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Autore: Tito Boeri Pagina 20 di 38

tito Tito Boeri è professore di economia presso l'Università Bocconi di Milano e Senior Visiting Professor alla London School of Economics. È stato senior economist all’Ocse, consulente del Fmi, della Banca Mondiale, della Ue, dell’Ilo oltre che del governo italiano. Dal marzo 2015 al febbraio 2019 ha ricoperto la carica di Presidente dell'Inps. È Consigliere Scientifico della Fondazione Rodolfo Debenedetti. È stato editorialista del Sole24ore, de La Stampa e de La Repubblica e ha collaborato con quotidiani esteri quali il Financial Times e Le Monde. È tra i fondatori del sito di informazione economica www.lavoce.info e del sito federato in lingua inglese www.voxeu.org.

MENO PARLAMENTARI PER MENO CORRUZIONE

Il fatto stesso che si debba varare una legge per vietare ai politici coinvolti in episodi di corruzione di presentarsi alle elezioni la dice lunga su come non funziona la selezione della classe politica in Italia. Per migliorarne la qualità servirebbe una maggiore competizione elettorale e una migliore legge elettorale. Ma anche cittadini più attenti e un’informazione più concentrata sui fatti e meno sui retroscena. Un cambiamento che richiede tempo. Tuttavia qualcosa si può fare subito: ridurre il numero di parlamentari e di amministratori a livello locale. E bisogna farlo finché è forte nell’opinione pubblica l’indignazione per i ripetuti episodi di corruzione. Altrimenti i politici troveranno sempre un modo per mantenere (se non aumentare) poltrone e spesa pubblica.

 

IMMIGRAZIONE NON È UGUALE A CRIMINALITÀ

Ha fatto scalpore la dichiarazione del presidente del Consiglio sull’equivalenza tra immigrazione e criminalità. Vero o falso? Berlusconi non ha fornito numeri a supporto della sua affermazione. Dai dati disponibili sul sito dell’Istat si ricava però che pur con un incremento del 500 per cento del numero di permessi di soggiorno dal 1990 a oggi, i tassi di criminalità sono rimasti pressoché invariati. Le statistiche documentano invece che nello stesso periodo la quota degli stranieri sul totale dei detenuti è stata sempre superiore alla loro quota sulla popolazione italiana.

INDICIZZARE LE PENSIONI ALLA CRESCITA ECONOMICA

In Italia oggi non c’è una forte constituency a favore di riforme che favoriscano la crescita anche perché le pensioni sono una variabile indipendente, la cui dinamica prescinde completamente dall’andamento dell’economia. Quando l’economia va bene, i pensionati non partecipano ai guadagni di produttività e, dunque, le pensioni perdono valore rispetto ai salari, dando origine al fenomeno delle cosiddette “pensioni d’annata”. Quando le cose vanno male, invece, la spesa previdenziale aumenta ulteriormente la sua quota sul prodotto interno lordo, sottraendo risorse a politiche di contrasto alla povertà e alla disoccupazione. Nel 2009, ad esempio, la quota delle pensioni sul pil è aumentata di quasi un punto. Era già la più alta quota in Europa. Lo sarà ancora di più.
Eppure il benessere degli anziani dipende molto dalla crescita dell’economia. La mancata crescita comporta, ad esempio, un progressivo ridimensionamento dei servizi sanitari. Quindi senza crescita anche i pensionati finiranno per stare peggio.  Bene che ne siano consapevoli fin da subito.
E’ fondamentale che questa crescente fascia di popolazione partecipi in modo ancora più evidente ai vantaggi della crescita economica e sostenga quelle politiche che servono a migliorare la qualità e quantità dell’assistenza sanitaria pubblica e a permettere che pensioni relativamente generose possano essere pagate nonostante i cambiamenti demografici in atto.
Un modo per far lo è indicizzare le quiescenze in essere alla crescita economica. In Svezia, che ha adottato un regime pensionistico molto simile al nostro, le quiescenze in essere crescono di anno in anno in base al tasso di inflazione più la differenza fra il tasso di crescita potenziale dell’economia (che viene utilizzato nel calcolare il livello iniziale delle pensioni quando ci si ritira dalla vita attiva) e il tasso di crescita effettivo. Da noi si potrebbe prendere come riferimento la crescita del monte salari contributivo, la base con cui si finanziano le pensioni. E’ un modo al contempo per rendere il sistema sostenibile, quindi equo dal punto di vista intergenerazionale, e di favorire politiche che ci facciano tornare a crescere.

