L’analisi dei dati sui prezzi dei carburanti porta a escludere l’ipotesi di speculazione. I rincari derivano dalla decisione politica di non rinnovare lo sconto sulle accise. È una scelta da non condannare, ma non vanno ignorati i costi sociali ed economici.
Autore: Matteo Manera
Matteo Manera ha conseguito la laurea in Economia presso l’Università Bocconi, il Master in Economia presso l’Università di Warwick, e il Dottorato in Economia presso l'Istituto Universitario Europeo. E’ Professore ordinario di Econometria presso il Dipartimento di Economia, Metodi Quantitativi e Strategie di Impresa dell’Università di Milano-Bicocca e ricercatore associato presso la Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM). Ha coordinato il programma di ricerca “International Energy Markets” presso la FEEM, dove attualmente è coordinatore dei progetti “Financial Speculation in the Oil Markets”, “Oil Price Trends and Forecasts”, and “Oil and Commodity Price Dynamics” all’interno del programma di ricerca “Energy: Resources and Markets”. Fa parte del Direttivo del Centro Interuniversitario di Econometria (CIdE). Coordina il modulo di “Topics in Microeconometrics with Applications to Energy and Environmental Economics” organizzato dal CIdE in collaborazione con il Dipartimento di Economia dell’Università di Palermo. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche su tematiche energetiche e ambientali.
Negli ultimi quindici mesi il prezzo netto della benzina e quello del petrolio sono quasi perfettamente allineati. Difficile ipotizzare speculazioni: ad amplificare la crescita della componente materia prima del prezzo netto dei carburanti è l’Iva.
Davvero il prezzo del petrolio subisce variazioni preoccupanti? Negli ultimi tre mesi l’oscillazione non ha mai raggiunto l’8 per cento. Si tratta di una crisi di nervosismo del mercato, non di un fenomeno collegato a fatti specifici. Lezioni dal confronto con situazioni critiche del passato.
Il greggio è rincarato di oltre il 60 per cento nel 2005. Ma le conseguenze per crescita e inflazione non sono le stesse registrate in altre crisi petrolifere. Soprattutto perché quello attuale è uno shock da domanda e non da offerta. Resta però una sostanziale vulnerabilità dei paesi occidentali. Prezzi crescenti del petrolio agiscono come una potente tassa sui consumatori che comprimono così la spesa per altri beni. La stagnazione dell’economia, poi, non consente di attutire l’impatto attraverso un incremento dei redditi. Con riflessi anche sui risparmi.