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TREMONTI È UN MAESTRO. DI SCI

Continua a mietere riconoscimenti il ministro Giulio Tremonti. Dopo essere stato insignito del nuovo titolo di “uomo dell’anno nell’economia italiana” dal direttore del Sole 24 Ore Gianni Riotta, il ministro dell’Economia verrà incoronato sabato 30 gennaio Maestro di sci ad honorem dal presidente dell’Associazione nazionale maestri Luciano Magnani. Non sono note al momento le motivazioni del premio e non sappiamo se i meriti di Tremonti siano da ascriversi allo slalom, alla discesa libera (specialità che paiono ispirarlo anche in politica) o semplicemente al nome evocativo  di bianche vette alpine come le Tre Cime di Lavaredo. Sappiamo invece che la cerimonia si svolgerà a Sestola (Monte Cimone) a conclusione del primo Criterium sulla neve dei parlamentari italiani che nell’occasione si misureranno con i membri del Gis, Giornalisti italiani sciatori. Qualche giornalista vecchio stile, di quei pochi che preferiscono fare i cani da guardia dei politici anziché organizzare con loro gite sociali, arriccia il naso davanti a questa inattesa iniziativa del presidente dell’associazione sciistica Mario Sensini, prestigiosa firma del Corriere della Sera. Difficile immaginare i reporter del New York Times o della Cnn in gita con i congressmen di Washington. Ma da noi le cose stanno diversamente. Da anni i cronisti parlamentari frequentano a Roma le palestre e i club di deputati e senatori e la cosa non fa scandalo, anche perché nessun giornale la racconta. E poi, a Sestola, i tre giorni di vacanza non saranno soltanto a base di discese, cene e vin brulé ma sono previste anche attività molto serie. Come recita il programma, alle 18.00 di sabato 30 “Convegno La montagna italiana, l’Italia della montagna, Cinema Belvedere di Sestola, con la partecipazione del Ministro degli esteri Frattini, Ministro dell’Economia Tremonti, Consulente per la montagna On. Manuela di Centa e tante altre autorità”. Ne sentivamo tutti il bisogno.

CHE PAGELLA, MINISTRO BONDI!

Il ministro per i beni e le attività culturali, l’onorevole Sandro Bondi, nella puntata di Porta a Porta del 11.1.2010, ha sostenuto che la riforma fiscale proposta dal governo, tesa a spostare il carico fiscale dalle imposte dirette a quelle indirette, dai redditi ai consumi, è una misura di equità sociale, perché "significa imporre maggiori tasse sulle classi sociali più elevate, più ricche, che consumano di più". Ma ministro, avrebbe replicato qualunque prof delle medie, ciò significa confondere una variazione assoluta con una relativa, è un errore da quattro in pagella! I ricchi possono ben consumare di più dei poveri, ma se si sposta il carico fiscale da un’imposta progressiva ad una proporzionale la cui aliquota media è inferiore a quella che ora pagano i ricchi, l’effetto è regressivo, non progressivo. E’ per l’appunto il caso nostro, visto che l’aliquota più elevata Irpef è al 43 per cento (dopo i 75.000 euro di imponibile) mentre l’aliquota dell’Iva è al massimo e per la maggior parte dei beni al 20 per cento. Non solo, ma se i ricchi risparmiano più dei poveri, i risparmi non sono tassati o sono tassati meno dei consumi (di nuovo il caso nostro) allora un’imposta su consumi ad aliquota uniforme è per forza regressiva. Esempio. Prendiamo un tizio A che guadagna 1000 euro al mese; verosimilmente spenderà tutto il suo reddito, e se l’aliquota media sui consumi è al 20 per cento, pagherà dunque 200 euro al mese di imposte. Prendiamone ora un altro B che ne guadagna 5000, e supponiamo che ne spenda 4000 e ne risparmi 1000. Questo pagherà dunque di imposte 800 euro al mese. Ma se i risparmi non sono tassati, l’aliquota media sul reddito del primo è del 20 per cento mentre quella del secondo è del 16 per cento; l’imposta è regressiva, l’aliquota media decresce al crescere del reddito. Certo, questo non è necessario, dipende anche da cosa consumano ricchi e poveri e da come sono tassati i diversi panieri di consumo. Per dire, se i 1000 euro di A vanno tutti in beni alimentari, mentre i 4000 di B vanno per 1500 in beni alimentari e per 2500 in beni di lusso, potremmo ottenere un’imposta progressiva tassando, per esempio, al 6 per cento i beni alimentari e al 34 per cento i beni di lusso; il gettito per lo stato sarebbe lo stesso che con un’aliquota uniforme del 20 per cento, ma il povero avrebbe un’aliquota media sul reddito del 6 per cento e il ricco del 19 per cento. Occorre però ricordare che l’Iva ha dei vincoli comunitari: vi è un’aliquota normale (in Italia il 20 per cento), una o due aliquote ridotte (in Italia 4 per cento e 10 per cento) su un paniere definito e non modificabile di beni primari, non vi sono aliquote maggiorate sui beni di lusso. Dunque, tralasciando altre considerazioni, inclusi i problemi di evasione e incentivo, un passaggio dall’Irpef all’Iva per forza ridurrebbe la progressività del sistema tributario.