QUANTO COSTA NON RIFORMARE IL MERCATO DEL LAVORO

Le mancate riforme del percorso di ingresso nel mercato del lavoro possono costare ai giovani fino al 30% della loro pensione futura. Secondo il presidente del Consiglio, il 2010 sarà l’anno delle riforme. Bene che cominci subito a varare quella del percorso di ingresso nel mercato del lavoro, il modo migliore per difendere le pensioni dei giovani. E se non ha il coraggio di farlo, almeno li informi su quanto varrà la loro pensione fra 40 anni.

Un visto per gli studenti stranieri

Il nostro paese ha bisogno di capitale umano per uscire non solo dalla recessione, ma anche dalla stagnazione che l’ha preceduta.  C’è un capitale umano che possiamo acquisire subito. E’ quello dei piccoli numeri, dei talenti che girano per il mondo e che si interrogano oggi su com’è cambiata la geografia del mondo dopo la crisi per decidere dove andare. Pochi innesti di qualità possono significare grandi cambiamenti nella nostra economia. Oggi i 2000 studenti di dottorato stranieri in Italia, in 9 su 10, pensano solo a scappare appena finiti gli studi perché sfiniti dai rinnovi dei permessi di soggiorno, dalle forche caudine cui vengono sottoposti dalle nostre leggi sull’immigrazione. Introduciamo subito un visto per gli studenti (come il J1 negli Stati Uniti) che permetta di risiedere, entrare ed uscire legalmente dal nostro paese per tutta la durata del corso di studi. Deve essere concesso sulla base di una lettera di accettazione dell’università che accoglie il dottorando e che ha tutti gli incentivi ad ammettere solo gli studenti con maggiori potenzialità. A quel punto potranno pensare solo a studiare senza dover frequentare a lungo le nostre questure in attesa di un rinnovo del permesso, che poi arriva immancabilmente quando è già scaduto. Le nostre politiche dell’immigrazione dovranno poi garantire una corsia preferenziale a chi ha studiato da noi e ha una laurea o un dottorato. Chi viene da noi deve già sapere che al termine del corso di studi verrà messo nella stessa condizione degli studenti italiani nel cercare un impiego.

UN VISTO PER GLI STUDENTI STRANIERI

Il nostro paese ha bisogno di capitale umano per uscire non solo dalla recessione, ma anche dalla stagnazione che l’ha preceduta.  C’è un capitale umano che possiamo acquisire subito. E’ quello dei piccoli numeri, dei talenti che girano per il mondo e che si interrogano oggi su com’è cambiata la geografia del mondo dopo la crisi per decidere dove andare. Pochi innesti di qualità possono significare grandi cambiamenti nella nostra economia. Oggi i 2000 studenti di dottorato stranieri in Italia, in 9 su 10, pensano solo a scappare appena finiti gli studi perché sfiniti dai rinnovi dei permessi di soggiorno, dalle forche caudine cui vengono sottoposti dalle nostre leggi sull’immigrazione. Introduciamo subito un visto per gli studenti (come il J1 negli Stati Uniti) che permetta di risiedere, entrare ed uscire legalmente dal nostro paese per tutta la durata del corso di studi. Deve essere concesso sulla base di una lettera di accettazione dell’università che accoglie il dottorando e che ha tutti gli incentivi ad ammettere solo gli studenti con maggiori potenzialità. A quel punto potranno pensare solo a studiare senza dover frequentare a lungo le nostre questure in attesa di un rinnovo del permesso, che poi arriva immancabilmente quando è già scaduto. Le nostre politiche dell’immigrazione dovranno poi garantire una corsia preferenziale a chi ha studiato da noi e ha una laurea o un dottorato. Chi viene da noi deve già sapere che al termine del corso di studi verrà messo nella stessa condizione degli studenti italiani nel cercare un impiego.

