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Autore: Roberto Perotti Pagina 6 di 9

perotti Laureato all'Università Bocconi, ha conseguito il PhD in Economics al MIT di Cambridge, Massachusetts nel 1991. Dopo 10 anni di insegnamento alla Columbia University di New York (dove ha conseguito la cattedra a vita) e due anni all’European University Institute di Firenze, nel 2005 diventa professore ordinario all'Università Bocconi, dove è anche membro del centro di ricerche IGIER, di cui è stato direttore dal 2006 al 2008. I suoi interessi scientifici sono prevalentemente in macroeconomia, e in particolare nello studio degli effetti delle politiche di bilancio. È Research Fellow presso il Center for Economic Policy Research (CEPR) di Londra e Research Associate presso il National Bureau of Economic Research (NBER), Usa. È stato consulente del Fondo Monetario Internazionale della Banca Mondiale, della Inter-American Development Bank, della Banca Centrale Europea, e della Banca d’Italia, e Academic Consultant del Federal Reserve Board di Washington. È stato co-direttore del Journal of the European Economic Association. È stato consigliere economico del Presidente del Consiglio dal settembre 2014 al dicembre 2015. È editorialista del quotidiano Repubblica e membro del consiglio di Amministrazione di Assicurazioni Generali. Ha pubblicato "Meno Pensioni, Più Welfare" (Il Mulino, 2002, con Tito Boeri, ) e "L'Università Truccata" (Feltrinelli, 2008), "Status quo" (Feltrinelli, 2016) e "Falso!" (Feltrinelli, 2018)

Perché i senatori a vita sono una pessima idea

In un momento di antipolitica dilagante, qual è il senso dell’istituto previsto dall’articolo 59? Non eletti, assenti alle votazioni e politicamente rischiosi, la scelta dei senatori a vita non sempre si è rivelata giudiziosa.

Quella confusione tra staffetta e età pensionabile

La staffetta giovani- anziani è poco popolare tra gli economisti: per molti aspetti è l’opposto dell’ aumento dell’ età pensionabile appena approvata dal governo precedente. Ma molti  si chiedono: ha senso aumentare l’età pensionabile con una disoccupazione giovanile  al 40 percento?

Reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito

Di cosa parliamo quando diciamo “reddito di cittadinanza”? E che cosa lo distingue dal “reddito minimo garantito”? Il primo non fa distinzione tra ricchi e poveri, e di conseguenza ha un costo altissimo. Il secondo è selettivo, ha un costo più contenuto e potrebbe incorporare gli altri sussidi esistenti.

Sante Parole

Intervenendo a un convegno, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha sottolineato che le remunerazioni dei top manager bancari non sembrano “coerenti con l’attuale fase congiunturale”. Sante parole.
Compenso del  governatore della Banca d’ Italia: 682.000 euro
Stipendio di Ben Bernanke, chairman della Fed: 154.000 euro (200.000 dollari).

Ricette sbagliate: più spesa in Germania

Sono in molti ad accusare la Germania per la sua politica fiscale prudente, che finirebbe per aggravare la crisi. La cui soluzione sarebbe invece in un’espansione della spesa pubblica tedesca. Ma si tratta di una ricetta sbagliata, frutto di un keynesianismo datato. E’ un’illusione credere che un 5 per cento sul Pil di deficit di bilancio in Germania basti per risolvere i problemi di crescita dell’Europa. Che dipendono piuttosto dalle rigidità sul lato dell’offerta, soprattutto nei paesi oggi più in difficoltà.

