E così la Lega dei Ticinesi è il primo partito del Cantone, con un balzo di 8 punti e una campagna elettorale concentrata sul contrasto ai transfrontalieri italiani ("i ratti" nel nobile frasario utilizzato), rei di rubare il lavoro agli autoctoni. Una notizia che fa il paio con le cronache di questi giorni dedicate alla rigida politica di contenimento dei passaggi attuata dal governo francese al valico di Ventimiglia per fermare il flusso di migranti tunisini diretti oltralpe. Come dire, una replica in salsa francese del "fora di ball" incautamente pronunciato da Umberto Bossi sulle scogliere di Lampedusa.
Insomma, sembra proprio che questi episodi segnalino un tema comune, che dalla banalità della geografia suggerisce una saggia cautela alla politica: a parte le calotte artiche, c’è sempre qualcuno più a nord di te. E costruire una identità e una politica sulla propria norditudine ti espone alla immediata ritorsione di chi, appresa la lezione, ha il vantaggio di stare qualche parallelo più a nord.
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Tempo fa, lavorando sui dati delle forze lavoro Istat, mi sono imbattuto in uno strano file pdf prodotto dallIstituto. Pensando si trattasse di un errore avevo chiuso il file.
Ieri, lho rivisto. Sperando fortemente di sbagliarmi, ho fatto una breve ricerca nella documentazione Istat sulle forze lavoro. Purtroppo, non mi sbagliavo: negli ultimi due anni qualcuno dellIstituto statistico ha scritto e pubblicato documenti come questo, allegandolo alla documentazione ufficiale dei dati sulle forze lavoro:
Questo file è appositamente vuoto. Tutte le informazioni relative allindagine sono descritte nel file Nota metodologica e negli altri allegati.
A volte lIstat ci lascia senza parole
Lucy la Franca
Abbiamo scritto su questo sito di Cesare Geronzi quando nessuno osava parlare di lui (Boeri, Bragantini, Guiso, Boeri). Oggi che tutti tracciano profili biografici del personaggio omettendo, ad eccezione del Financial Times, trascorsi giudiziari e procedimenti pendenti vogliamo invece guardare avanti, occuparci del dopo Geronzi.
Vorremmo poter scrivere che dora in poi ci sarà una sanzione sociale per chi viola le regole, che la reputazione conterà nella corporate governance in Italia. Purtroppo non è così. I trascorsi di Geronzi non hanno giocato alcun ruolo nella sua uscita di scena. A voltargli le spalle sono stati gli stessi che gli avevano permesso per anni di concentrare su di sé un potere immenso, guidando banche nonostante avesse subito uninterdizione giudiziaria temporanea dallattività bancaria a opera del Gip di Bologna in relazione all’inchiesta sul crac Parmalat, fosse indagato per il crac della Cirio, per il caso Parmalat-Ciappazzi e per la vicenda Eurolat, con un rinvio a giudizio con laccusa di concorso in bancarotta e usura, avesse già subito una condanna in primo grado per concorso in bancarotta nel caso Italcase Bagaglino a un anno e otto mesi di reclusione e fosse stato dichiarato temporaneamente inabile all’impresa commerciale e agli uffici direttivi.
Vorremmo poter scrivere che dora in poi si allenterà la stretta della politica sulla corporate governance. Purtroppo non è affatto detto che sia così. Luscita di scena di Geronzi coincide con il cambiamento dello statuto della Cassa depositi e prestiti, volto a permettere interventi su società quotate e non solo su piccole imprese. È possibile che si tratti della solita boutade di Tremonti, per intenderci unaltra Banca del Sud su cui guadagnarsi qualche titolo di giornale e nascondere il proprio immobilismo in un paese impaludato. Ma cè anche il rischio che il fondo strategico sia il preludio di un rinnovato ruolo dello stato nelleconomia, magari sempre attraverso Mediobanca. Più che loperazione Cdp in quanto tale, ciò che preoccupa è mancanza oggi in Italia di una cultura politica che sappia porre un argine a un governo che voglia tornare ad essere protagonista dei cambiamenti nella struttura proprietaria delle grandi aziende.
Vorremmo poter scrivere che ha vinto linternazionalizzazione sugli intrecci tra politica e finanza. Geronzi è stato lincarnazione delle ingerenze della politica nella finanza, che permettono ad aziende strutturalmente in perdita di sopravvivere creando attorno a loro un ampio consenso politico. Prodotto e insieme artefice della cosiddetta finanza romana è riuscito anche per qualche tempo a proporsi come il centro di gravità della finanza del Nord. Ma i vincitori nello scontro di potere sembrano ancora tutti appartenere al capitalismo relazionale italiano: si passa solo da una costellazione all’altra. Nuovi giochi di palazzo al posto dei vecchi. Ritorna in gioco Unicredit che, con Profumo, si era tirata fuori da Mediobanca e Generali. E ritorna in gioco Mediobanca.
