In un paese schierato contro i giovani non si esita ad accusare di nepotismo i figli anziché i padri. E più bravi sono i figli, più pesanti sono le accuse. Nei giorni scorsi abbiamo assistito a una vera e propria gogna mediatica contro Silvia Deaglio, professore associato di medicina all’Università di Torino. Avrebbe fatto una carriera brillantissima solo grazie ai suoi genitori, Elsa Fornero (da due mesi Ministro del Welfare) e Mario Deaglio (Professore di Economia). Nepotismo significa che genitori inetti impongono alla collettività figli inetti. Ognuno è libero di farsi unÂ’opinione dei genitori. Sono entrambe persone conosciute. Molto meno conosciuta è la figlia, la vera vittima di questa persecuzione. Opera in un campo diverso dei suoi genitori, le scienze mediche. Lavora nello stesso ateneo di questi, lÂ’università di Torino. Ma questo di per sé non significa nepotismo: qualunque facoltà di medicina italiana dovrebbe infatti fare di tutto per avere Silvia Deaglio nel proprio corpo docente.
Guardiamo a due misure dell’impatto della sua ricerca: l’indice h (misura il numero di lavori pesandoli per il numero di citazioni ricevute) e il numero totale di citazioni. Come si vede dai grafici qui sotto, in tutte e due queste misure, Silvia Deaglio è nella parte alta della distribuzione delle persone della sua età che hanno un posto nelle facoltà di medicina in Italia, quattro volte al di sopra della media. E’, in altre parole, un’eccellenza. Vogliamo fare una proposta: chi l’accusa di portare via il posto ad altri più meritevoli, non si nasconda dietro agli pseudonimi così frequenti sul web. Si dichiari, nome, cognome e disciplina e ci dia così modo di misurare l’impatto anche delle sue ricerche.
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Il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro Profumo ha nominato Raffaele Liberali, capo di dipartimento per l’università e la ricerca. Il dottor Liberali dirige la Direzione K (Energia) presso la direzione generale per la ricerca e l’innovazione della Commissione europea. Andrà in pensione dalla Commissione prima di assumere il nuovo incarico.
Il nuovo capo del dipartimento avrà responsabilità centrali per l’attuazione della nuova legge universitaria: in particolare da lui dipenderanno i rapporti fra il ministero e l’Anvur. Con quale criterio è stato scelto? Quale è il gruppo di riferimento all’interno del quale il dottor Liberali è emerso come il candidato più adatto?
Ci saremmo aspettati che il governo Monti innovasse anche nelle procedure per la nomina degli alti funzionari dello Stato. La stessa Commissione europea e la Bce sempre più spesso effettuano le loro nomine al termine di una procedura pubblica in cui la posizione aperta è annunciata su mezzi di informazione, ad esempio l’Economist, e dà luogo ad una short list di candidati che vengono intervistati prima della decisone finale. La scelta del nuovo direttore generale del Tesoro offre al governo l’occasione per adottare standard europei in queste nomine.
Dopo ore di negoziati, 25 paesi dell’Â’Unione Europea (tutti i 27 meno il Regno Unito e la Repubblica Ceca) hanno raggiunto un accordo sul cosiddetto Fiscal Compact, il patto volto a rafforzare le regole di bilancio e di controllo dei debiti pubblici all’Â’interno dell’Â’Unione Europea. EÂ’’ un accordo – da firmare nel marzo 2012 – che vincola i singoli paesi europei a raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio ma che esclude, pare, ulteriori aggravi e correzioni di bilancio per i paesi il cui debito pubblico superi il 60 per cento del Pil. Sarebbe stata una clausola suicida non solo per l’Â’Italia ma anche per gli altri paesi europei dato che il rapporto debito pubblico-Pil medio UE 2011 sfiora il 90 per cento.
SullÂ’accordo pendono come spade di Damocle il fallimento di Grecia e Portogallo che i mercati finanziari stanno ormai contabilizzando come una probabilità molto concreta nei valori astronomici degli spread dei loro debiti rispetto al bund. Eppure lÂ’accordo è un buona base per il futuro dellÂ’Unione: se davvero si vuole andare verso unÂ’Unione Fiscale o unÂ’Europa federale, la nuova creatura dovrebbe provare ad ispirarsi allÂ’esempio più ovvio che viene in mente, ovvero gli USA. Negli Stati Uniti i singoli stati dell’Unione hanno il divieto di fare deficit pubblici. Ed è solo in cambio di questa clausola che il governo federale può intervenire in situazioni di emergenza (come hanno fatto Bush e Obama durante la crisi) con fondi federali che sostengano lÂ’economia senza creare rischi di default. In definitiva questo propone da mesi la signora Merkel: si oppone agli eurobond in unÂ’Unione di paesi egoisti che vogliono solo socializzare le perdite ma non hanno un progetto comune. Nello stesso tempo spinge per far avanzare un progetto comune, con un fondo salva stati potenziato (da luglio 2012) ma severe regole di bilancio nazionali (da marzo 2012), stretta tra un elettorato che vuole tornare al marco e il resto dellÂ’Europa che vuole i soldi tedeschi, cash e subito. Ma la futura Unione dovrà assomigliare a quello ha in mente la signora Merkel. Se no, non saranno gli Stati Uniti di Europa, ma piuttosto l’Â’Europa delle Mille Libertà e degli Zero Doveri. Qualcosa di cui potremmo e dovremmo fare a meno.