CORVI E SPAVENTAPASSERI

Un mese fa il Ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, aveva dato dei corvi agli industriali per avere previsto un Pil in calo del 2,5 per cento nel 2009. Oggi le stime più aggiornate del Centro Studi Confindustria sono di un meno 3,5 per cento.Il Ministro del Welfare Sacconi le ha accolte con un “Qualcuno ama il peggio”. Poche ore dopo il Ministro dell’Economia Tremonti, dopo aver pronosticato che ormai “l’Armageddon finanziario è alle spalle”, dichiara “mi stupisce che qualcuno faccia ancora delle previsioni”. Passano due giorni e alla riunione del G8 lavoro, l’Ocse presenta le sue stime sulla disoccupazione, prevista a due cifre entro il 2010 per i paesi dell’organizzazione. Il commento di Sacconi è leggermente più cauto, ma ugualmente caustico: “Non aiuta il continuo prodursi di previsioni in sequenza l’una con l’altra…spesso le stesse organizzazioni che le fanno sono costrette a correggerle”.
È certamente vero che fare previsioni è difficile, e che ci sono stati e ci saranno errori. Ma qual è il punto che vogliono fare Sacconi, Scajola e Tremonti? Che è meglio non fornire informazioni “disfattiste” al pubblico? Oppure che loro hanno visto nel futuro che la crisi è finita, mentre tutti gli altri sono degli incapaci?
È vero che ci sono dei segnali che inducono a un cauto ottimismo, tra cui alcuni dati dal settore dell’edilizia statunitense. Ma altri dati, dall’andamento della produzione industriale in tutto il mondo ai sentimenti di imprese e consumatori in alcuni paesi non danno alcun segnale di ripresa. E molti dirigenti di impresa in vari settori (quindi non gli odiati economisti con la testa fra le nuvole) hanno detto chiaramente che non vedono spiragli a breve. Sul settore finanziario, infine, c’è un’enorme incertezza: gli stessi CEO di Citibank e Bank of America, dopo aver annunciato profitti record nei primi due mesi del 2009 (annunci che avevano dato il via al recente rally azionario), hanno dovuto correggere il tiro su marzo; ed il mercato sa benissimo che c’è ancora una concreta possibilità che qualche banca non possa sopravvivere senza una nazionalizzazione di fatto. La disoccupazione, infine, è chiaramente in aumento ovunque, e per molti il processo è solo iniziato.
Può darsi benissimo che Sacconi, Scajola e Tremonti abbiano ragione, e che OCSE, Fondo Monetario, e organizzazioni nazionali si sbaglino alla grande nel predire forti cali del Pil in tutto il mondo. Ma ci piacerebbe sapere perché. La strategia di comunicazione del governo sembra invece essere quella di stravolgere ogni teoria economica comunemente accettata, per cui un macchinoso sostegno temporaneo di 2 miliardi all’acquisto di elettrodomestici dovrebbe portare a un aumento dei consumi di 15 miliardi, o 1,3 miliardi per il fondo di garanzia delle piccole imprese potrebbero generare nuovi prestiti bancari per 70 miliardi. Con dei moltiplicatori così enormi, risolvere la crisi mondiale sarebbe uno scherzo da ragazzi.  E certo non aiuta che i media accettino queste cifre senza un minimo di vaglio critico.

MARCHIONNE E PANTALONE

Per Sergio Marchionne, sul Sole 24 Ore del 17 ottobre, è inaccettabile che “siano le imprese e i loro lavoratori“ a pagare il costo della crisi. Questo è un problema. Ci sono tre tipi di agenti economici: le imprese, i lavoratori, e coloro che non lavorano. Se il conto non possono pagarlo né le prime né i secondi, rimangono i disoccupati, i pensionati, le casalinghe, e i bambini. Dubito che sia questo che intendeva Marchionne.
In realtà, c’è un altro agente: il solito, vecchio Pantalone, cioè lo Stato. E, infatti, Marchionne avanza la “legittima richiesta” di un pacchetto di aiuti di almeno 40 miliardi di euro, naturalmente per l’industria dell’auto europea. Facciamo due conti: ci sono 217 milioni di lavoratori nell’Unione Europea, di cui circa 12 milioni nell’auto. Se tutti i settori avanzassero la stessa “legittima richiesta”, il conto salirebbe a 720 miliardi. Togliamo pure le banche, che hanno già avuto; questo lascia diciamo 600 miliardi, circa i 2/5 del PIL italiano.
Il problema, ovviamente, è che Pantalone non esiste: prima o poi la spesa pubblica va finanziata con tasse, e le tasse le pagano proprio i lavoratori e le imprese. Ma Marchionne chiede anche una detassazione dei lavoratori. Qualcosa non quadra.
Come era da prevedere, uno delle conseguenze più gravi della crisi attuale è che ha messo miracolosamente tutti d’accordo sugli aiuti alle imprese. Si può capire che politici di destra e di sinistra, a cominciare dal Presidente del Consiglio, cavalchino questa tigre; ma per la Confindustria è un gioco molto rischioso. Si ha un bel dire che gli aiuti devono essere provvisori, che lo Stato deve ritirarsi appena sarà passata la buriana. Sappiamo tutti che non sarà così. E far credere che con gli aiuti pubblici vincono tutti – la politica che compra voti e consensi, le imprese, i lavoratori, e i nostri figli – è irresponsabile.

