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Autore: Tito Boeri Pagina 30 di 38

tito Tito Boeri è professore di economia presso l'Università Bocconi di Milano e Senior Visiting Professor alla London School of Economics. È stato senior economist all’Ocse, consulente del Fmi, della Banca Mondiale, della Ue, dell’Ilo oltre che del governo italiano. Dal marzo 2015 al febbraio 2019 ha ricoperto la carica di Presidente dell'Inps. È Consigliere Scientifico della Fondazione Rodolfo Debenedetti. È stato editorialista del Sole24ore, de La Stampa e de La Repubblica e ha collaborato con quotidiani esteri quali il Financial Times e Le Monde. È tra i fondatori del sito di informazione economica www.lavoce.info e del sito federato in lingua inglese www.voxeu.org.

Dal maxiemendamento alla mini Finanziaria

Ha fatto bene il Presidente Napolitano a richiamare la necessità di trasformare la Finanziaria in una legge semplice e comprensibile, ponendo fine alla prassi del maxiemendamento dai mille e più commi. Occorre snellire la procedura e riequilibrare i poteri in materia di controllo e iniziativa di bilancio tra governo e Parlamento. Per farla diventare un vero e proprio bilancio dello Stato e della pubblica amministrazione. Una relazione tecnica dovrebbe garantire che le variazioni di spesa e di entrate previste abbiano effettivamente un fondamento economico e giuridico. I commenti di Valerio Onida e Gustavo Zagrebelsky.

Aspettando una nuova legge sull’immigrazione

E’ probabile che anche l’Italia alla fine decida di chiudere le frontiere ai lavoratori di Bulgaria e Romania, i due Stati che stanno per entrare nell’Unione Europea. Riducendo così il contributo che l’immigrazione può dare alla nostra crescita economica. Eppure, l’Europa potrebbe permettersi politiche d’ingresso meno restrittive se solo riuscisse a coordinare le normative nazionali, ed evitare i fenomeni di deviazione dei flussi riscontrati col primo allargamento. Utile anche per il nostro paese un sistema a punti, tra l’altro più facile da amministrare della Bossi-Fini.

Più tasse e più spese: la Finanziaria 2007 dopo il primo assalto alla diligenza

Sono passati due mesi dal varo della Finanziaria da parte del governo. Nel frattempo c’e’ stato, come previsto, l’assalto alla diligenza. Dopo l’approvazione della Camera e il voto del Senato sul decreto fiscale è il momento di fare il punto sulla composizione della manovra. Avevamo scritto a settembre che il rientro dal disavanzo eccessivo avveniva principalmente sul lato delle entrate. Adesso l’aggiustamento è unicamente basato su maggiori tasse e contributi. La spesa non solo non si riduce, ma potrebbe aumentare fino a 6,5 miliardi rispetto allo scenario a bocce ferme. Il contrario di ciò di cui il paese aveva bisogno.

Dal vicolo cieco alla stabilità

La manifestazione di sabato ha riportato al centro del dibattito di politica economica il mercato del lavoro e la sua regolamentazione. E rischia di acuirsi lo scontro sociale proprio mentre una complessa Finanziaria inizia il suo iter parlamentare. Si può evitarlo cercando di garantire alle imprese la flessibilità in entrata e ai lavoratori un percorso ben definito verso la stabilità. Attraverso un disegno complessivo che preveda un ingresso al lavoro in tre fasi (prova, inserimento e stabilità), salario minimo e contributo previdenziale uniforme.

Operazione Tfr: le risposte del ministro Damiano

Meno di due mesi al via dell’operazione smobilizzo del trattamento di fine rapporto. Ma i suoi contorni restano ancora poco chiari. Per meglio informare i nostri lettori, Tito Boeri e Agar Brugiavini rivolgono sette domande al ministro Damiano su dove andranno i flussi di Tfr maturati nei primi sei mesi del 2007, come cambierà l’organizzazione dell’Inps, la previdenza complementare per gli autonomi, la trasformazione della liquidazione in rendite vitalizie, i fondi multicomparto e i requisiti previsti per entrare nel cda dei fondi. Nelle colonne di destra le risposte del ministro Cesare Damiano.

Indovina chi siede al tavolo verde

Tra ospiti più importanti di altri e posti pre-assegnati come a una cena di gala, la concertazione italiana è un teatrino dove ciascuno recita un copione già visto. Molto meglio prendere esempio dalla Spagna. Il suo Consejo Económico y Social ha il compito di dare al parlamento un parere su ogni proposta di legge o decreto governativo di tema economico-sociale. Un ruolo che da noi potrebbe svolgere il Cnel. A patto di riformarlo radicalmente in modo da trasformarlo in una sede in cui si possa andare a fondo dei problemi, carte e dati alla mano. Perché il metodo è sostanza.

Un accordo senza i giovani

La trattativa sul Tfr ha visto protagonisti Governo e Confindustria, mentre il silenzio dei rappresentanti dei lavoratori è stato fragoroso. Il compromesso raggiunto circoscrive l’intervento alle imprese con più di cinquanta addetti. Una soluzione che crea ingiustificabili asimmetrie. Semmai, la discriminante dovrebbe essere l’età: i lavoratori più anziani possono anche lasciare il Tfr in azienda. Ma i giovani, che avranno una pensione pubblica molto più bassa, devono essere incentivati al trasferimento ai fondi pensione. Dovrebbe essere questo il compito del sindacato.

