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Autore: Luigi Oliveri Pagina 5 di 6

oliveri E' Dirigente degli Ambiti di Verona e Vicenza dell'ente Veneto Lavoro. Collabora dal 1997 al quotidiano economico "Italia Oggi" per gli approfondimenti giuridici delle questioni attinenti agli enti locali. Collabora con il Centro Studi e Ricerche sulle Autonomie Locali di Savona e con La Gazzetta degli enti locali della Maggioli editore.

MEGLIO POTENZIARE I SERVIZI PUBBLICI ALL’IMPIEGO

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SE UN PATROCINIO NON SI NEGA A NESSUNO

Dalla sagra strapaesana alle ricerche di mercato più improbabili: comuni, province e Regioni non lesinano denaro in sponsorizzazioni, patrocini e contributi. La normativa prevede la pubblicazione successiva della spesa sostenuta, ma non esiste una rilevazione nazionale del volume delle risorse erogate. E finora i tentativi di limitare le spese di rappresentanza hanno solo creato grandi polveroni. Eppure un totale divieto permetterebbe di risparmiare centinaia di milioni di euro. A quanti punti di pressione fiscale locale in meno potrebbero equivalere?

POCHI RISPARMI SENZA LE PROVINCE

Se la manovra “salva Italia” non ha potuto cancellare le province, le depotenzia a tal punto da rivelarsi il primo passo decisivo verso la loro definitiva soppressione, anche con una certa “disinvoltura” costituzionale.

LE IMBARAZZANTI DOMANDE DELL’EUROPA SULLA PA

Il questionario della Commissione Europea, che vuole vederci chiaro sugli effetti delle riforme promesse come elemento dello sviluppo, tocca il nervo scoperto del sostanziale fallimento delle nuove regole sulla pubblica amministrazione, sbandierate come una panacea. Il governo in questi anni non ha fatto altro che parlare di scarsa produttività dell’amministrazione pubblica, di costo troppo elevato dei dipendenti e del loro numero eccessivo. In Europa, per coerenza, si aspettano concrete riduzioni di questi indicatori. Come spiegare ora che era solo propaganda?

FARE A MENO DEI CERTIFICATI

La necessità di esibire certificati di varia natura in diverse situazioni rappresenta una perdita di tempo e di energie per amministrazioni, aziende e famiglie. La soluzione non è eliminare le certificazioni, ma modificare il sistema col quale si acquisiscono le informazioni. Già da undici anni il Dpr 445 prevede per le pubbliche amministrazioni il cosiddetto accesso diretto alle banche dati. Per verificare la veridicità delle autocertificazioni dei cittadini senza richiedere alcun certificato a nessuno. Perché non si mette in pratica quella norma?

