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Autore: Mario Macis

Macis Laurea al DES in Bocconi e PhD in Economics alla University of Chicago, Mario Macis e’ Professore di Economia alla Johns Hopkins University, Carey Business School. E’ anche Research Associate al National Bureau of Economic Research (NBER) e all’ Institute of Labor Economics (IZA). Il Prof. Macis è un economista applicato con interessi di ricerca in economia della salute, del lavoro, dello sviluppo, e in market design. Ha pubblicato su importanti riviste accademiche, tra cui American Economic Review, Journal of Labor Economics, Journal of Health Economics, Journal of Development Economics, Management Science e Science. I suoi studi sono stati finanziati da agenzie pubbliche e private, tra cui NSF, NIH e Gates Foundation. Il Prof. Macis e’ stato consulente della Banca Mondiale, dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’, dell’Ufficio Internazionale del Lavoro, del Development Programme delle Nazioni Unite, e del National Marrow Donor Program degli Stati Uniti. Nel 2020-2022 e’ stato membro di una commissione della National Academies of Sciences, Engineering and Medicine incaricata di formulare raccomandazioni al Congresso degli Stati Uniti per un sistema di approvvigionamento e allocazione degli organi per trapianto più equo ed efficiente.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Cari Lettori,
le vostre riflessioni hanno contribuito ad arricchire la conoscenza sull’argomento stimolando un ampio dibattito.

Sui contenuti:

1)     La diffusione: In Europa il nucleare è al primo posto nel confronto del mix delle fonti per la produzione di energia elettrica con il 31%. Il carbone è al 28%, il gas al 21%, le rinnovabili sono al 14% e il petrolio al 4% (cfr. Enea Rapporto energia ambiente 2007 – Luglio 2008). E’ ormai opinione comune che solo un mix equilibrato delle fonti energetiche è in grado di favorire l’efficienza energetica.

2)     Le scorie: se è vero che oggi le centrali nucleari sono più sicure di vent’anni fa, è anche vero che le scorie rimangono un problema e il loro smaltimento richiede tempi lunghissimi. Riguardo lo smaltimento, la gestione dei rifiuti prende in considerazione il loro isolamento dalla biosfera per il tempo necessario a consentire il decadimento della radioattività presente. Nel caso di rifiuti a bassa attività, che costituiscono circa il 95% dell’intera produzione (cfr. Enea Rapporto energia ambiente 2007 – Luglio 2008), l’isolamento può essere garantito anche dal calcestruzzo che ha dimostrato di avere proprietà meccaniche, idrauliche e chimiche idonee per questo fine. Nel deposito definitivo dei rifiuti a vita lunga, la soluzione che ormai viene universalmente attuata è il loro deposito in alcune formazioni geologiche profonde adatte a restare stabili e inalterate nel tempo. Hanno questi requisiti i giacimenti come i bacini salini, specie quelli di salgemma e quelli argillosi e altri particolari tipi di rocce cristalline come i graniti non fratturati. In Francia si stanno sperimentando sistemi che prevedono la separazione in appositi reattori dei prodotti a più alta attività e la loro trasmutazione in radioisotopi a vita breve.

3)     La pericolosità delle centrali: mi chiedo se siano più pericolose le “eventuali” centrali italiane sottoposte a rigidissimi controlli, oppure se dobbiamo temere maggiormente alcune centrali nucleari che sono a pochi chilometri dai nostri confini come quelle al di là dell’Adriatico. Dopo il 1987 c’è da domandarsi se ha ancora senso importare energia in dosi massicce da paesi vicini al nostro che la producono con la tecnologia nucleare: questo non ci protegge da eventuali incidenti esponendoci nello stesso modo ai rischi di dispersione sul territorio e ci fa sostenere gravosi costi di acquisto dell’energia.

4)     Energie alternative: La previsione della European Photovoltaic Industry Association (cfr. http://www.epia.org/) per il 2025 è di avere una potenza fotovoltaica mondiale installata di 433 GW con una produzione di energia elettrica corrispondente a circa il 3% della stima di consumo mondiale. In Italia l’attuale dipendenza energetica è frutto di anni di incurie: oggi dipenderemmo meno dall’estero se avessimo investito nelle rinnovabili. Siamo il paese del sole e per vedere i tetti fotovoltaici dobbiamo andare in Germania. Da noi ci sono alcune zone, soprattutto nelle Isole, fortemente battute dal vento ma i maggiori produttori di energia eolica in Europa sono la tedesca E.ON e le spagnole Gamesa e Endesa. Anche in questo caso c’è da chiedersi perché negli anni non abbiamo investito seriamente in queste tecnologie accumulando, così, un imbarazzante ritardo nella ricerca e nello sviluppo.

5)     Sviluppo sostenibile-autonomia energetica: I dati dell’International Energy Agency dello scorso anno (cfr. http://www.iea.org) indicavano l’Italia come il secondo paese al mondo per importazione di energia elettrica: acquistiamo circa l’84 per cento del fabbisogno. Non è auspicabile continuare a dipendere in modo così ampio dalle importazioni per soddisfare una crescente domanda. I nostri consumi negli ultimi anni sono aumentati enormemente, pensiamo solo alla diffusione dei condizionatori o agli impianti industriali sempre più energivori. Anche la domanda mondiale è in crescita: le previsioni contenute nel Word Energy Outlook 2008, riportano un incremento medio della domanda mondiale dell’1,6% annuo durante il periodo 2006-2030.