Un tavolo senza i giovani (postilla sul tfr)

È sorprendente che in questi giorni si continui a discutere di Tfr a due voci (Confindustria e Governo) e nessuno parli in nome del vero proprietario di quei soldi: i lavoratori. Il trattamento di fine rapporto è un prestito obbligatorio dei lavoratori alle imprese che dà un rendimento piuttosto basso se confrontato con gli andamenti dei mercati. Delle sorti del Tfr devono perciò decidere i lavoratori, non le imprese.

Chi protesta e chi tace

Il disegno di legge Finanziaria prevede attualmente di destinare il 50 per cento dei flussi di Tfr "inoptati", cioè non espressamente indirizzati dai lavoratori ai fondi pensione, ad un fondo per il finanziamento delle infrastrutture istituito presso la Tesoreria, che dovrebbe raccogliere 6 miliardi di euro.
Le imprese – a cui questo provvedimento sottrae gradualmente liquidità – hanno protestato vivacemente e subito. Fragoroso, invece, il silenzio del sindacato. Qualche voce di dissenso si è, in un secondo tempo, levata da Cisl e Uil, ma il compromesso poi raggiunto fra Governo e parti sociali, ignora una volta di più le esigenze dei lavoratori. Si è infatti deciso di circoscrivere il trasferimento del Tfr all’Inps solo alle imprese con più di cinquanta addetti, quelle che hanno meno problemi di liquidità: è una soluzione che può andare bene alle imprese, ma che crea asimmetrie ingiustificabili tra i lavoratori.

Il vero problema

Per effetto delle riforme pensionistiche dell’ultimo decennio, per i giovani i tassi di rimpiazzo (ovvero il rapporto tra prima prestazione pensionistica e ultimo salario) delle generazioni che vanno in pensione ora sono irraggiungibili, pur conteggiando trenta o quaranta anni di versamenti al Tfr. Questo perché la pensione pubblica offrirà un rimpiazzo del reddito da lavoro del 35-40 per cento nei casi migliori, contro l’attuale 65-70 per cento (1). L’unica via per coprire questo "buco" pensionistico è garantire, specialmente ai giovani, rendimenti più elevati all’accantonamento ora versato al trattamento di fine rapporto.
Quindi se c’è una discriminante da applicare nel decidere le sorti del trattamento di fine rapporto, non è certo quella della dimensione dell’impresa, ma semmai quella dell’età dei lavoratori: i più anziani possono anche lasciare che il Tfr rimanga in azienda (non ci piace l’idea di trasferire il debito dalle imprese allo Stato). Mentre per i giovani deve essere incentivato al più presto il trasferimento del Tfr ai fondi pensione.

Non c’è tempo da perdere

L’unico elemento positivo dell’accordo raggiunto ieri consiste nell’anticipazione al 2007 della possibilità di conferire il Tfr ai fondi pensione. E’ un’occasione che non possiamo permetterci di perdere. I fondi pensione oggi in Italia amministrano un patrimonio inferiore a quello delle fondazioni bancarie. I giovani hanno bisogno di accedere a un ampio spettro di fondi pensione ad adesione collettiva. Sono quelli che permettono di contenere i costi amministrativi e di meglio distribuire il rischio fra i diversi aderenti. Ma perchè questo secondo pilastro offra prodotti adeguati ai lavoratori, bisogna che nuovi fondi pensione nascano e crescano e ci sia più competizione fra di loro.
Quindi lo smobilizzo del Tfr è un’occasione irripetibile per dare la possibilità ai giovani di diversificare il rischio, distribuendo i propri risparmi su diversi strumenti previdenziali. Il sindacato ha un ruolo molto importante nell’informare i giovani e nello spingerli a pensare al loro futuro.

(1) Si vedano le simulazioni di Gronchi e Sismondi in M.Messori (a cura di), La previdenza complementare in Italia, Il Mulino, 2006.

Un rientro dal lato sbagliato

L’Italia ha un problema di spesa pubblica eccessiva. Nell’ultimo decennio quella primaria (al netto degli interessi) è cresciuta di 3 punti rispetto al Pil. Il Governo ne era ben conscio, e lo aveva indicato nel Dpef. Ma la Finanziaria varata dal Consiglio dei Ministri aumenta le entrate anziché tagliare le spese. Secondo le nostre stime, la copertura della manovra è composta fino all’84% da entrate aggiuntive. Servirà a farci rientrare nell’ambito dei parametri di Maastricht. Ma non eviterà che tra dodici mesi gli stessi problemi si ripresentino. Inquietante poi l’operazione sul Tfr

Calcio: una clausola contro la beffa

Non sono cambiate le regole del calcio e prevale un atteggiamento assolutorio nei confronti dei principali protagonisti di calciopoli. Bisogna trovare un modo di punire i dirigenti colpevoli degli illeciti sportivi. Per evitare di dover coinvolgere la giustizia ordinaria e intentare lunghe e incerte cause patrimoniali, si potrebbero inserire clausole nei contratti di lavoro stipulati tra gli amministratori e i club: se la società è punita dalla giustizia sportiva per fatti commessi dai suoi dirigenti, questi dovranno versare una penale alla società, graduata in base all’entità della sanzione comminata dalla giustizia sportiva. Almeno non saranno i soli tifosi a pagare, ma anche chi ha commesso gli illeciti.

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