LA GRANDE ATTESA PER LA GRANDE RIFORMA FISCALE

Il ministro del Tesoro ha annunciato tra gli obiettivi del prossimo anno il rilancio di una grande riforma fiscale che superi la logica dei “rattoppi” degli ultimi anni. Benissimo. Non c’è dubbio che il sistema tributario italiano avrebbe bisogno di una seria e ponderata revisione. Non solo incombe una riforma in senso federale che deve essere ben meditata anche per evitare ulteriori incrementi nella pressione tributaria. Ma questa, oltre che già elevata, è soprattutto mal distribuita. Il prelievo si concentra infatti quasi esclusivamente su pochi cespiti e pochi contribuenti. Tartassiamo i fattori produttivi, lavoro e capitale, e tassiamo troppo poco patrimoni e rendite. L’opposto di quello che dovrebbe fare un paese che ha seri problemi di crescita e ancor più seri problemi di equità. Sempre di più, l’Italia è un paese dove chi nasce ricco resta ricco, mentre chi vuole legittimamente e legalmente arricchirsi con i frutti del proprio impegno e del proprio lavoro non ha la possibilità di farlo. Ma è importante che il ministro si ricordi che la principale riforma necessaria in Italia è la lotta all’evasione e a tutte le forme presenti nel nostro sistema fiscale di elusione e erosione. Non è possibile immaginare che si possa costruire un sistema fiscale più giusto e efficiente finché tra il 50 e il 75%, a secondo delle stime, dei redditi da lavoro autonomo, piccola impresa e liberi professionisti risulta nascosto al fisco. Non è possibile continuare a tollerare che il 50% delle imprese italiane risulti permanentemente in perdita o che il numero dei contribuenti che dichiarano più di 100.000 euro all’anno sia minore del numero delle automobili immatricolate che costano più di quella cifra. Lo stesso sbandierato successo dello scudo (capitali rientrati a consuntivo pari a quasi il 10% del PIL) da un’idea dell’enormità del fenomeno in Italia. Va anche sottolineato che finora i provvedimenti del governo in campo tributario, tra condoni, riduzione dei controlli sui redditi da lavoro autonomo e abolizione dell’Ici, non sono particolarmente incoraggianti. Ma aspettiamo le nuove proposte per discuterne.