Link Utili
DICHIARAZIONE DEI MEMBRI DEL CONSIGLIO EUROPEO 30 GENNAIO 2012 – Verso un risanamentoÂ
STATEMENTÂ of President Barroso following the Informal meeting of the European Council Joint press conference Brussels
PRESSÂ REMARKS by the President of the European Council Herman Van Rompuy following the informal meeting of members of the European Council
Il progetto di fusione tra Unipol, Premafin e Fonsai, oggetto di un recente intervento sulla Voce.info, è stato da poco modificato su sollecitazione del presidente della Consob. Pur non lanciando l’Opa su Fonsai, Unipol non comprerà più a caro prezzo Premafin (il che avrebbe consentito alla famiglia Ligresti di incassare una sostanziosa buonuscita), ma si limiterà ad apportare a quest’ultima 300 milioni di mezzi freschi attraverso un aumento di capitale riservato, diventando il nuovo socio di controllo.
Il vecchio progetto presentava ben due aspetti scandalosi: premiava di fatto la famiglia Ligresti colpevole del dissesto con un premio di maggioranza pari a circa sette volte il valore di mercato e prevedeva l’Opa solo per Premafin (la controllante) ma non per le società assicurative controllate.
Non ci sono più vincitori, ma soltanto vinti: nessuno incassa il premio per il controllo e i fondi freschi finiscono tutti alla bisognosa Fondiaria Sai.
Tutto bene? Quasi. Innanzitutto, non dimentichiamo che anche questo nuovo piano è stato concepito insieme ai vecchi soci di controllo e ai loro creditori; è possibile dunque che nei dettagli dell’operazione – ancora ignoti – si nasconda un premio di consolazione, magari sostanzioso, per chi oggi sembra aver perso un giro. Del resto, la scelta di investire in Premafin anziché versare i soldi direttamente nelle malandate casse di Fonsai si spiega solo con la volontà di rendere un po’meno traballanti i debiti della prima verso alcune grandi banche. E in ogni caso, rende difficile parlare di salvataggio tout court della compagnia assicurativa, rendendo quanto meno incerta l’esenzione dall’Opa a cascata. Inoltre, la frettolosa operazione di cosmesi ha travolto anche gli azionisti di Premafin, che fino a ieri sembravano gli unici premiati dall’Opa e che lunedì hanno visto le quotazioni crollare del 30 per cento.
Infine, sorprende l’attivismo di una Consob che non si limita a fissare poche buone regole e a farle rispettare, ma consiglia, sussurra, persuade; magari preservando, come ai bei tempi andati delle Opa bancarie, l’italianità dei campioni nazionali. Tanto più che stavolta, complici la crisi finanziaria e le tensioni dell’Eurozona, nessun lanzichenecco aveva varcato lÂ’arco alpino brandendo un’Â’Opa ostile. Le autorità di vigilanza devono essere arbitri imparziali e limitarsi a fischiare, se del caso, il rigore: suggerire all’Â’attaccante da che parte tirare non rientra precisamente nei loro compiti.
8 ottobre 2011, gli spogliatoi del centro sportivo di via Iseo vengono dati alle fiamme da ignoti In pieno giorno. Nella notte del 29 dicembre 2011, ignoti entrano nel centro di via Iseo e distruggono i bagni della palestra, provocandone l’allagamento. La struttura  era gestita fino a settembre da una società sportiva, dietro cui le indagini della DDA hanno individuato una delle più pericolose ‘ndrine della ‘ndrangheta attive sul territorio. Il cui bastione, centro per il traffico di stupefacenti e la ricettazione, è in una delle case popolari della zona. Il Centro era stato recentemente preso in gestione dal Comune, che sta procedendo al recupero delle strutture.
Via Iseo è nella zona 9 di Milano, ad Affori. Dista 500 metri dallÂ’Ospedale di Niguarda, uno dei più importanti centri ospedalieri della città , si affaccia su via Enrico Fermi, una delle più trafficate vie di accesso a Milano dalla Brianza. Via Iseo è una traversa di via Bellerio. Sede nazionale della Lega Nord.  Â
Le crisi sorprendono. Ma ancor più dovrebbe sorprendere la somiglianza dei comportamenti che le provocano. Essi sono a tal punto ripetitivi che li ritroviamo cristallizzati in forma schematica dalla saggezza popolare in favole e novelle. Chi rileggesse con gli occhiali del presente la nota favola dei tre porcellini e del lupo cattivo – o meglio ancora guardasse sul sito l’eccezionale cartone animato di Walt Disney – non faticherebbe a riconoscere antefatti e conseguenze della crisi dell’Â’euro. Troverebbe la crisi dell’Â’euro raccontata ai bambini.
I giornali di oggi sono pieni di insulti nei confronti delle categorie privilegiate, dalle farmacie ai tassisti ai deputati ai consiglieri provinciali, che ancora una volta sono riuscite a scamparla, piegando ai loro voleri perfino l’inflessibile ex commissario europeo alla concorrenza che aveva fatto vedere i sorci verdi a Microsoft.
VENI, VIDI, VÂ’ICI
Trasformisti di carriera,
responsabili dÂ’accatto,
rosiconi dÂ’ogni schiera,
tessitori dÂ’ogni patto,
sospendete il vostro gioco,
i sondaggi, i calcoletti,
le furbizie cui ogni poco
il potere vÂ’ha costretti.
Grande impatto mediatico ha avuto l’annuncio a pagamento sul Corriere della Sera alcuni giorni fa dal signor Giuliano Melani, che invitava gli italiani a comprare i titoli di Stato del nostro Paese, al fine di ridurne il tasso, giunto ormai a livelli quasi insostenibili per la nostra economia. “Compriamoli anche a tasso zero”, arriva a dire l’imprenditore toscano, in un impeto di patriottismo. Non dubitiamo che sia solo l’amore per l’Italia a muovere Melani, ma il suo patriottismo è male orientato.