C’è una scorciatoia per far partire l’attivazione lavorativa e arrivare al reddito di cittadinanza promesso dal Movimento Cinque stelle. Basta usare due strumenti già disponibili, combinando il reddito di inclusione con l’assegno di ricollocazione.
Autore: Stefano Sacchi
Stefano Sacchi è professore associato di Scienza Politica alla LUISS (in distacco dall'Università di Milano), dove insegna Welfare and Labor Policy e International Public Policies, Non-Resident Fellow del Collegio Carlo Alberto di Torino, e dal 2016 Presidente dell'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP). Nel governo Renzi (2014-2016) è stato consulente del Ministro del Lavoro per la riforma degli ammortizzatori sociali e poi della Presidenza del Consiglio per la riforma del welfare, disegnando varie riforme, tra le quali quelle dei sussidi di disoccupazione, della cassa integrazione e dei fondi di solidarietà. Ha promosso e contribuito a disegnare e introdurre il Reddito di inclusione. È stato Luigi Einaudi Chair a Cornell, NordWel Visiting Scholar a University of Southern Denmark, visiting scholar a UC Berkeley e University of Washington e ha tenuto invited lectures in molte università nel mondo, incluse Princeton, NYU, Toronto, University of Amsterdam, Tokyo University e Waseda. Le sue pubblicazioni più recenti sono 'Conditionality by other means. EU involvement in Italy's structural reforms in the sovereign debt crisis', in Comparative European Politics (2015), 'Conditionality, Austerity and Welfare: Financial crisis and its impact on welfare in Italy and Korea' (con J. Roh), in Journal of European Social Policy (2016), and 'The Italian Welfare State in the Crisis: Learning to Adjust?', in South European Society and Politics (2018).
Due milioni nello scenario peggiore, un milione e mezzo in quello più favorevole: sono questi i numeri dei lavoratori senza tutele. Gli interventi del governo hanno sì ridotto la platea dei coloro che in caso di perdita del posto resterebbero privi di qualsiasi forma di sussidio, ma sono ben lungi dall’averla annullata. Tanto più che le indennità di disoccupazione e in deroga si esauriscono in fretta, mentre la crisi occupazionale potrebbe essere lunga. Tutto il sistema è da riformare in mercato del lavoro caratterizzato da carriere sempre più frammentate.
Il governo annuncia l’intenzione di raddoppiare l’indennità ai co.co.pro che restano senza lavoro. Per non lasciare indietro nessuno, dichiarano i ministri. E in particolare i precari, che non hanno diritto ad alcun sussidio di disoccupazione. Ma le cose non stanno esattamente così: i collaboratori restano ancora senza tutele mentre raddoppia una misura che riguarderà solo un numero esiguo di lavoratori. D’altra parte, le tante proposte di riforma del sistema restano inascoltate, perché l’esecutivo è convinto che i nostri ammortizzatori funzionino già benissimo.
Governo e Regioni hanno trovato un accordo per il finanziamento degli ammortizzatori sociali in deroga: 8 miliardi di euro per i prossimi due anni. Ne saranno comunque esclusi i lavoratori più deboli. Una riforma strutturale è dunque necessaria e ancora più urgente per l’aggravarsi della crisi. Ecco tre proposte ispirate al principio secondo cui il mantenimento del reddito in caso di perdita o assenza di lavoro dovrebbe essere un diritto di tutti. Le stime di spesa e le indicazioni per recuperare le risorse necessarie al finanziamento delle misure.
A conti fatti, i beneficiari dell’indennità destinata ai collaboratori a progetto potrebbero essere circa 10mila e la spesa per le casse dello Stato intorno agli 8 milioni di euro. Non è infatti destinata a tutti, ma solo agli iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell’Inps, in regime di monocommittenza, con un reddito lordo compreso tra 5mila e 11.516 euro nel 2008 e superiore a 3.500 euro nel 2009. Soprattutto, i co.co.pro devono operare in aree o settori in crisi. E quali siano, lo deciderà un successivo decreto. Incerto anche il momento dell’erogazione.
A dicembre scadranno oltre 300mila contratti atipici. In tempi normali la stragrande maggioranza viene rinnovata dalla medesima azienda. Ora, con la recessione, c’è il rischio che i rinnovi calino e sia più lungo il periodo di disoccupazione per i lavoratori. Una larga percentuale non potrà beneficiare delle prestazioni di disoccupazione perché le regole di accesso penalizzano le carriere discontinue e i salari bassi. Occorrono sussidi di tipo assistenziale, soggetti alla prova dei mezzi. E in prospettiva, uno schema di mantenimento del reddito di stampo universalistico.