UN PREMIO PER GIANNI

In quest’anno di crisi, con l’economia che fa meno 5 e il debito pubblico tornato al 117 per cento del pil, il maggiore quotidiano economico italiano ha voluto istituire, per la prima volta nella sua storia, un premio all’uomo dell’anno nell’economia italiana. E come si apprende dal titolo di testa del 31 dicembre 2009, "le grandi firme del Sole 24 Ore" lo hanno attribuito a Giulio Tremonti, ministro dell’Economia. Secondo posto a Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat. Il terzo posto a Emma Marcegaglia, Presidente di Confindustria.
Anche lavoce.info non poteva mancare all’appuntamento con i grandi premi di fine anno. Abbiamo così istituito il Premio Indipendenza 2009. E siamo lieti di annunciare che lo abbiamo assegnato a Gianni Riotta, direttore del Sole 24 Ore per il coraggio mostrato nel premiare nell’ordine: 1) il più grande azionista dei più grandi soci di Confindustria, colui che decide quanti soldi dare alle imprese che versano le quote associative a Confindustria, nonché suo grande sponsor per la guida del quotidiano di Confindustria; 2) l’amministratore delegato del più grande gruppo privato socio di Confindustria, proprietaria del Sole 24 Ore; 3) la presidente di Confindustria, proprietaria del Sole 24 Ore.
Nell’assegnare a Riotta il prestigioso riconoscimento vorremmo porgli due domande, una facile e una più difficile, nella tradizione delle sue interviste ruvide ed affilate. Prima domanda: come ha accolto Emma il riconoscimento di "uomo dell’anno"? In tempi di sconfinamenti di genere, la risposta non è ovvia. Seconda domanda, quella difficile: chi sono le grandi firme del Sole24Ore? Ne abbiamo interpellate alcune a caso, tra gli economisti maggiormente citati nelle publicazioni scientifiche e riconosciuti a livello internazionale, che collaborano al giornale. Nessuno aveva mai sentito parlare del concorso e del premio. Meglio così. In simili atti di coraggio solo ed unicamente il comandante deve esporsi. Che tempra quel Gianni!
 
Le grandi firme 2009 de lavoce.info

I GIORNI DELL’ABBANDONO

Roberto Mancini non dimenticherà facilmente il Natale 2009. Passato in ritiro con la sua nuova squadra, Il Manchester City, per preparare la partita vittoriosa contro lo Stoke City nel giorno di Santo Stefano, il Boxing Day inglese. Successo bissato da un successo in casa degli Wolves due giorni dopo. Giusto il tempo di godersi il Capodanno e poi il 2 gennaio sarà impegnato in FA Cup. Lo stesso giorno il Barcellona tornerà a giocare nella Liga. Da noi invece dovremo aspettare il 6 gennaio per sapere, all’ora di pranzo, se la befana avrà preparato del carbone per José Mourinho. In quelli che Beppe Severgnini sul Corriere ha ribattezzato “i giorni del divano”, quei giorni di vacanza o semi-vacanza per molti italiani che vanno da Natale a Capodanno, il calcio italiano ha pensato bene di seguire le recenti tradizioni e chiudere bottega per tre settimane. Proprio quando la domanda di intrattenimento è al massimo, come mostrano i record di incasso dei film di Natale. Chi ama il calcio e ha il satellite si è facilmente consolato con la Premier che ha programmato partite per tutti i giorni compresi tra il 26 e il 30 dicembre. Se il calcio italiano nuotasse nell’oro si potrebbe anche capire questa sua noncuranza verso gli spettatori. Solo che le squadre sono piene di debiti, giocano in stadi fatiscenti e non di loro proprietà, con le televisioni come fonte principale di incassi. Inseguire la domanda è essenziale per tutte le imprese, a maggior ragione per quelle che sono in grave difficoltà. Ma il calcio italiano sembra voler scrivere nuove leggi economiche. Ai giorni del divano fa corrispondere i giorni dell’abbandono.
Certo, le autorità del calcio diranno che la pausa invernale è essenziale per tutelare i giocatori, che i campi ghiacciati sono pericolosi e che vedere partite con un freddo polare non è bello neanche per gli spettatori. Solo che tutte queste obiezioni cadono di fronte a questa semplice constatazione: a gennaio fa più freddo che a dicembre. Se si può giocare a fine gennaio, lo si può fare a maggior ragione a fine dicembre. E se c’è bisogno di una pausa, la si può fare a gennaio. Perché allora ci troviamo a reiterare queste ovvie considerazioni ogni fine anno? Il Presidente del Napoli, De Laurentiis, produttore dei film di Natale, si opporrà alla variazione di calendario temendo di vedere una riduzione degli incassi cinematografici. Lo capiamo. Ma gli altri Presidenti cosa hanno da perdere? E perché il Presidente della Lega Calcio non si è mai espresso su questo tema?
Ma forse ho esagerato: in realtà gli spettatori italiani il 2 gennaio potranno vedere l’Inter. In programma c’è un’amichevole contro l’Al Hilal, squadra saudita. Mentre i poveri tifosi inglesi dovranno accontentarsi di 26 partite di FA Cup. Vita dura, Oltremanica.