VOODOO ECONOMICS E TREMONTI

Tremonti fa bene a puntare i piedi quando ricorda che l’Europa ci chiede di avere conti pubblici in ordine. L’oggetto del contendere all’interno del governo è l’abolizione dell’Irap e, più in generale, la riduzione della pressione fiscale. Per compensare la perdita di introiti Irap, si parla di possibili riduzioni di spesa, ma di tagli ai cosiddetti consumi intermedi sono lastricate le strade di molte Finanziarie. E l’llusione più pericolosa è quella secondo cui i tagli fiscali non avrebbero conseguenze sul debito o addirittura potrebbero migliorare i conti pubblici.

POSTO FISSO PER CHI?

Quando parla il Ministro dell’Economia bisogna prenderlo sul serio. In cosa consiste la svolta di Giulio Tremonti sul posto fisso? Ci sono tre interpretazioni. La prima è che sia solo una mossa demagogica, politica, per “spiazzare la sinistra”, come rimarcato da diversi quotidiani e commentatori.  Se così fosse non ci interessa. Notiamo che servirebbe solo a rendere più fisso il posto di Giulio Tremonti alla scrivania di Quintino Sella.
La seconda interpretazione è che il Ministro voglia davvero intervenire dove ha voce in capitolo. Tremonti è di fatto il cassiere del pubblico impiego. Ha dunque il Ministro intenzione di assumere tutti i lavoratori precari della Pubblica amministrazione? Quanto costa? E cosa ne pensa il titolare del dicastero alla Funzione Pubblica, il datore di lavoro dei pubblici dipendenti?
La terza interpretazione è che Tremonti voglia intervenire anche fuori dal pubblico impiego, nel settore privato. Anche qui avrebbe delle leve da muovere. Ad esempio, può aumentare i costi del licenziamento individuale e limitare i casi di licenziamento collettivo per motivi economici. Tutto ciò renderebbe più sicuro il posto “fisso” di chi un lavoro a tempo indeterminato ce l’ha già. Ma esporrebbe ancora di più i lavoratori precari al rischio di licenziamento (già oggi di otto volte superiore a quello per i lavoratori con contratti permanenti).
Tremonti sa bene che non si può garantire il posto fisso a tutti. Neanche in un’economia pianificata. Lo si può fare per alcuni lavoratori scaricando tutti i rischi su chi è lasciato fuori, ad esempio i lavoratori temporanei e i disoccupati. Quello che si può fare è garantire a tutti protezione contro il rischio di perdere il lavoro, riformando gli ammortizzatori sociali in modo tale da offrire copertura assicurativa a tutti. Si può anche ridurre il dualismo fra lavoratori con contratti temporanei e contratti permanenti, cambiando le regole di accesso al mercato del lavoro per consentire a tutti un ingresso dalla porta principale. Ciò può avvenire attraverso la creazione di un sistema di tutele progressive per il lavoratore che aumenti con la durata del rapporto di lavoro. Questo è l’unico modo per permettere che la stabilizzazione dei precari avvenga senza distruggere posti di lavoro.

QUALCHE VOLTA RITORNANO: I BANCHIERI DI STATO

A quali esigenze risponde la Banca del Mezzogiorno? Se il problema sono le banche italiane incapaci o non interessate a valutare il merito di credito delle piccole imprese, la soluzione è nell’apertura alla concorrenza, non nella creazione di un nuovo istituto di credito. Il sospetto è che la Banca del Mezzogiorno non avrà come bussola della sua attività la redditività degli impieghi. Ma allora quali saranno i criteri con cui allocherà i fondi? Di solito, in questi casi, prevalgono i criteri politici. Un’esperienza che abbiamo già vissuto e che ci è costata cara.

Il PATTO STUPIDO E LA PROSSIMA MANOVRA TRIENNALE

La Commissione Europea ha aperto una procedura per disavanzo eccessivo contro l’Italia. Certo, siamo in buona compagnia: sono venti gli Stati membri che non hanno rispettato le regole comunitarie sul bilancio. Ma il nostro caso nasconde un doppio paradosso. Imputabile essenzialmente al fatto che la manovra triennale avviata nel 2008 è stata particolarmente attenta a vincoli europei ormai del tutto anacronistici di fronte alla crisi. Senza affrontare i problemi strutturali del paese. Intanto, neanche i conti pubblici sono a posto. La vera manovra triennale sarà la prossima?

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