Il nuovo Codice europeo contro la disinformazione è un esempio di co-regolamentazione. Rispetto a quello del 2018, prevede indicatori molto più precisi per misurare l’effettivo rispetto degli impegni presi dalle piattaforme e degli altri firmatari.
Autore: Oreste Pollicino
Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università Bocconi e membro del Comitato esecutivo dell'Agenzia europea per i diritti fondamentali. Co-founder DigitalMediaLaws
Il primo Codice europeo contro la disinformazione del 2018 aveva come nozione fondante la metafora di internet quale nuovo mercato delle idee, importata dagli Stati Uniti. Trasportata in un sistema valoriale diverso, non poteva che fallire.
Europa e Usa hanno finora affrontato con approcci opposti il tema della libertà di espressione sulle piattaforme digitali, non senza contraddizioni interne. Ora però è il momento di trovare un linguaggio comune nei meccanismi procedurali.
Finalmente il Parlamento ha eletto i tre nuovi giudici costituzionali: uno studioso di diritto del lavoro e due noti costituzionalisti. Quale contributo porteranno nella giurisprudenza della Corte? Senza dimenticare che le decisioni sono comunque collegiali, si possono fare alcune previsioni.
Presentato in Senato un disegno di legge su diritto di accesso, libertà di informazione e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Amplia di molto l’ambito soggettivo di applicazione del diritto di accesso. Ma non si armonizza con altre norme e non risolve il problema del riuso dei dati.