EVASORI, ARRIVA BABBO NATALE!

Come era da attendersi, il governo ha deciso la proroga dello scudo fiscale. Chi non ha ancora provveduto a rimpatriare i capitali detenuti illegalmente all’estero potrà ora farlo, con un modico sovrapprezzo, il 6%, invece del 5%, se ci si adeguerà entro febbraio, e il 7%, se lo farà entro marzo. Ed  è facile ipotizzare che se ce ne sarà ancora bisogno per perseguire la strategia del governo, lo scudo verrà prorogato ancora, magari con qualche altro ritocco. Il ministro Tremonti ha presentato i risultati della prima tranche dello scudo come uno straordinario successo, circa 80 miliardi rientrati, per un gettito addizionale di 4 miliardi. In che senso sia stato un successo però non si capisce. Che i capitali siano rientrati davvero e che vadano a finanziare le imprese italiane è tutto da dimostrare, visto che il rientro vero era previsto solo per i capitali detenuti presso i paradisi fiscali. Che viceversa sia stato uno straordinario regalo per gli evasori, oltretutto protetti dall’anonimato è indubbio, come è indubbio il fatto che le maggiori entrate attuali vanno a detrimento di quelle future, visto che per i redditi scudati il fisco non potrà procedere con la normale attività di accertamento, che avrebbe potuto condurre domani a entrate ben maggiori. Di più, i condoni sono in genere pericolosi perché generano aspettative di futuri condoni, aumentando la propensione ad evadere al presente. Figuriamoci un condono a fisarmonica come questo, dove prima si pone un limite improrogabile, e poi lo si sposta a piacimento, oltretutto facendo intendere che se ci sarà bisogno lo si sposterà ancora. E’ un fisco che tratta con i guanti bianchi gli evasori. E che incredibilmente, con buona pace dell’equità fiscale,  fa invece la faccia feroce con quei contribuenti che avendo dichiarato l’imponibile, usano il ravvedimento operoso per spostare in avanti il pagamento delle imposte, in una situazione di crisi economica e carenza di liquidità. Ma qual è il senso di questa politica tributaria?

FEDERCALCIO IN FUORIGIOCO

Fabio Capello, allenatore della Nazionale inglese di calcio, ospite ieri dell’associazione della stampa sportiva italiana, ha fatto la sua diagnosi dei mali che affliggono il calcio italiano. Due sono i punti principali toccati da Capello. Il primo riguarda gli stadi. In Italia appartengono ai Comuni che li affittano alle squadre. In Inghilterra o in Spagna, invece, appartengono alle società, che non solo gestiscono la sicurezza con i loro steward, ma hanno anche l’incentivo ad adattarli alle esigenze dei tifosi, con ristoranti, bar, visite guidate. Il secondo riguarda il potere eccessivo degli ultras. Essi hanno, secondo Capello, la libertà di intimidire i giocatori con striscioni, cori razzisti. Possono sfasciare treni e restare impuniti.Sconcertanti le reazioni dei dirigenti sportivi italiani alle dichiarazioni di Capello. Il Presidente del Coni, Petrucci: "Troppo facile parlare dall’alto. Dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano. Non mi piace chi va all’estero e dà giudizi sull’Italia". Pescante, Vicepresidente del Cio "Capello dia un’occhiata agli hooligans inglesi". Abete, Presidente della Federcalcio: "Non corrisponde alla realtà" quanto dichiarato da Capello. 
Non si capisce perché chi sia all’estero non possa dare giudizi sull’Italia. Specie se è italiano e conosce bene la realtà italiana. Se Capello predicasse la riduzione degli ingaggi degli allenatori sarebbe forse poco credibile, ma perché non dovrebbe esserlo se parla di sicurezza? Gli hooligans inglesi erano una tremenda piaga del calcio negli anni ’80. Nessuno ha scordato la strage dell’Heysel, ma oggi sono stati quasi completamente debellati, grazie a leggi severissime e alla loro stretta applicazione. E in ogni caso, anche se gli hooligans fossero ancora un problema, non si capisce perché questo toglierebbe valore alle parole di Capello. Non si capisce neanche cosa non corrisponda alla realtà. E’ vero o no che le squadre italiane non possiedono lo stadio e che solo la Juventus ha un piano serio per averne uno in pochi anni? E vero o no che in conseguenza di ciò la struttura dei ricavi del club italiani è sbilanciata, rispetto a quelli inglesi, sul lato dei diritti televisivi? E’ vero o no che ogni domenica lo Stato italiano sussidia i club garantendo la sicurezza delle partite con le forze dell’ordine? E’ vero o no che gli ultras hanno spesso accampato richieste assurde e vessatorie alle società chiedendo biglietti gratis da vendere sul mercato nero o la gestione di alcuni rami del merchandising? E’ vero o no che gli ultras spesso hanno treni speciali per le trasferte (sui quali molti non pagano il biglietto) e che tali treni vengono a volte distrutti? Ma soprattutto: che futuro ha il calcio italiano se i massimi dirigenti sportivi, posti di fronte ad una diagnosi più o meno plausibile dei problemi del calcio italiano, preferiscono prendersela con chi denuncia tali problemi invece che fare proposte per la loro risoluzione? 

