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SE ALL’UNIVERSITÀ MANCA PROFUMO DI SELEZIONE

Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro Profumo ha nominato Raffaele Liberali, capo di dipartimento per l’università e la ricerca. Il dottor Liberali dirige la Direzione K (Energia) presso la direzione generale per la ricerca e l’innovazione della Commissione europea. Andrà in pensione dalla Commissione prima di assumere il nuovo incarico.
Il nuovo capo del dipartimento avrà responsabilità centrali per l’attuazione della nuova legge universitaria: in particolare da lui dipenderanno i rapporti fra il ministero e l’Anvur. Con quale criterio è stato scelto? Quale è il gruppo di riferimento all’interno del quale il dottor Liberali è emerso come il candidato più adatto?
Ci saremmo aspettati che il governo Monti innovasse anche nelle procedure per la nomina degli alti funzionari dello Stato. La stessa Commissione europea e la Bce sempre più spesso effettuano le loro nomine al termine di una procedura pubblica in cui la posizione aperta è annunciata su mezzi di informazione, ad esempio l’Economist, e dà luogo ad una short list di candidati che vengono intervistati prima della decisone finale. La scelta del nuovo direttore generale del Tesoro offre al governo l’occasione per adottare standard europei in queste nomine.

L’OPA è fuggita

Il progetto di fusione tra Unipol, Premafin e  Fonsai, oggetto di un recente intervento sulla Voce.info, è stato da poco modificato su sollecitazione del presidente della Consob. Pur non lanciando l’Opa su Fonsai, Unipol non comprerà più a caro prezzo Premafin (il che avrebbe consentito alla famiglia Ligresti di incassare una sostanziosa buonuscita), ma si limiterà ad apportare a quest’ultima 300 milioni di mezzi freschi attraverso un aumento di capitale riservato, diventando il nuovo socio di controllo.
Il vecchio progetto presentava ben due aspetti scandalosi: premiava di fatto la famiglia Ligresti colpevole del dissesto con un premio di maggioranza pari a circa sette volte il valore di mercato e prevedeva l’Opa solo per Premafin (la controllante) ma non per le società assicurative controllate.
Non ci sono più vincitori, ma soltanto vinti: nessuno incassa il premio per il controllo e i fondi freschi finiscono tutti alla bisognosa Fondiaria Sai.
Tutto bene? Quasi. Innanzitutto, non dimentichiamo che anche questo nuovo piano è stato concepito insieme ai vecchi soci di controllo e ai loro creditori; è possibile dunque che nei dettagli dell’operazione – ancora ignoti – si nasconda un premio di consolazione, magari sostanzioso, per chi oggi sembra aver perso un giro. Del resto, la scelta di investire in Premafin anziché versare i soldi direttamente nelle malandate casse di Fonsai si spiega solo con la volontà di rendere un po’meno traballanti i debiti della prima verso alcune grandi banche. E in ogni caso, rende difficile parlare di salvataggio tout court della compagnia assicurativa, rendendo quanto meno incerta l’esenzione dall’Opa a cascata. Inoltre, la frettolosa operazione di cosmesi ha travolto anche gli azionisti di Premafin, che fino a ieri sembravano gli unici premiati dall’Opa e che lunedì hanno visto le quotazioni crollare del 30 per cento.
Infine, sorprende l’attivismo di una Consob che non si limita a fissare poche buone regole e a farle rispettare, ma consiglia, sussurra, persuade; magari preservando, come ai bei tempi andati delle Opa bancarie, l’italianità dei campioni nazionali. Tanto più che stavolta, complici la crisi finanziaria e le tensioni dell’Eurozona, nessun lanzichenecco aveva varcato l’arco alpino brandendo un’’Opa ostile. Le autorità di vigilanza devono essere arbitri imparziali e limitarsi a fischiare, se del caso, il rigore: suggerire all’’attaccante da che parte tirare non rientra precisamente nei loro compiti.

