Il contributo degli enti territoriali alla manovra finanziaria può realisticamente essere solo marginale, attorno ai 2-3 miliardi di euro al massimo. Anche se non necessariamente implica un risparmio per l’erario, è una buona idea sostituire i vari vincoli sulla spesa locale con uno sul saldo. Contemporaneamente, però, andrebbe rimosso il blocco sulle addizionali regionali e comunali. Restano da risolvere le questioni di quale saldo utilizzare e se inserirvi la spesa per investimenti. Tuttavia, per il futuro serve un sistema adeguato di sanzioni e incentivi.
Autore: Maria Flavia Ambrosanio
Professore associato di Scienza delle finanze, insegna Scienza delle finanze e Sistemi fiscali comparati presso l’Università Cattolica, dove è coordinatrice del Master in Economia Pubblica, all’interno del quale tiene il corso di Economia Pubblica. Ha collaborato e collabora con istituzioni e centri di ricerca nazionali ed internazionali. Collabora da anni alla redazione di Osservatorio Monetario, iniziativa dell’Associazione per lo Sviluppo e gli Studi di Banca e Borsa. I più recenti ambiti di ricerca riguardano la concorrenza fiscale, la finanza regionale e locale, i problemi dello sviluppo sostenibile e della private-public partnership.
Dopo la crisi dei primi anni Novanta e la successiva moderata ripresa, quali sono le prospettive future degli investimenti pubblici in Italia? Non sembrano andare verso un vero rilancio. La Finanziaria 2005 ha introdotto la regola del 2 per cento, che sembra possedere un forte contenuto redistributivo tra programmi di spesa: si riducono gli investimenti per consentire la crescita della spesa corrente. Il nuovo Patto di stabilità interno per gli enti locali, poi, sottopone a vincoli anche le spese dinvestimento, che in passato ne erano escluse.
Con poche eccezioni, le Regioni hanno utilizzato l’Irap soprattutto per finalità redistributive o di supporto all’attività economica. Anche gli incrementi di aliquota introdotti per finanziare i deficit sanitari non sono stati indiscriminati e all’esigenza di far cassa si è accompagnato il mantenimento delle agevolazioni per i settori “meritevoli”. Il bilancio di questa fase sembra dunque positivo. Peccato che in attesa di un mai raggiunto accordo sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale, i margini di autonomia siano stati drasticamente ridotti.
L’obiettivo fondamentale del patto di stabilità interno diventa non più il saldo, ma le spese, che comprendono ora anche quelle in conto capitale. E’ una scelta che estende a livello locale decisioni nazionali. Ma è in contraddizione con la contrazione dei trasferimenti erariali in atto da vari anni e con sane norme di federalismo fiscale. Inoltre, un vincolo sulla spesa in conto capitale dovrebbe essere calcolato rispetto alla media di almeno un triennio, per evitare effetti iniqui.