LA SANITÀ DI SACCONI

Da mesi le Regioni si rifiutano di partecipare alle varie Conferenze Stato-Regioni e cercano affannosamente, e finora senza successo, un incontro risolutore con il Presidente del Consiglio. Il principale tema del contendere è il finanziamento della sanità per il prossimo biennio, che le Regioni considerano del tutto insufficiente. E infatti gli studiosi si aspettano che tutte le Regioni, e non solo quelle più inefficienti, finiranno con i conti in rosso il prossimo anno. Si osservi inoltre che a causa del blocco delle addizionali Irpef e Irap decretato dal governo, le Regioni non possono più contare su strumenti tributari propri per far fronte alle emergenze, nonostante i continui annunci di federalismo fiscale. Eppure, il Ministro Sacconi ha detto pubblicamente, alla trasmissione Ballarò di martedì scorso, che la posizione delle Regioni è sbagliata perché il governo ha invece aumentato il finanziamento della sanità di ben 3,5 miliardi nel biennio, sfidando anche il pubblico a controllare le cifre. Che succede allora? Di che si lamentano i Presidenti delle Regioni? La tabella aiuta a fare chiarezza. Sacconi non mente sulle cifre del sistema sanitario, ma cita solo i dati che gli convengono, dimenticandone altri che viceversa sono più importanti. Come si osserva dalla tabella, è vero che il finanziamento di "base" – escludendo cioè manovre e ulteriori finanziamenti – cresce di 3,5 miliardi nel biennio; ma quello "effettivo", cioè quello che davvero importa per i bilanci delle regioni, cresce solo di 0,471 miliardi nel 2010 e di 2,1 miliardi nel 2011. La ragione è che nel 2010 vengono meno i 434 milioni destinati alla seconda tranche di finanziamento per l’abolizione dei ticket (ticket che formalmente rientrano nella sovranità delle Regioni, ma che l’ultimo governo di centro sinistra ha abolito, compensando in misura insufficiente le regioni, e che il governo di centro destra ha deciso di non compensare affatto) e gli 800 milioni di risparmi sulla spesa farmaceutica (il risultato di un’azione fortemente voluta dalle Regioni, le quali contavano di destinare le economie ai nuovi farmaci, in particolare oncologici) che verranno invece trattenuti e utilizzati dallo Stato. Difficile dunque dare ragione a Sacconi.

POSTO FISSO PER CHI?

