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PER NON DIMENTICARE

L’avevamo chiamata legge “ad aziendam”  e questa definizione è stata fatta propria dalla stampa. Ci riferivamo alla norma contenuta  nel decreto legge “incentivi” (n. 40/2010), che permetteva una  rapida definizione delle controversie tributarie pendenti da oltre dieci anni per le quali l’amministrazione finanziaria fosse risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio. Il contribuente poteva estinguere la controversia che lo riguardava, pagando un importo pari al 5 per cento del suo valore (riferito alla sola imposta oggetto di contestazione in primo grado, senza tenere conto  degli interessi, delle indennità di mora e delle eventuali sanzioni).
L’avevamo chiamata “ad aziendam” perché le condizioni richieste per accedere alla sanatoria si attagliavano alla perfezione  a un importante contenzioso pendente in Cassazione che riguardava la Mondadori. L’imposta dovuta dall’azienda editoriale era pari a 173 milioni. Se si aggiungono interessi, indennità di mora e sanzioni, si trattava, secondo la stampa,  di una somma di circa 350 milioni di euro. Grazie alla norma citata la controversia si è chiusa con il pagamento di 8,6 milioni.
Marina Berlusconi, Presidente di Mondadori ha rigettato l’interpretazione di una legge ad aziendam:  “Non legge ad aziendam, ma ad aziendas, perché è una norma che restituisce certezze a tutto il sistema delle imprese. Se le leggi, come in questo caso, sono sacrosante, che cosa si vorrebbe, che le nostre aziende non le utilizzassero solo perché fanno capo alla famiglia Berlusconi?”
Chi aveva ragione?
Il senatore del Pd Giuliano Barbolini ha provato ad avere dal ministero dell’Economia tutte le informazioni necessarie a capire quante siano state davvero e per che importi le imprese che di questa norma si sono avvalse. Ci sono volute tre diverse interrogazioni. 
La risposta del Ministero dell’Economia, per quanto limitata a solo  alcuni aspetti, sembra abbastanza interessante. Le aziende che hanno utilizzato la norma sono state 67. Il costo complessivo che si è rinunciato a introitare a bilancio pubblico, nel caso di soccombenza della controparte, viene valutata in circa 226 milioni.
Se ne deduce che, poiché di questi 226 milioni 173 milioni riguardano la Mondadori,  la vertenza Mondadori pesa per poco più del 75% del totale. Le altre 66 aziende, tutte insieme, contano per il restante 25%.
Si può o non si può parlare di legge “ad aziendam”?

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LE TRE POVERTÀ DEGLI ITALIANI

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FIAT TRA LE DUE SPONDE DELL’ATLANTICO

  1. Daniele

    Visto l’impatto della sola Mondadori sul totale delle maggiori imposte “condonate” probabilmente è giusto definirla “ad aziendam” e concordo nel deprecare tale operato legislativo. Nonostante ciò credo che: una lite vecchia di 10 anni parcheggiata nella segreteria di qualche collegio della commissione centrale o in cassazione, a seguito dei primi due gradi vinti dal contribuente, non possa essere in alcun modo soggetta ad una valutazione probabilistica di vittoria da parte dell’agenzia delle entrate. Ovvero bisogna continuare a sostenere i costi dell’incertezza (sia per il contribuente, sia per l’amministrazione finanziaria, sia per l’organo giudiziale) senza la probabilità di ricavarne alcun gettito. E’ invece assurdo permettere a chi ha già perso, in primo o secondo grado, di “chiudere la lite pendente” pagando il solo 50% del valore della lite…

  2. Roberto A

    Mi sarei aspettato un analisi tecnica più seria del tipo: andiamo a vedere fino ad ora le statistiche su quante controversie dove l’autorità ha perso nei primi due gradi di giudizio,la controversia sia poi stata ribaltata in cassazione.Ne facciamo un statistica e in base a questo facciamo una previsione probabilistica per cui quelle sarebbero minori entrate o meno.Si,perchè si sta parlando comunque di due gradi di giudizio vinti da chi ha fatto ricorso…come si fa quindi,a parlarne come se quelle entrate fossero state certe? Ma stiamo scherzando? Ho paura che pure qui stiate prendendo una piega poco tecnica e piu’ politica. Non vedo valutazioni sulla possibilità o meno che una norma simile possa essere utili o meno al di la di chi la utilizza o utilizzerà…niente, zero. Anche perché poi,si evince dalla biografia che la Cecilia Guerra ha lavorato con il governo Prodi tra il 2006 e il 2008.

  3. giovanni

    Gentile dott.ssa Guerra, da un tecnico come lei mi sarei aspettato un’analisi tecnica non un commento politico. Considerato il commento politico e che ha partecipato a precedenti governi di sinistra le chiedo: Come mai tutte le volte che siete stati al governo non avete mai fatto una norma ad hoc sul conflitto d’interessi? Non avrebbe dovuto essere la priorità numero 1 di un governo di sinistra considerato le continue denunce sul tema? Cordiali saluti.

