La crisi non aiuta i montanti contributivi, già colpiti dalla precarietà del lavoro e dal declino demo‑economico. Vanno corretti gli errori del sistema contributivo, con un calcolo più severo dei coefficienti e l’abbandono dell’indicizzazione ai prezzi.
Autore: Sandro Gronchi Pagina 2 di 5
Sandro Gronchi è stato Professore di Economia Politica presso l'Università di Siena fino al 1986 e alla Sapienza di Roma successivamente. E' stato anche docente presso la Scuola Superiore dell'Economia e della Finanze. In Università del Regno Unito ha svolto programmi di ricerca finanziati dalla Nato e dalla British Academy. Si è occupato di equilibrio economico generale e di teoria del capitale. Da oltre trent'anni, si occupa di conseguenze economiche dei mutamenti demografici, overlapping generations, generational accounting e teoria dei sistemi pensionistici. E' autore di oltre 50 lavori pubblicati in Italia e all'estero. Ha prestato attività di consulenza a istituzioni pubbliche e private tra cui il Ministero del Lavoro, la Ragioneria Generale dello Stato, la Direzione Generale del Tesoro, il CNEL , il Ministero dell'Economia, la Banca d'Italia, il Mediocredito Centrale, la Banca di Roma, il Banco di Sicilia, Capitalia, Unicredit, la Fondazione ENASARCO, MEFOP. E' autore di numerosi interventi su quotidiani e periodici italiani.
Non è vero che il sistema contributivo consenta un’incondizionata flessibilità in uscita. Infatti, l’obsolescenza dei coefficienti comporta “doni” tanto più generosi quanto minore è l’età al pensionamento. Perciò la pensione d’anzianità deve essere neutralizzata.
Il governo eleva il limite sotto al quale le pensioni sono pienamente indicizzate ai prezzi. Il sindacato chiede di ripristinare l’indicizzazione ai prezzi “per fasce”. Entrambi sbagliano perché il sistema contributivo vuole un meccanismo del tutto diverso.
Anche in versione “quota 100”, la pensione d’anzianità resta insostenibile e iniqua. Lo è nella componente retributiva e in quella contributiva. Perciò il lento passaggio dal regime retributivo a quello contributivo non potrà migliorarne la pagella.
Il sistema pensionistico italiano è un insieme di regole affastellate. Il modello contributivo è stato contraddetto e contrastato dalle molte riforme successive. E quota 100 è sbagliata a prescindere dagli effetti che produrrà su spesa e occupazione.
Le pensioni d’oro sono “meritate”, ma se ne propone il taglio con un disegno di legge afflitto da errori tecnici grossolani. Non sono migliori le alternative ventilate da una parte della maggioranza. “Immeritate” sono le pensioni d’anzianità, che il governo vuole rilanciare.
La sostenibilità sociale della transizione verso il sistema contributivo richiede che le regole d’uscita siano uniformate estendendo ai lavoratori “misti” la flessibilità che la riforma Fornero riserva ai “contributivi puri”. Purtroppo, non è questa la strada imboccata dal governo.
Il disegno di legge sulle “pensioni d’oro” fa scelte inadeguate o incoerenti. Per uscire dal pasticcio della correzione attuariale, alcune componenti del governo indicano ora la via del contributo di solidarietà. Che però comporta altri problemi.
Dopo la riforma Dini sono stati emanati altri 25 provvedimenti sulle pensioni. Senza che mai fosse affrontato il riordino del sistema contributivo, tuttora affetto da errori e lacune che lo separano dal modello svedese. Cosa farà il governo Conte?
Nell’inutile attesa di istruzioni dal Governo, alla fine del 2014 l’Inps ha sterilizzato la rivalutazione negativa dei contributi. Qualche mese dopo, la Consulta ha bocciato il blocco dell’indicizzazione. I due episodi dovrebbero stimolare una riflessione sul principio della parità di trattamento.