L’UNIVERSITA’ TRUCCATA

Pubblichiamo un capito del libro di Roberto Perotti “L’università truccata” (Einaudi, 183 pagine, 16 euro), in libreria in questi giorni. L’università italiana non si riforma con nuove ondate di regole, prescrizioni e controlli. Serve invece introdurre invece un sistema di incentivi e disincentivi efficaci. Dove sia nell’interesse stesso degli individui cercare di fare buona ricerca e buona didattica ed evitare comportamenti clientelari. Su quest’ultimo aspetto si soffermano alcune parti del libro. Ecco un capitolo.

 

OMONIMIE IN CATTEDRA

Da qualche tempo siamo tormentati da docenti della Sapienza che pensano di avere trovato delle falle nel libro di Perotti e nell’ articolo di Boeri su Repubblica sul familismo nell’università. Finora sono solo riusciti a imbarazzare se stessi, e i professori Mei e Panconesi (la cui lettera è riportata qui sotto) nella lettera indirizzata a lavoce non fanno eccezione.
 Mei e Panconesi  ipotizzano   che non ci rendiamo conto di un fatto elementare, che capirebbe anche un bambino di 10  anni: il tasso di omonimia nell’ intera popolazione italiana deve essere  praticamente  il 100 percento (quasi tutti hanno almeno un omonimo nell’ intera   popolazione).  Se però avessero letto con attenzione l’articolo e,
soprattutto, il libro,  scoprirebbero che i nostri risultati non soffrono di questo problema. E soprattutto scoprirebbero che i dati alternativi che essi forniscono sono grossolanamente errati, e scaturiscono da una macroscopica  mancanza di comprensione delle procedure utilizzate nel libro di Perotti. 
Il tasso di omonimia in una determinata facoltà di Medicina  è definito in due modi alternativi: come la probabilità che un docente in quella facoltà abbia almeno un altro collega  con lo stesso nome nella sua stessa facoltà (“indice 1”), oppure nelle altre facoltà di Medicina della Regione (“indice 2”). Prendendo due facoltà a caso, alla Sapienza questi tassi di omonimia  sono rispettivamente del 21 e 30 percento, a Messina del 33 e 38 percento.
Le stesse statistiche per la Bocconi sono il 3 e 9 percento, rispettivamente. Mei e Panconesi sostengono, invece, che il tasso di ominimia per la Bocconi è del 40 percento. Come è possibile che siano incorsi in un infortunio così imbarazzante?  Ovviamente  non hanno compreso la definizione utilizzata nel libro di Perotti, ammesso che l’abbiano letto. Sospettiamo che essi calcolino il  tasso di omonimia per la Bocconi prendendo a universo di  confronto TUTTE le facoltà di TUTTE le università lombarde, ma ovviamente dei pasticci altrui è meglio chiedere conto direttamente agli autori.
Ma Mei e Panconesi non si fermano qui. Sostengono (come, ripetiamo, comprenderebbe anche un bambino di 10 anni) che sia inevitabile trovare un grado di omonimia più alto in un campione casuale più ampio. Ma il punto è precisamente che i campioni non sono casuali! Se avessero guardato la Tabella 4 del libro (pag.58), avrebbero notato che alcuni fra gli indici più alti si registrano nelle facoltà più piccole. E avrebbero notato che l’ indice 2 della Bocconi,  basato su di una popolazione di circa 700 docenti di Economia in Lombardia,  è poco più di un quarto dell’ indice 1 di Medicina di Messina, che pure è basato su una popolazione di docenti inferiore.
Vi è un metodo assai semplice per dimostrare formalmente tutto questo, così come per rispondere ad una diversa possibile obiezione alla nostra definizione (che però Mei e Panconesi, nella loro foga distruttrice,  ignorano completamente): se per motivi storici o culturali in Sicilia o in Lazio vi fossero molti meno cognomi che in Lombardia, sarebbe più facile trovare omonimie nelle prime che nella seconda. Ovviamente sappiamo che differenze così enormi come quelle evidenziate non possono essere spiegate da questo fattore, ma per eccesso di zelo, in un lavoro accademico in progress di Perotti con altri coautori (Durante, Labartino e Tabellini), abbiamo calcolato il nostro indice di omonimia ponderando la frequenza dei cognomi che si ripetono più di una volta per la frequenza relativa degli stessi cognomi in vari bacini di riferimento, quali la provincia, la regione etc.  (Tecnicamente, la soluzione consiste  nel creare una distribuzione  artificiale. Chiediamo al computer di estrarre a caso dalla popolazione di riferimento un sample di individui pari al numero di professori in una certa  unita’ accademica, e di calcolare l’indice di omonimia  corrispondente. Ripetendo la procedura per 100.000 volte  e registrando ogni volta il valore assunto dall’indice di omonimia, otteniamo alla fine una distribuzione dei valori simulati rispetto alla quale possiamo confrontare il dato osservato nella realtà e calcolare quanto sia statisticamente significativo). Con questa procedura, ecco alcuni valori  secondo la prima definizione (omonimie all’interno della stessa facoltà) quando il bacino di riferimento dei cognomi è la provincia.

