenico trimboli

    Il sig. ministro dei trasporti, comodamente adagiato sulla sua agognata poltrona, dovrebbe avere un sobbalzo di indignazione nel leggere questo interessante e documentato articolo su come si riesca a dissipare impunemente un simile servizio!

  7. salvatore

    Ma perchè meravigliarsi se il presidente pensa al bunga bunga e 315 complici gli danno la fiducia?

  8. giovanni sensi

    Mi complimento per il grande equilibrio dell’articolo di Beltramba. Riporta fedelmente tutto ciò che gli operatori privati che operano nel nostro paese dicono ad ogni occasione e appena possono. Il passaggio che però vorrei sottolineare dell’autore, e che trovo insuperabile sotto il profilo economico, è quello che RFI dovrebbe sostenere le spese di costruzione dei raccordi che collegano le piccole segherie del Molise con la rete nazionale ferroviaria. Lo trovo giusto e personalmente la indico tra le misure urgenti che i prossimi investimenti infrastrutturali dovranno colmare. Gli operatori privati del trasporto merci ferroviario, anche quelli più blasonati, non sembra che stiano sviluppando una particolare strategia per conquistare progressivamente il mercato del trasporto merci, si limitano a rubacchiare, quà e là, quote a TiC e scaricano le loro incapacità prevalentemente sui diritti dei lavoratori ferroviari che nella loro visione devono essere assimilati più che ai ferrovieri tradizionali ai camionisti o alle figure professionali del trasporto merci su gomma. E’ evidente che il sistema, e la responsabilità è di tutti, non funziona: ma il governo che cosà sta facendo?

  9. Giovanni

    Non c’è solo la Torino- Lione della cui utilità è lecito avere molti dubbi. Anche il ponte sullo stretto viene presentatato come necessario per incrementare il trasporto ferroviario. Per portare il treno all’altezza del ponte saranno necessari chilometri di viadotti, per poi scoprire che il transito sarà spesso impossibile su un manufatto che per sua stessa natura deve oscillare sotto l’azione del vento. Però a pagare saranno per buona parte le ferrovie.

  10. Davide

    Lavoro in ferrovia, un mondo complesso, con dei problemi, ma credo alcune cose andrebbero chiarite meglio. Patenti: i macchinisti NTV le prendono in 18 mesi e raramente oltre i due anni. Se qualcuno si vuole accomodare su un treno senza conoscerne tutte le regole di sicurezza, si accomodi. RFI è il gestore dell’infrastruttura e come in tutta Europa, definisce le specifiche tecniche degli impianti, scali compresi. Non capisco cosa ci sia di strano. Il governo italiano finanzia poco e incentiva poco il trasporto ferroviario delle merci e, purtroppo, la ferrovia intrisecamente costa (capital intensive come si dice in certi ambienti). Usare Rotterdam come esempio mi sembra troppo facile. E come prendere Stoccarda per il trasporto locale: un caso pressochè irripetibile. Se ci fosse un capostazione in una stazione con tre carri merci al giorno, staremmo a scrivere che le FS assumono gente che passa le sue giornate a girarsi i pollici. Per la manutenzione dei carri, parliamo dei cosiddetti ECM, voluti dalla UE dopo Viareggio. I carri immatricolati presso FS li mantiene FS. A meno che i privati non si accreditino come ECM. Ma non lo fanno. Perchè? Infine il certificato di sicurezza. Adesso lo rilasca l’ANSF e nel modulo di richiesta bisogna esplicitamente indicare le linee sulle quali si opera. Capisco la terribile barriera all’entrata di dover indicare tali linee su un pezzo di carta. Vedere qui http://www.ansf.it/Certificazioni%20ed%20Autorizzazioni/certificazioni.shtml, scaricare il modulo, punto 3.16. Saluti

  11. federico bonollo

    Ho appena letto e firmato questa petizione online: CONTRO IL FINANZIAMENTO EUROPEO DELLA NUOVA LINEA FERROVIARIA AV/AC VENEZIA – RONCHI DEI LEGIONARI. Fermiamo il mostro TAV dei politici, ed investiamo quei soldi dove veramente servono!

  12. Roberto Borri

    Tutto questo succede perché non abbiamo una Pubblica Amministrazione dotata di polso fermo per purgare la mafia stradale e le mafia edilizia, autentica piaga sociale Italiana. Occorre , inoltre, risanare le Ferrovie dello Stato e riportarle ai tempi d’oro: non serve né concorrenza, né mercato, anzi, ogni interesse economico privato deve essere bandito dai servizi essenziali ad alta rilevanza sociale, tra cui rientrano i trasporti; piuttosto la Pubblica Amministrazione ed i suoi dipendenti debbono operare con la massima serietà. Sarebbe auspicabile anche una tassa sull’autotrasporto effettuato quando fosse disponibile la ferrovia.

  13. Marco Terranova

    Le faccio i miei complimenti per la fondatezza delle informazioni e la chiarezza delle analisi e delle opinioni che ha espresso senza inutile diplomazia, ma con pacatezza di toni. Grazie per contribuire a sostenere la verità e la ferrovia!

  14. Marco

    Complimenti a Ivan Beltramba per aver così ben denunciato gli ostacoli imposti da Rete Ferroviaria Italiana (gruppo FS) e da Trenitalia Cargo (sempre gruppo FS…) ai privati e terzi operatori che osano muovere il traffico merci (e di persone) in concorrenza a Trenitalia. Anziché fare un monumento d’oro a queste società che, tra 1000 difficoltà, cercano di trasportare le merci su ferro anziché su gomma, queste vengono ostacolate con tariffe da rapina a mano armata, da leggi, leggine, regolamenti, imposizioni e divieti che non hanno eguali nel resto d’Europa. Nel frattempo il monopolio guidato da Mauro Moretti continua a perdere, volutamente, tonnellate/km, treni merci, scali merci e ha già abbandonato Sardegna. Le prossime vittime saranno la Sicilia, la Calabria, la Puglia, la Campania, l’Umbria e vaste aree del Nord. Mi preme ricordare che i primi complici del monopolista Trenitalia, sono gli uomini di governo che sfornano in continuazione favori politici per prolungare l’agonia di Trenitalia (un po’ come la vicenda di Alitalia). Spero nell’intervento risolutore dell’Unione Europea, anche se si tratta di un caso disperato. Saluti Marco

  15. Pietro Spirito

    E meno male che si è realizzato in Italia il quadruplicamento delle linee ferroviarie con caratteristiche tali da consentire anche il transito dei treni merci. Aumentando per questa via in modo robusto il costo della infrastruttura. Nel frattempo, nulla si è fatto per allargare il mercato del trasporto ferroviario delle merci. Con l’esito, infausto per le finanze pubbliche, di aver sinora delapidato denaro pubblico in iperinvestimenti non sostenuti da coerenti politiche sull’organizzazione dei servizi di trasporto.

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