VERSO GLI STATI UNITI D’EUROPA

Dopo ore di negoziati, 25 paesi dell’’Unione Europea (tutti i 27 meno il Regno Unito e la Repubblica Ceca) hanno raggiunto un accordo sul cosiddetto Fiscal Compact, il patto volto a rafforzare le regole di bilancio e di controllo dei debiti pubblici all’’interno dell’’Unione Europea. E’’ un accordo – da firmare nel marzo 2012 –  che vincola i singoli paesi europei a raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio ma che esclude,  pare, ulteriori aggravi e correzioni di bilancio per i paesi il cui debito pubblico superi il 60 per cento del Pil. Sarebbe stata una clausola suicida non solo per l’’Italia ma anche per gli altri paesi europei dato che il rapporto debito pubblico-Pil medio UE 2011 sfiora il 90 per cento.
Sull’accordo pendono come spade di Damocle il fallimento di Grecia e Portogallo che i mercati finanziari stanno ormai contabilizzando come una probabilità molto concreta nei valori astronomici degli spread dei loro debiti rispetto al bund. Eppure l’accordo è un buona base per il futuro dell’Unione: se davvero si vuole andare verso un’Unione Fiscale o un’Europa federale, la nuova creatura dovrebbe provare ad ispirarsi all’esempio più ovvio che viene in mente, ovvero gli USA. Negli Stati Uniti i singoli stati dell’Unione hanno il divieto di fare deficit pubblici. Ed è solo in cambio di questa clausola che il governo federale può intervenire in situazioni di emergenza (come hanno fatto Bush e Obama durante la crisi) con fondi federali che sostengano l’economia senza creare rischi di default. In definitiva questo propone da mesi la signora Merkel: si oppone agli eurobond in un’Unione di paesi egoisti che vogliono solo socializzare le perdite ma non hanno un progetto comune. Nello stesso tempo spinge per far avanzare un progetto comune, con un fondo salva stati potenziato (da luglio 2012) ma severe regole di bilancio nazionali (da marzo 2012), stretta tra un elettorato che vuole tornare al marco e il resto dell’Europa che vuole i soldi tedeschi, cash e subito. Ma la futura Unione dovrà assomigliare a quello ha in mente la signora Merkel. Se no, non saranno gli Stati Uniti di Europa, ma piuttosto l’’Europa delle Mille Libertà e degli Zero Doveri. Qualcosa di cui potremmo e dovremmo fare a meno.

Link Utili

DICHIARAZIONE DEI MEMBRI DEL CONSIGLIO EUROPEO 30 GENNAIO 2012 – Verso un risanamento favorevole alla crescita e una crescita favorevole alla creazione di posti di lavoro (non sottoscritto dalla Svezia)

STATEMENT of President Barroso following the Informal meeting of the European Council Joint press conference Brussels

PRESS REMARKS by the President of the European Council Herman Van Rompuy following the informal meeting of members of the European Council

AFFORI, PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA

8  ottobre 2011, gli spogliatoi del centro sportivo di via Iseo vengono dati alle fiamme da ignoti In pieno giorno. Nella notte del 29 dicembre 2011, ignoti entrano nel centro di via Iseo e distruggono i bagni della palestra, provocandone l’allagamento.  La struttura  era gestita fino a settembre da una società sportiva, dietro cui le indagini della DDA hanno individuato una delle più pericolose ‘ndrine della ‘ndrangheta attive sul territorio.  Il cui bastione, centro per il traffico di stupefacenti e la ricettazione, è in una delle case popolari della zona. Il Centro era stato recentemente preso in gestione dal Comune, che sta procedendo al recupero delle strutture.
Via Iseo è nella zona 9 di Milano, ad Affori. Dista 500 metri dall’Ospedale di Niguarda, uno dei più importanti centri ospedalieri della città, si affaccia su via Enrico Fermi, una delle più trafficate vie di accesso a Milano dalla Brianza. Via Iseo è una traversa di via Bellerio. Sede nazionale della Lega Nord.   

LE CATEGORIE DELL’EQUITÀ

I giornali di oggi sono pieni di insulti nei confronti delle categorie privilegiate, dalle farmacie ai tassisti ai deputati ai consiglieri provinciali, che ancora una volta sono riuscite a scamparla, piegando ai loro voleri perfino l’inflessibile ex commissario europeo alla concorrenza che aveva fatto vedere i sorci verdi a Microsoft.

IL PATRIOTTISMO ECONOMICO È UN’ALTRA COSA

Grande impatto mediatico ha avuto l’annuncio a pagamento sul Corriere della Sera alcuni giorni fa dal signor Giuliano Melani, che invitava gli italiani a comprare i titoli di Stato del nostro Paese, al fine di ridurne il tasso, giunto ormai a livelli quasi insostenibili per la nostra economia. “Compriamoli anche a tasso zero”, arriva a dire l’imprenditore toscano, in un impeto di patriottismo. Non dubitiamo che sia solo l’amore per l’Italia a muovere Melani, ma il suo patriottismo è male orientato.

LA LITANIA DEI CONDONI

Lunedì 24 ottobre. Il Consiglio dei ministri è terminato. Nulla di fatto. Il decreto sviluppo continua ad essere un oggetto misterioso. Una bozza è circolata nel pomeriggio, ripresa dalle più importanti testate nazionali. Conteneva una litania impressionante di condoni di tutti i tipi: riapertura dei termini per gli anni pregressi, regolarizzazione delle scritture contabili, accertamento con adesione per i periodi d’imposta pregressi, definizione dei ritardati od omessi versamenti, definizione degli atti di accertamento e di contestazione, degli avvisi di irrogazione delle sanzioni, degli inviti al contraddittorio e dei processi verbali di constatazione, definizione delle liti pendenti, definizione dei tributi locali, definizione agevolata ai fini delle imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni, proroga di termini, definizione degli importi non versati, regolarizzazione di inadempienze di natura fiscale, proroga di termini. Tutti cumulabili. Alcuni anonimi.
In larga parte un déjà vu: la riproposizione, con pochi aggiornamenti, della lunga lista di condoni messi in atto con la legge finanziaria per il 2003.
La notizia è rimbalzata sui siti e nei notiziari. Il Governo ha smentito.
È un giallo? È l’ennesimo ballon d’essai? Per saggiare l’opinione di chi? Dei contribuenti o della propria maggioranza?
Non lo so. Quello che è certo è che una notizia di questo tipo, lasciata trapelare e poi smentita da un governo debole, indeciso e diviso, è un’ulteriore non indifferente elemento che ne mina la residua credibilità.