In TUTTI i casi tranne la Bocconi, l’ipotesi che l’indice empirico possa derivare da un processo puramente casuale è rigettata (con p-value generalmente molto alti). Inoltre, il nostro indice non presenta alcuna distorsione in relazione al numero di docenti: alcune facoltà molto piccole presentano infatti indici molto più alti che altre ben più
grandi. Si noti per esempio Veterinaria a Messina: con soli 65 docenti, ma con un indice di omonimia riferito alla stessa facoltà che raggiunge un incredibile 50 percento: metà dei 65  docenti ha almeno un collega con lo stesso cognome!
Tutta l’operazione di Mei e Panconesi  si commenta dunque da sè, così  come il sarcasmo degli autori, che meriterebbe una causa migliore. In versioni precedenti della loro lettera, inviate a giornali e siti web, Mei e Pancanesi parlavano infatti del paradosso "Boeri-Perotti", che essi pensavano di avere scoperto, come un ottimo strumento didattico, da utilizzare con i propri studenti per insegnare loro come non si fa ricerca; liberissimi di farlo, ma  se fossimo fra i loro studenti cercheremmo  un altro
ateneo quanto prima.
Ma il vero paradosso e’ quello di  "Mei-Panconesi": come e’ possibile  che  ordinari dell’ università più grande d’ Europa perdano il loro tempo per  operazioni di disinformazione così maldestre? Ripetiamo quello che uno di noi  ha  scritto a un vostro collega, impegnato in una simile operazione di discredito,  risoltasi anch’ essa  in una figuraccia imbarazzante per il suo autore: il vostro tempo sarebbe stato molto meglio speso se  vi foste dissociati  pubblicamente dalla scandalosa elezione del rettore Frati. Bastava un minuto e una riga, una sola riga.

 

IL TESTO DELLA LETTERA INVIATA DA ALESSANDRO MEI E ALESSANDRO PANCONESI

Gentile Redazione

Qualche giorno fa è apparso su La Repubblica un articolo che riportava dati apparentemente eclatanti sul nepotismo nelle università italiane: "A Messina quasi il 40 per cento dei docenti (sì, proprio 4 su dieci) ha un omonimo in qualche università della Regione. A Napoli (Federico II e Seconda Università) si viaggia attorno al 35% di omonimie, a Roma (Sapienza, Cattolica e Tor Vergata) non si scende sotto al 30 per cento." L’articolo portava la firma del prof. Boeri che riportava un’analisi del prof. Perotti, suo collega alla Bocconi.

In realtà l’unica cosa impressionante di questi dati è il fatto che si basano su un errore piuttosto grossolano. Innanzitutto, utilizzando la stessa "metodologia" risulta che, analogamente allo "scandaloso" caso dell’università di Messina, circa il 41% dei docenti della Bocconi ha un omonimo tra le università della stessa regione. Rimanendo in Lombardia, il dato per la Statale di Milano sale al 47%. Che il grado di nepotismo della Bocconi e delle altre università lombarde sia addirittura superiore a quello della vituperata Sapienza? Può darsi. Il problema è che è impossibile scoprirlo con la "metodologia" Boeri-Perotti.