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Nel ringraziare tutti coloro che hanno inviato commenti e osservazioni al nostro pezzo, cogliamo l’occasione per qualche precisazione e sottolineatura, che faremo in modo estremamente schematico. In primo luogo, il programma Nota Fiscal Paulista (di cui esistono versioni anche in altri stati brasiliani) al di là del suo specifico ambito di applicazione (la lotta all’evasione) ci pare un bell’esperimento di e-government, un esempio da seguire per un paese come l’Italia, in cui – tanto per citare un dato – solo 541 Comuni su 8.100 consentono ai propri cittadini di svolgere le pratiche amministrative online (dati Confartigianato 2011). Venendo al merito del programma, quello che colpisce è la sua semplicità e la sua capillarità, facilmente replicabili anche da noi, se pensiamo alla vasta rete di soggetti (datori di lavoro, CAF, commercialisti, patronati di associazioni e sindacati, sedi INPS ecc. ecc.) che potrebbero fungere da interfaccia con il Fisco per tutti i cittadini che non hanno accesso diretto a internet. Quanto al suo funzionamento, uno dei principali punti di forza è che il programma, come hanno notato alcuni lettori, combatte l’evasione coinvolgendo direttamente i cittadini, che sono tra l’altro destinatari di un importante flusso di trasferimenti, addirittura maggiore di quello che alla fine arriva nelle casse pubbliche. Ciò è ovviamente possibile perché il fisco non trae solo benefici diretti (maggior gettito ICMS, l’imposta specificamente interessata dal programma), ma potrà sottoporre ad altre imposte (equivalenti alle nostre Irpef e Ires) transazioni che prima gli erano sconosciute e che oggi emergono perché il cittadino chiede che sullo scontrino venga annotato il suo codice fiscale; Nota Fiscal Paulista funziona in pratica non solo come strumento di lotta all’evasione, ma anche come programma di sostegno al reddito delle famiglie e da sistema di tracciamento delle transazioni, indipendentemente dalla forma di pagamento utilizzata. Ancora, il programma contribuisce a spezzare quel circolo vizioso per cui chi incassa una parte sostanziale dei propri ricavi in nero è poi sostanzialmente “obbligato” a chiedere forniture senza fattura (pena la costante esposizione nelle proprie dichiarazioni dei redditi di perdite sospette per il fisco). Altre considerazioni si potrebbero fare entrando nel dettaglio dei dati, o evidenziando la notevole semplificazione che il programma ha comportato anche nei rapporti tra fisco e pubblici esercizi, ma ciò che ci premeva era mettere in luce un’impostazione di fondo della lotta all’evasione che per certi versi è antitetica ai temi dominanti nel nostro paese. Infine, un lettore evidenzia un’imprecisione nel riportare il lavoro di John List, dovuta a un eccesso di sintesi: l’esperimento metteva a confronto due modi di pagare i dipendenti, uno in cifra fissa oraria, l’altro con compartecipazione al 50% delle offerte ricevute, e ha messo in luce che quest’ultimo riduce di gran lunga l’entità dei furti. È ovvio che ciò comporta un costo, ma è lo stesso concetto di compartecipazione all’IVA riscossa: esso al netto dei costi conviene sempre perché si recupera molto del gettito evaso, solo una parte del quale viene restituito ai cittadini sotto in varie forme.
Alcuni lettori poi esprimono una sorta di censura etica al programma, perché premia in vario modo comportamenti che invece sarebbero doverosi: seguendo questa logica però dovremmo censurare allo stesso modo tutti i tipi di incentivazione, in tutti i campi, quali ad esempio i bonus ai lavoratori che raggiungono particolari risultati. Anche loro non fanno altro che compiere il loro dovere. Senza contare che a noi paiono molto più scorretti quegli strumenti di lotta all’evasione attraverso i quali il Fisco implicitamente (ma non troppo) dice a questa o quella categoria di contribuenti: “secondo me sei un evasore, dimostrami che non è vero”.
Siamo consapevoli, lo ribadiamo ancora a scanso di equivoci, che l’adozione di un programma simile non risolverebbe d’incanto il problema dell’evasione dell’IVA e delle altre imposte ad essa collegate, ma crediamo fortemente che insieme ad altri strumenti possa costituire un importante passo avanti verso un fisco più equo ed efficiente.

TIROCINIO PIÙ DIFFICILE

Non c’è solo l’articolo 8 nella manovra finanziaria a occuparsi delle regole nel mercato del lavoro. L’articolo 11 mette forti vincoli all’utilizzo del tirocinio di formazione, che invece è uno strumento utile per attivare un contatto diretto tra lavoratore e azienda. È vero che troppo spesso viene considerato come un sistema di reclutamento a buon mercato. Ma la nuova norma restringe eccessivamente il novero delle persone ammissibili a diventare tirocinanti, con alcune clamorose esclusioni. Per scongiurare gli abusi sarebbe bastato rendere obbligatorio un compenso minimo.

ABOLIRE LE PROVINCE? SI RISPARMIA POCO

Le province spendono circa 12 miliardi di euro all’anno, ma 6 miliardi non sono facilmente comprimibili perché si tratta di rimborsi di prestiti e spese per manutenzione del patrimonio immobiliare. Anche da una sua eventuale dismissione non si otterrebbe molto, a meno di non pensare di vendere edifici scolastici e strade. Quanto al personale, spesso proviene da altre amministrazioni ed è chiamato a svolgere le nuove funzioni attribuite dalle leggi Bassanini. Insomma, al massimo si possono risparmiare 2 miliardi l’anno.

E PER SEMPLIFICARE SI SACRIFICA LA TRASPARENZA

Il decreto sviluppo modifica pesantemente il codice dei contratti. Non è la prima volta. Sempre alla ricerca di una semplificazione delle gare con aperture ancora più ampie a procedure negoziate senza bando, ma mai ottenuta finora. Altre fasi del processo sono ben più lunghe e complesse: dalla programmazione e progettazione alla realizzazione dell’opera. Nel decreto, poi, ci sono misure che sono solo imposizioni normative finalizzate al contenimento dei costi.

LA PAROLA FINE SULLA RIFORMA BRUNETTA

L’accordo del 4 febbraio tra governo, Cisl e Uil cancella uno dei punti qualificanti della riforma del pubblico impiego: la distribuzione obbligatoria dei dipendenti in tre livelli di valutazione. Troppo semplicistico e draconiano ridurre il problema della produttività dei dipendenti pubblici a un risultato valutativo precostituito in laboratorio. Ora una semplice intesa sindacale ne elimina gli effetti. Ma sarebbe stata più opportuna una vera autocritica, con una nuova riforma che imponesse valutazioni serie, meritocratiche e differenziate.

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