6)     Il piano energetico nazionale: un piano energetico dovrebbe prevedere un programma di sviluppo che tenga conto delle risorse per l’efficienza energetica, per lo sviluppo delle rinnovabili e investimenti nella ricerca in modo da non dover rinunciare alle, sempre più strette, sinergie interdisciplinari.

7)     Nucleare si o no: Una cosa è certa: il nostro Paese accusa ritardi enormi nella ricerca e non possiamo permetterci di continuare a dipendere, nelle proporzioni sopra indicate, dall’estero. E’ necessario trovare presto delle alternative, siano le rinnovabili (che da sole però non bastano) o lo stesso nucleare, che ci permettano di ridurre le importazioni di energia.

Oscar Wilde diceva che “il non fare nulla è la cosa più difficile del mondo”. In questi anni noi ci siamo riusciti.

UN TORNACONTO SUL SANGUE? NI, GRAZIE

In molti paesi la scarsità di offerta di sangue è un fenomeno frequente e allarmante. In Italia, solo il 5-10 per cento degli idonei è effettivamente un donatore e percentuali simili si trovano in tutta Europa e negli Stati Uniti. Il sistema delle donazioni è volontario e basato solo sul puro altruismo. Avremmo più donatori e più donazioni se fossero previste ricompense? Gli incentivi sono importanti, ma non sono tutti uguali: alcuni, come il denaro contante, possono avere un effetto opposto a quello desiderato.

Il mercato non va all’università

La proposta del ministro Mussi sul reclutamento dei ricercatori universitari ha alcuni elementi di indubbia novità che si richiamano al sistema anglosassone. Ma è un errore adottare solo alcune caratteristiche di altri modelli, senza coglierne lo spirito complessivo. Più in generale, la riforma tradisce una profonda diffidenza verso un meccanismo genuinamente di mercato, la sua capacità di autoregolarsi e correggersi, e il nesso inscindibile tra autonomia, potere e responsabilità.

Una bussola nella giungla dei blog

La diffusione dell’uso di internet ha portato alla proliferazione di siti di informazione e opinione. Per discriminare le buone fonti da quelle sì gratuite, ma fondamentalmente inutili, il primo consiglio è privilegiare i blog nei quali gli autori firmano con nome e cognome e hanno interesse a mantenere una reputazione. Oppure quelli nei quali esiste un filtro all’ingresso. Da prendere con cautela invece quelli curati da individui che rimangono anonimi o usano pseudonimi, specie se non accettano il contraddittorio con gli altri utenti.

Un referendum da riformare

Innalzare il numero di firme necessarie a supporto di un referendum da 500mila a un milione, e abolire il quorum. Due semplici modifiche che portano notevoli benefici. Il costo di proporre un referendum sarebbe più alto, e di conseguenza la “qualità” o rilevanza media dei referendum aumenterebbe. Il risultato della consultazione sarebbe deciso solo dagli elettori effettivamente interessati, e non più dagli indifferenti e disinformati. Sarebbe più lineare l’analisi del voto, mentre i partiti dovrebbero prendere posizioni più chiare.

Quote rosa in modica quantità

Il nuovo Governo ribadisce l’intenzione di approvare una legge per garantire l’ingresso delle donne in politica. Se da una parte le quote riservate permetterebbero di aumentare subito la rappresentanza femminile nelle sedi istituzionali, esiste anche il rischio di avere donne scarsamente qualificate in ruoli importanti. Una possibile soluzione è l’introduzione di quote modeste, ma via via crescenti. Le donne interessate avrebbero così il tempo di acquisire l’esperienza e le competenze necessarie allo svolgimento dell’attività politica.

La campagna elettorale passa in tv

La nuova legge elettorale proporzionale prevede liste bloccate: gli elettori votano per un partito, senza la possibilità di indicare preferenze. I candidati non hanno così incentivi a svolgere campagna elettorale. Il sistema danneggia i partiti più radicati nel territorio e accresce invece il potere di quelli di livello nazionale, privi di una base. Il primo effetto sarà uno “spostamento” della campagna elettorale. Si svolgerà sempre meno nelle piazze delle città e sempre più sui grandi mezzi di comunicazione nazionali. Ovvero, soprattutto in televisione.

L’Aids e il vaccino che non c’è

Debellare l’Aids è una priorità ed è considerato l’intervento dai maggiori benefici economici in termini assoluti. Eppure il vaccino ancora non c’è. Perché? Sicuramente ricerca e sviluppo sono estremamente costosi. Ma soprattutto è diversa la redditività di un farmaco post-contagio e di un vaccino. E dunque per le imprese farmaceutiche è più conveniente investire nella ricerca di cure. A questo fallimento del mercato potrebbe rimediare l’operatore pubblico. Un intervento giustificato anche dagli alti costi di prevenzione e cura della malattia.

Par condicio con l’handicap

Per garantire effettiva parità di accesso ai mezzi di informazione a tutti i partiti e candidati si potrebbe ricorrere a logiche simili all’handicapping sportivo. Significherebbe assegnare più spazio ai gruppi meno rappresentati in Parlamento. E se il leader della maggioranza controlla gran parte delle televisioni, i prezzi degli spazi tv potrebbero essere determinati in funzione inversa rispetto alle capacità finanziarie dei singoli soggetti politici. Esattamente il contrario di quanto proposto da Berlusconi e Fini.

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