Anche chi è completamente a digiuno di matematica può iniziare ad intravedere il grossolano errore chiedendosi quante sono le persone che hanno un cognome unico in Italia, un cognome cioè che non ha nessun altro: Perotti? Difficile. Boeri? Neanche a dirlo. Mei? Ma vah! Neanche un cognome raro come Panconesi è unico. I casi di omonimia per un insieme grande come la popolazione italiana saranno quasi il 100%. Prendendo un insieme molto più piccolo come la popolazione di Milano la percentuale di omonimia continuerà ad essere vicina al 100%. Considerando insiemi via via più piccoli il tasso di omonimia deve iniziare a scendere. Viceversa, se non lo fa, esso può essere considerato il sintomo di qualcosa di anomalo. Ma quanto deve essere piccolo questo insieme affinchè il tasso di omonimia del 41% della Bocconi possa considerarsi sospetto? Il punto è che gli insiemi considerati da Boeri e Perotti sono statisticamente enormi e il tasso di omonimia risultante non è significativo. Questo lo si può vedere facendo un po’ di conti, ma l’esempio della Bocconi dovrebbe essere convincente, se non altro per i due diretti interessati!

In realtà questo fenomeno apparentemente sorprendente è ben noto a chi si occupa di calcolo delle probabilità e va sotto il nome di "Paradosso del Compleanno".

Da un punto di vista più generale queste analisi si inseriscono nel contesto di una campagna denigratoria contro l’università. Tanto per essere chiari, riteniamo l’università italiana una catastrofe di cui La Sapienza, l’università nella quale lavoriamo, ne è un esempio particolarmente eclatante, ma attenzione!
L’università italiana non è tutta uguale e l’attuale rappresentazione mediatica è un po’ come se si parlasse dei problemi del Nord-Est raccontando quello che succede a Napoli o in Valle D’Aosta.  
Analogamente, quello che accade a medicina non può essere considerato rappresentativo di realtà come informatica, fisica o matematica, discipline che, pur con le loro magagne, sono mondi diversi e che, per inciso, nel loro complesso sono allineate con i migliori standard internazionali.

Quello che vorremmo far notare è che se si denigra in modo indifferenziato, prendendo gli esempi più eclatanti come rappresentativi di una realtà molto più variegata, non solo non si rende un gran servizio alla verità, ma si danneggia ulteriormente la parte buona dell’università. Nonostante il contesto infrastrutturale deplorevole, l’università italiana ha al suo interno un notevole patrimonio di eccellenze, scandalosamente sotto-finanziate, basandosi sulle quali il sistema potrebbe iniziare ad essere bonificato. Spesso queste persone, oltre a fare ottima scienza, sono in prima linea in una battaglia interna per migliorare l’università come istituzione. Campagne come quella in atto non fanno altro che indebolire ulteriormente la loro posizione.

Sarebbe, crediamo, molto più utile dare una rappresentazione mediatica di questi sforzi e di queste eccellenze, che non sono poi così sporadiche come si vorrebbe far credere, e chiediamo ai colleghi Boeri e Perotti e ai giornalisti interessati al miglioramento della nostra società di darci una mano in questo. La cosa avrebbe se non altro il merito di orientare l’opinione pubblica e soprattutto gli studenti dalla parte giusta. In caso contrario ne risulterà solo un folle e irresponsabile gioco al massacro.

Cordialmente

Alessandro Mei – Alessandro Panconesi
Docenti di informatica
Sapienza Università di Roma

LA SAPIENZA DEL FAMILISMO

Il 3 ottobre la Sapienza di Roma, il più grande ateneo d’Italia e d’Europa, ha eletto il proprio rettore. Luigi Frati, da 17 anni preside di Medicina e Chirurgia1. diventa il terzo rettore consecutivo della Sapienza di Roma con uno o più figli nella sua stessa università. Nel suo caso, entrambi sono stati chiamati (ed uno di questi nella sua stessa facoltà) quando egli era già preside. Ma in facoltà gli fa compagnia anche la moglie, ex insegnante di lettere al liceo, ora ordinaria di Storia della Medicina. Proprio in questi giorni si sta svolgendo sul sito repubblica.it l’ennesima raccolta firme di accademici per chiedere maggiori finanziamenti all’università. Ma prima di chiedere soldi al contribuente, non sarebbe più credibile dare un’altra immagine di sé al paese? Se la maggioranza del più grande ateneo italiano elegge per tre volte consecutive un rettore che si circonda di parenti, non è legittimo nutrire qualche dubbio su come verranno spesi questi fondi?  Per rispondere a questa domanda forse può aiutare la visione di questo video delle Iene sulla festa di nozze della figlia del neo-rettore, svoltasi (incredibile ma vero) nell’Aula Grande della Sapienza

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