Quando parla il Ministro dell’Economia bisogna prenderlo sul serio. In cosa consiste la svolta di Giulio Tremonti sul posto fisso? Ci sono tre interpretazioni. La prima è che sia solo una mossa demagogica, politica, per “spiazzare la sinistra”, come rimarcato da diversi quotidiani e commentatori.  Se così fosse non ci interessa. Notiamo che servirebbe solo a rendere più fisso il posto di Giulio Tremonti alla scrivania di Quintino Sella.
La seconda interpretazione è che il Ministro voglia davvero intervenire dove ha voce in capitolo. Tremonti è di fatto il cassiere del pubblico impiego. Ha dunque il Ministro intenzione di assumere tutti i lavoratori precari della Pubblica amministrazione? Quanto costa? E cosa ne pensa il titolare del dicastero alla Funzione Pubblica, il datore di lavoro dei pubblici dipendenti?
La terza interpretazione è che Tremonti voglia intervenire anche fuori dal pubblico impiego, nel settore privato. Anche qui avrebbe delle leve da muovere. Ad esempio, può aumentare i costi del licenziamento individuale e limitare i casi di licenziamento collettivo per motivi economici. Tutto ciò renderebbe più sicuro il posto “fisso” di chi un lavoro a tempo indeterminato ce l’ha già. Ma esporrebbe ancora di più i lavoratori precari al rischio di licenziamento (già oggi di otto volte superiore a quello per i lavoratori con contratti permanenti).
Tremonti sa bene che non si può garantire il posto fisso a tutti. Neanche in un’economia pianificata. Lo si può fare per alcuni lavoratori scaricando tutti i rischi su chi è lasciato fuori, ad esempio i lavoratori temporanei e i disoccupati. Quello che si può fare è garantire a tutti protezione contro il rischio di perdere il lavoro, riformando gli ammortizzatori sociali in modo tale da offrire copertura assicurativa a tutti. Si può anche ridurre il dualismo fra lavoratori con contratti temporanei e contratti permanenti, cambiando le regole di accesso al mercato del lavoro per consentire a tutti un ingresso dalla porta principale. Ciò può avvenire attraverso la creazione di un sistema di tutele progressive per il lavoratore che aumenti con la durata del rapporto di lavoro. Questo è l’unico modo per permettere che la stabilizzazione dei precari avvenga senza distruggere posti di lavoro.

DEI PREFETTI NON SI SA NIENTE

Nella settimana passata è emerso. in tutta la sua evidenza, l’attrito tra il Ministro dell’Economia e alcune banche, quali Intesa SanPaolo e Unicredit, relativamente ai Tremonti Bonds. I T-bonds sono strumenti finanziari predisposti nei giorni più caldi della crisi finanziaria dal Ministero dell’Economia per far fronte alla mancanza di adeguata capitalizzazione delle banche italiane. Avere banche con una solida capitalizzazione è importante non solo per la stabilità del sistema bancario stesso, ma anche perché dal livello di capitalizzazione dipende la capacità delle banche di fornire credito a imprese e famiglie. È per tale ragione che anche in altri Paesi si sono predisposti strumenti finanziari simili ai T-bonds. Il costo di sottoscrizione dei T-bonds è dell’8.5%, con maggiorazioni in caso di rimborso ritardato. La gestazione dei T-bonds è stata piuttosto lunga e oggi, passata l’emergenza le banche italiane hanno scoperto che è possibile, data la nuova situazione di mercato, ricapitalizzarsi con altri strumenti meno onerosi dei T-bonds. Per tale ragione molte banche, incluse le due principali, Unicredit e Intesa, hanno deciso di non sottoscrivere i Tremonti bonds. Il Ministro si è molto risentito, ribattendo che tali strumenti non erano stati pensati per le banche, ma per le imprese, affinché esse non si trovassero nell’impossibilità di ottenere finanziamenti dal sistema bancario. Le banche hanno replicato che già adesso non vi è alcuna restrizione al credito per le imprese sane. Viene da domandarsi se sia compito del Ministro dell’Economia dire quale sia il livello ottimale di credito nell’economia italiana, ma lasciamo da parte questa questione per il momento. Ha ragione il Ministro o hanno ragione le banche? C’è o non c’è un significativo razionamento del credito a famiglie e imprese?
Nel decreto che istituiva i Tremonti bonds, il Ministro affidava ai prefetti il monitoraggio delle condizioni del credito verso famiglie e imprese. I prefetti dovevano essere delle cassette postali nelle quali imprenditori e cittadini potevano riversare le loro lamentele in caso di comportamenti “opportunistici” delle banche.
Chi meglio di loro può allora dirimere oggi la controversia tra banche e Ministro? Le cassette postali dei prefetti sono piene, quasi piene o desolatamente vuote? Oggi che le loro parole potrebbero portare chiarezza, dei prefetti (e dai prefetti) non si sa niente. Non pretendiamo “la parola che squadri da ogni lato”. Ci basterebbe solo qualche storta sillaba. Almeno per dissipare il dubbio che l’operazione prefetti fosse in realtà solo un dispetto verso la Banca d’Italia.

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