Vorremmo poter scrivere, come qualcuno ha fatto, che è una vittoria degli amministratori indipendenti. Lo è solo in parte: si è trattato di minoranze organizzate, dipendenti da altri o "indipendenti di maggioranza", l’ossimoro che gira in molti consigli, piuttosto che espressione di investitori istituzionali e piccoli azionisti. Non è dunque linizio di un nuovo capitalismo, né il primo passo verso il decollo delle public company in italia. Quello che accadrà ora è molto legato agli sviluppi in Mediobanca e Unicredit, dunque alle Fondazioni bancarie. Conta poco chi sostituirà Geronzi, soprattutto dopo che la scelta è ricaduta su Gabriele Galateri di Genola. Speriamo solo che un management più giovane, voglia, come ha dichiarato di voler fare, allentare il blocco dei patti di sindacato, semplificando e rendendo più trasparente la struttura di controllo delle società quotate, a partire da Mediobanca. Sempre che la Consob non si metta di mezzo. Sconcertante che il suo nuovo presidente dichiari di voler fare di tutto per diminuire la contendibilità delle società quotate, proteggendo le imprese e non gli investitori. Vegas ha votato la fiducia a Berlusconi dopo essere stato nominato ai vertici della Consob. Oggi sembra il miglior interprete del capitalismo allitaliana: capitalisti che non vogliono metterci i capitali, persone che vogliono controllare senza investire.
Sono entrambe aziende quotate alla Borsa di Milano. Sono entrambe possibili bersagli di unacquisizione da parte di gruppi stranieri. Ma in un caso si mobilitano il governo e una banca per dire che non deve passare lo straniero. Nellaltro caso lo straniero non solo non viene contestato, ma se ne va in giro per la capitale osannato dalla metà dei romani. Stiamo parlando di Parmalat e AS Roma ovviamente, il cui controllo potrebbe essere acquisito nelle prossime settimane rispettivamente dal gruppo francese Lactalis e da una cordata di investitori americani capitanata da Thomas R. Di Benedetto. La differenza di trattamento riservata ai due casi, anche sui media, è piuttosto curiosa. Certo, Lactalis non pubblica un bilancio da tanti anni, come ama ricordarci il Corriere della Sera. Ma non è che si sappia molto di più di Di Benedetto. Proprio ieri il Sole 24 ore scriveva che mancano indicazioni sulla solidità patrimoniale e finanziaria di Di Benedetto. Aggiungendo Tom è sconosciuto nella sua città (Boston) e negli Stati Uniti. Possibile che abbia le credenziali per comprare la 18esima squadra di calcio dEuropa per fatturato?. La differenza pare sia unaltra: Parmalat è unazienda strategica mentre la Roma no. Certo, Parmalat è più grande di AS Roma e ha anche un indotto più significativo. E poi volete mettere limportanza del latte con quella del calcio? Tutto chiaro, allora? Non proprio. Telecom Italia è più grande di Parmalat e le telecomunicazioni non sono certo meno strategiche del comparto alimentare (che, in ogni caso, nella famigerata lista dei settori strategici per la Francia non cè). Ma Telecom è controllata da Telco, il cui azionista principale è Telefonica, azienda spagnola. Il quadro degli interventi ispirati al patriottismo economico sembra proprio un guazzabuglio senza coerenza. Ma ricordiamo che, con Telefonica, in Telco cè una banca. La stessa che adesso difende litalianità di Parmalat, dopo avere salvaguardato quella di Alitalia. Ecco, forse abbiamo finalmente trovato un punto dIntesa su cosa sia veramente strategico in Italia.
Le cronache milanesi narrano in questi giorni le vicende di un prestigioso liceo classico cittadino: un insegnante ha denunciato, tramite lettera, di essere stato costretto a chiedere il trasferimento ad altra scuola perché stanco delle pressioni di genitori urlanti, avversi alla sua giusta severità nel giudicare gli studenti. L’altra campana genitori, studenti attuali ed ex studenti del docente in questione sostiene che la realtà è ben diversa, che non ci si lamenta della severità quanto della casualità dei voti e dell’incapacità dell’insegnante di spiegare le sue materie.