  4. Pino

    La norma ad aziendam nasce da un situazione anomala creatasi dall’applicazione da parte della Cassazione nelle sue sentenze dell’abuso di diritto cioè una clausola generale antielusiva che consente all’AF di disconoscere fiscalmente operazioni elusive. Il problema è che una norma antielusiva già esiste nel nostro ordinamento(l’art. 37bis) che prevede precisi limiti agli accertamenti. L’applicazione ad un principio generale anti abuso ricavabile dalla Costituzione per contestare operazioni realizzate in passato, e non più soggetto ai limiti dalla norma antielusiva esistente, attribuisce troppo potere discrezionale all’AF e toglie certezze alle imprese che corrono il rischio di vedersi contestata l’elusività per qualsiasi operazione che genera legittimo risparmio di imposta. La soluzione al problema era intervenire con una definizione legale d abuso del diritto, che stabiliva i limiti procedurali per l’AF. Invece con quella norma si è scelto una soluzione all’italiana: il problema era il rischio di vedersi applicato l’abuso di diritto da parte della Cassazione? soluzione non faccio arrivare il processo in Cassazione..

  5. angelo

    Rispondo alla domanda: la legge è ad aziendam; e aggiungo due domande: come mai nessuno per anni si è preoccupato di sbloccare una pratica dormiente (sì, quella) che avrebbe potuto dare alle casse dello stato un pingue incasso o, in caso contrario, almeno contribuire a mettere un punto fermo nei rapporti fra AF e contribuenti? Se si era sicuri di vincere, per quale motivo fare una legge e non aspettare la conclusione naturale del giudizio, cosa che avrebbe portato ad un maggior risparmio per l’azienda?

  6. Ettore Capasso

    Due notazioni che mi sembrano significative:
    – a proposito di quantificazione dell’importo a cui l’Erario ha dovuto rinunciare in caso di soccombenza dei contribuenti (Fininvest compresa, principale beneficiario del provvedimento) va segnalato che con il precendente sistema di contenzioso tributario i contribuenti dopo il secondo grado di giudizio di merito potevano in passato scegliere di adire la Corte di Cassazione oppure la Commissione Tributaria Centrale. Per quelli che hanno scelto la Comm. Trib. Centrale, c’è stato un vero e proprio regalo: non hanno dovuto pagare niente, nemmeno il 5%: dopo il giudizio vittorio nelle sedi di merito, è stata semplicemente dichiarata cessata la materia del contendere: e chi si è visto si è visto!
    – poichè la “definizione” fatta con il provvedimento “ad aziendam” potrebbe essere contestata dalla Comunità Europea (che potrebbe condannare l’Italia a pagare per violazione delle norme comunitarie) la Fininvest (attraverso il suo proprietario che è il capo del governo) ha preteso ed ottenuto, mi risulta, anche una formale quietanza dalla Agenzia delle Entrate che libererebbe la Fininvest ( ma non lo Stato Italiano) dalle probabili sanzioni.

  7. GT

    Non penso che un’analisi più rigorosa avrebbe dovuto riportare quanti giudizi sono stati ribaltati dopo il II grado. Ogni contenzioso è un caso a sé, specie quello tributario, che spesso si fonda su trovate capziose e ricche di inventiva da parte dell’AF. Riguardo alle critiche al presunto carattere “politico” dell’articolo, basta leggere i lavori della prof.ssa Guerra per verificare quale sia il livello qualitativo degli stessi in termini di accuratezza dei dati e di competenza scientifica. La sua carriera professionale (quella di professore. Sì, consulente politico, ma NON di un politico tout court) parla per lei, ma se non si vuol esaminarla per intero, basti la testimonianza di chi è stato anni fa un suo studente e che molto Le deve. Credo tuttavia che il problema sia il solito: quando si deve valutare una norma firmata “Governo Berlusconi”, si è bloccati in partenza. Che si tratti di una proposta come quella in questione (che trovo più che condivisibile), o che ci si riferisca a provvedimenti indifendibili (processo breve, etc), il solo sospetto che una maggioranza vari una legge per tutelare gli interessi del Premier, rende il giudizio sulla sua bontà questione secondaria

  8. giovanni

    Nessuno mette in dubbio la compentenza professionale della dott.ssa Guerra, semplicemente si contastata la connotazione politica del commento (che tra l’altro non è affatto peregrina). Però se penso all’aspetto tecnico mi chiedo: ma se vinco i primi due giudizi e sono in attesa del giudizio di Cassazione da più di dieci anni (dove l’interpretazione del diritto tributario si è innovata notevolmente) è così scandoloso prevedere una chiusura agevolata della lite?

  9. giovanni

    Segnalo che l’autrice è anche segretario provinciale del Pd di Modena.

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