PER NON DIMENTICARE

L’avevamo chiamata legge “ad aziendam”  e questa definizione è stata fatta propria dalla stampa. Ci riferivamo alla norma contenuta  nel decreto legge “incentivi” (n. 40/2010), che permetteva una  rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre dieci anni per le quali l’amministrazione finanziaria fosse risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio. Il contribuente poteva estinguere la controversia che lo riguardava, pagando un importo pari al 5 per cento del suo valore (riferito alla sola imposta oggetto di contestazione in primo grado, senza tenere conto  degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni).
L’avevamo chiamata “ad aziendam” perché le condizioni richieste per accedere alla sanatoria si attagliavano alla perfezione  a un importante contenzioso pendente in Cassazione che riguardava la Mondadori. L’imposta dovuta dall’azienda editoriale era pari a 173 milioni. Se si aggiungono interessi, indennità di mora e sanzioni, si trattava, secondo la stampa,  di una somma di circa 350 milioni di euro. Grazie alla norma citata la controversia si è chiusa con il pagamento di 8,6 milioni.
Marina Berlusconi, Presidente di Mondadori ha rigettato l’interpretazione di una legge ad aziendam:  “Non legge ad aziendam, ma ad aziendas, perché è una norma che restituisce certezze a tutto il sistema delle imprese. Se le leggi, come in questo caso, sono sacrosante, che cosa si vorrebbe, che le nostre aziende non le utilizzassero solo perché fanno capo alla famiglia Berlusconi?”
Chi aveva ragione?
Il senatore del Pd Giuliano Barbolini ha provato ad avere dal ministero dell’Economia tutte le informazioni necessarie a capire quante siano state davvero e per che importi le imprese che di questa norma si sono avvalse. Ci sono volute tre diverse interrogazioni. 
La risposta del Ministero dell’Economia, per quanto limitata a solo  alcuni aspetti, sembra abbastanza interessante. Le aziende che hanno utilizzato la norma sono state 67. Il costo complessivo che si è rinunciato a introitare a bilancio pubblico, nel caso di soccombenza della controparte, viene valutata in circa 226 milioni.
Se ne deduce che, poiché di questi 226 milioni 173 milioni riguardano la Mondadori,  la vertenza Mondadori pesa per poco più del 75% del totale. Le altre 66 aziende, tutte insieme, contano per il restante 25%.
Si può o non si può parlare di legge “ad aziendam”?

BESTIARIO DI FINE STAGIONE

Domenica senz’auto a Milano, lettura dei giornali in un quieto silenzio. Dove scopri le grande manovre dentro la maggioranza e la comparsa di nuove specie non ancora classificate. Da una costola dei “responsabili” pare stia nascendo un gruppo di “incuriositi”, pronto a sondare le prospettive di un ritorno alle antiche magioni, disponibile al confronto con i “malpancisti”, la cui origine cattolica sta alla fine provocando delle coliche politiche, e attenti al riposizionamento degli “ex-colonnelli” il cui nome un po’ marziale dovrebbe rimandare alla originaria matrice di Alleanza Nazionale. Più defilati, pare attendano gli “insoddisfatti” compagine sottotraccia e di incerta numerosità. Bene, uno pensa, forse la preoccupazione per le sorti del paese sta smuovendo le acque. Salvo comprendere rapidamente che in ballo per questi parlamentari di incerta rielezione c’è solo l’incubo delle elezioni anticipate. Volti pagina e finalmente si parla di economia, cerchi lumi sulla gestazione del decreto sviluppo ma trovi solamente discussioni sul condono, se debba essere edilizio, fiscale, tombale o di altra, ancora intentata specie. E per chi nutra qualche dubbio chiude la questione il Vicepresidente della Camera dei deputati: “il condono è eticamente giusto”. Parole dell’Onorevole Corsaro. Nomen omen.

LA FARFALLA SCILIPOTI

Viviamo in tempi caotici, al traino dei nervosismi dei mercati finanziari. E per cercare un bandolo della matassa possiamo rifarci forse a quanti sul caos hanno costruito eleganti modelli matematici di dinamica non lineare, modelli che poi per il pubblico vengono tradotti nel famoso adagio: un battito d’ali di una farfalla a New York, un uragano a Rio. Vediamo quindi di mettere in ordine le tessere del puzzle, guidando in questa sequenza il nostro lettore. Il transfuga Scilipoti sostiene il governo “a prescindere”. Il governo resiste nei numeri e frana nella credibilità. La bassa credibilità di un paese debitore come l’Italia mina la solidità dell’euro. Un euro sfiduciato dai mercati può portare alla fine della moneta unica. La fine della moneta unica destabilizza il sistema dei cambi e scatena una spinta recessiva devastante. L’America cade in un profondo double dip. Obama crolla nei sondaggi. Il nuovo presidente degli Stati Uniti è un esponente del tea party. E qui mi fermo perché mi sembra abbastanza!

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