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Autore: Paul Krugman

Non tutti i debiti sono uguali

Il debito è davvero così centrale nella crisi e nella sua soluzione come si sostiene nei vertici internazionali e nelle discussioni da bar? Il livello del debito è importante perché è importante la distribuzione di quel debito. Insomma, non tutti i debiti sono creati uguali. E la spesa pubblica finanziata in deficit può permettere all’economia di evitare disoccupazione e deflazione, mentre gli agenti fortemente indebitati del settore privato risanano i loro bilanci. Lo Stato potrà rimborsare i suoi debiti una volta che la crisi di deleveraging sia passata.

 

L’IMPAREGGIABILE SAMUELSON

Paul Samuelson è stato un pensatore unico. Nessuno ha dato alla scienza economica tante idee fondamentali nei più diversi campi. Ma particolarmente attuale appare oggi il suo contributo alla politica economica. Fondato sulle buone politiche macroeconomiche. Un insegnamento spesso dimenticato da economisti troppo presi dalla bellezza della matematica dei mercati perfetti. E che per questo trascurano il mondo reale. Al quale invece Samuelson è rimasto sempre profondamente ancorato.

IL RICORDO DI UN NOBEL

E’ un’occasione triste.
Ho conosciuto Riccardo per gran parte della mia vita di adulto. Abbiamo studiato assieme al MIT. Non posso dire di averlo conosciuto intimamente: era più una conoscenza di lavoro, perché lavoravamo nello stesso campo. Non riesco nemmeno a ricordare quante volte ci siamo incontrati nei vari convegni e, anche se non abbiamo probabilmente mai parlato per più di 45 minuti consecutivi, percepivo ugualmente che genere di persona fosse: una compagnia ideale, brillante, divertente, interessante. Era anche una persona molto pacata e discreta, quindi ci si metteva un po’ a capire che egli intuiva, prima degli altri, nuove soluzioni in campo economico. Mi ci vollero anni per comprendere che il famoso paper del 1984 mi aveva dischiuso prospettive totalmente inedite della geografia economica. E mi accorgo che quei miei lavori, che oggigiorno riscuotono maggior interesse, sono proprio quelli ispirati alle idee di Riccardo. Devo molto della mia reputazione accademica alle sue intuizioni, che gli permisero di aprire un campo nuovo.
Aveva il dono di saper vedere ciò che non era evidente. All’epoca, aveva cominciato a lavorare su alcune regioni e su base geografica . Può darsi che qualcun altro avesse già iniziato ad occuparsi del caso italiano, ma non era un argomento di moda, non era considerato importante; eppure in seguito divenne enormemente importante. Poi, con l’andar degli anni gran parte del suo lavoro si concentrò sulle molteplici dimensioni della globalizzazione. Gli ultimi suoi paper, che ho letto, evidenziano come vi siano molteplici canali ricorrenti, che si rinforzano a vicenda.
Ora, se mi guardo indietro, mi accorgo che studiavamo gli stessi argomenti – e spesso era lui il primo a farlo.  Era vivamente interessato al processo di interazione economica delle nazioni – quello visibile e quello invisibile – grazie al quale alcune economie nazionali evolvono in un modo che sarebbe impossibile senza quella specifica interazione. 
Una carriera straordinaria.
Nei miei discorsi, talvolta, faccio riferimento (e non so neanche se tale accenno venga sempre capito) a quel gruppo di economisti internazionali, che negli anni ’80-90 lavoravano sui temi dei rendimenti crescenti e che tentavano di essere sempre un passo avanti agli altri. Bene, di quel gruppo di economisti della mia generazione, sempre gli stessi ad incontrarsi ai convegni, Riccardo Faini è stato il primo ad andarsene. E’ una perdita molto dolorosa.

(traduzione di Daniela Crocco)

 * Questo intervento è uno stralcio tra tto dal libro “Riccardo Faini. Un economista al servizio delle istituzioni” edito da il Mulino e curato da Alessandra Del Boca. Il testo è anche un estratto della Fifth Luca d’Agliano Lecture, presentata da Paul Krugman a Torino, il 7 giugno 2007

La disuguaglianza che arriva dal commercio *

Oggi non è più possibile affermare che gli effetti del libero commercio sulla distribuzione del reddito nei paesi ricchi sono minimi. Al contrario, con lo sviluppo della Cina e la crescente frammentazione della produzione, si può sostenere che sono notevoli e crescenti. Non vuol dire che si devono abbracciare le tesi del protezionismo. Significa, però, che i fautori del libero commercio devono trovare risposte migliori alle ansie di coloro che molto probabilmente si troveranno dalla parte perdente della globalizzazione.

I want my country back*

Gli Stati Uniti sono diventati un modello da imitare. Negli anni Novanta, grazie a riduzioni nei livelli di regolamentazione e nel sistema del welfare, sono riusciti a crescere fortemente coniugando forte creazione di posti di lavoro con aumenti della produttività del lavoro. Ma l’altra faccia della medaglia è la spaventosa crescita della disuguaglianza nei redditi, risalita ai livelli d’ante guerra. L’Europa deve riflettere su questo. E sul tipo di equilibri politici che potrebbero scaturire in una società fortemente diseguale.

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