Il Meccanismo europeo di stabilità permette di erogare prestiti a paesi che non riescono a trovare fondi sul mercato. Rende dunque poco probabile il ripetersi della crisi dei debiti sovrani e delle banche che abbiamo vissuto nel 2010-2012.
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Professore Ordinario di Economia Politica presso la LUISS G. Carli, Research Fellow del CEPR, Senior Fellow RCEA, Co-Editor di Research in Economics. Ha conseguito il PhD in Economia presso la Columbia University, New York. E' stato professore di ruolo presso le università di Roma La Sapienza, Chieti, Napoli Federico II, visiting professor presso la Columbia University, UCLA, University of Pennsylvania, Jean Monnet Fellow presso l'Istituto Universitario Europeo, prorettore alla ricerca della LUISS G. Carli dal 2011 al 2012.
Il maggiore grado di condivisione del rischio che si ha negli Stati Uniti rispetto all’Eurozona è dovuto principalmente a mercati finanziari più integrati. In Europa è più importante il contributo delle istituzioni pubbliche, soprattutto dopo la creazione dei meccanismi di aiuto sovra-nazionali.
Il bail-out della Grecia del 2010 ha sostituito debito privato con debito pubblico. E certo parte delle risorse sono finite a banche tedesche e francesi. Ma perché gli aiuti alle banche greche non dovrebbero essere conteggiati nel totale di quanto ricevuto dal popolo greco? Due questioni separate.
Tsipras sostiene che le risorse del primo salvataggio sono andate alle banche di Francia e Germania. Ma i numeri raccontano una storia diversa. Tra 2010 e 2013 banche e governo greci hanno ricevuto un flusso positivo di risorse dall’estero. Un accordo con i creditori l’avrebbe fatto continuare.
La crisi del debito insegna che è più facile realizzare le riforme strutturali quando la permanenza nell’Eurozona è messa in discussione. Ed è la disponibilità a farle che il governo greco deve dimostrare, mentre torna a chiedere con forza la riduzione del debito dopo la vittoria del “no”.
Ridurre il cuneo fiscale che grava sui salari attraverso trasferimenti oppure il taglio delle imposte può avere effetti molto diversi. Se il governo avesse scelto di rivedere il profilo delle detrazioni avrebbe dato un segnale più chiaro. Provvedimento a favore dell’equità, ma anche della crescita.
La situazione dell’Eurozona fa pensare che il Qe annunciato dalla Bce non sarà molto efficace né disincentiverà le riforme strutturali. Permetterà però alle banche del Sud Europa troppo esposte sul debito sovrano di risolvere il problema dell’adeguamento ai nuovi requisiti di capitale.
Con la vittoria di Syriza alle elezioni, la rinegoziazione del memorandum è ormai inevitabile. Si tratta di un notizia che evidenzia le molte fragilità del sistema federale europeo. Ma non è il rigore il vero problema dell’economia greca.
Ruggero Paladini e Vincenzo Visco su lavoce.info propongono una riforma ambiziosa della tassazione sui redditi volta a eliminare le distorsioni prodotte dalle detrazioni di imposta decrescenti, in parte criticando il nostro precedente articolo pubblicato, sempre su lavoce.info, l’11 febbraio in cui proponevamo una diversa riforma che cercava di limitare le medesime distorsioni adottando una detrazione fissa per redditi tra gli 8 e i 15 mila euro, e decrescente poi in maniera lineare fino a 55 mila euro.
Tfr in busta paga: perché sì e perché no
Di Pietro Reichlin
il 20/10/2014
in Commenti e repliche
Le “dieci ragioni” contro la proposta di lasciare il Tfr in busta paga enunciate da Tito Boeri non mi convincono. È evidente che il superamento di questo istituto implica ostacoli e problemi di transizione non banali. Come si finanzieranno da domani le piccole imprese? Quali asimmetrie di trattamento si verranno a creare tra lavoratori? Tuttavia, ogni riforma dei regimi previdenziali determina ostacoli e diseguaglianze. Non mi soffermo, quindi, sui problemi legati all’attuazione della misura, ma sui principi più generali. In particolare, provo a elencare quattro ragioni per cui, secondo me, sarebbe opportuno lasciare ai lavoratori la libertà di scegliere come impiegare il proprio salario.
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