Contrariamente a quanto si lascia intendere, la riforma della tassazione delle società approvata dal Consiglio dei ministri non comporterà una riduzione dell’onere fiscale che grava sulle imprese. Non è neppure vero che ci si adegui a un modello europeo, peraltro inesistente. È vero invece che dalle legislazioni degli altri paesi europei si mutuano le norme più favorevoli per le holding e per i gruppi, senza interrogarsi se il nuovo sistema sia o meno coerente con le proposte di coordinamento elaborate dalla Commissione europea.
Autore: Maria Cecilia Guerra
Ha conseguito l’M.Phil in Economics alla Cambridge University (UK). È dottore di ricerca in Economia Politica presso l’Università di Bologna; è docente di Scienza delle Finanze presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. È membro fondatore del CAPP – Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche presso il Dipartimento di Economia Politica dell’Università di Modena e Reggio Emilia. È stata sottosegretaria al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali sotto il governo Monti e viceministro presso lo stesso dicastero con Delega anche alle Pari opportunità sotto il governo Letta. È stata poi Sottosegretaria al Ministero dell'Economia sotto i governi Conte2 e Draghi. Attualmente è membro della Camera dei Deputati. Redattore de lavoce.info.
L’abbattimento della pressione fiscale promesso dal “contratto con gli italiani” riguarda solo una piccola fascia della popolazione, quella più ricca. Lo dimostrano le misure già adottate, come la soppressione della tassa sulle eredità di maggiore entità , e quelle previste per il futuro, come la revisione delle aliquote Irpef per gli ultimi scaglioni di reddito. Mentre gli effetti distributivi del primo modulo della riforma sono stati quasi nulli.
Eliminare l’Irap non è solo un problema di gettito. È infatti un’imposta sui redditi particolarmente adatta a finanziare un servizio generale come la sanità . E garantisce alle Regioni quel margine di manovra che i contributi sanitari non possono dare per loro natura.