Nel clima da derby che si è immediatamente creato, tra chi parla di irrimediabile degrado dell’istruzione pubblica e chi invece vede nella vicenda l’occasione per la difesa a priori della scuola statale contro ragazzini ricchi, viziati e svogliati, è difficile dire chi ha torto e chi ha ragione. Anzi, è praticamente impossibile, come sempre nella scuola italiana. Perché non esistono meccanismi di valutazione che permettano di distinguere i docenti competenti e appassionati da quelli incapaci e indifferenti. Avere insegnanti preparati è un diritto degli studenti (e delle loro famiglie) e un elemento imprescindibile per garantire quell’uguaglianza delle opportunità che è alla base di qualunque democrazia. Se i docenti italiani non si fossero sempre opposti a qualsiasi forma di valutazione del loro operato, oggi il loro ruolo e le loro capacità educative sarebbero decisamente messe meno in discussione. E di sicuro il Parini non si ritroverebbe sulle prime pagine dei giornali.
Nei caldi anni Settanta qualcuno aveva scritto sui muri di Mirafiori: "passo qui dentro otto ore al giorno e pretendete anche che lavori?" Oggi gli imprenditori italiani, di fronte alla scalata francese su Parmalat dovrebbero dire: "mi spacco la schiena a fare affari e volete che ci metta anche dei soldi?" Li vediamo oggi su tutti i giornali rilasciare, con facce compunte, dichiarazioni pensose che alternano l’indignazione per la prepotenza straniera al dolore per "filiera alimentare" la cui italianità viene violata, forse per sempre. E via elencando in un’orgia di luoghi comuni per piangere, è il caso di dire, sul latte versato.
Ma dove erano questi baldi capitani d’industria, i loro banchieri e i loro referenti politici quando Tanzi affossava la società con acquisizioni spericolate usando solo i soldi dei risparmiatori e mettendosi in tasca 2,3 miliardi di euro? "Distrazioni" le chiamano pudicamente i rapporti ufficiali, perché è noto che Calisto, ormai avanti con gli anni, si metteva in tasca i soldi di tutti solo perché dimenticava di prendere le pillole per la memoria.
E dove erano i nostri baldi imprenditori quando Bondi risanava la società, ne faceva più che raddoppiare il valore in borsa e riempiva le casse aziendali di liquidità anziché impiegarla in pinacoteche clandestine? Perché non hanno mostrato nessun interesse per il "gioiellino"? Semplice: perché avrebbero dovuto tirare fuori i soldi. Ma scherziamo? Non sono queste le regole del gioco del capitalismo italiano.
E adesso gli imprenditori italiani devono pure mostrare di essere sensibili all’appello del Governo, ma per carità, purché "in cordata" perchè bisogna sempre replicare i vizi del nostro sistema imprenditoriale: tutti insieme, in una ragnatela di scambi di favori, sostegni e ammiccamenti, in cui alla fine gli interessi veri delle aziende finiscono dietro quelli dei baldi alpinisti. Coprirsi, innanzitutto: questa è la parola d’ordine. Se si formerà, i componenti della cordata italiana si presenteranno intabarrati come Totò e Peppino alla Stazione centrale di Milano. E grazie ai tre mesi di tempo generosamente concessi dal Governo potranno mandare a memoria la battuta da dire a muso duro ai francesi: "Noio volevàn savuàr.."
Il 15 marzo, il ministro della Giustizia Angelino Alfano e il ministro della Pubblica amministrazione edell’Innovazione Renato Brunetta hanno annunciato un mega-piano per la digitalizzazione della Giustizia. Il tutto inconcomitanza con il varo da parte del Consiglio dei ministri della riforma della Giustizia. Dimostrazione che si vuole fare sul serio per migliorare il funzionamento della macchina giudiziaria e che non si pensa (aggiungeremmo almeno un "solo") ai problemi con la giustizia del nostro presidente del Consiglio. La notizia della digitalizzazione ha ricevuto grande risalto nei tg e sui media nonostante in questi giorni ci fossero notizie molto importanti. Si è parlato addirittura di totale digitalizzazione.
Tutto bene dunque? Non proprio. Il fatto è che lo stesso piano era già stato annunciato un anno e mezzo fa dagli stessi due ministri. E a tale annuncio era stato dato grande risalto anche in quell’occasione. Da allora, ovviamente, non è successo nulla. Se c’è stato qualche progresso nella digitalizzazione (ad esempio al tribunale di Milano) è per iniziativa spontanea dei singoli tribunali. Il piano Alfano-Brunetta era scomparso nel nulla. Ora viene resuscitato con grande tempestività.
Un consiglio, se possiamo, a chi fa informazione di professione: per favore, diffidate degli annunci. Aspettate di vedere i fatti. Il rischio, come si vede, non è solo di farsi dare delle patacche, ma addirittura delle patecche
riciclate.
Caro piccolo e medio imprenditore,
da sempre ti tengo nel mio cuore,
capisco la tua battaglia quotidiana,
però per gli Italiani un po’ lontana.
Tu devi mantenere del lavoro i posti
e per competer anche ridurre i costi,
poi rinnovare tutti i tuoi prodotti,
perché altrimenti li troverai decotti.
Dunque dovrai tu vincere il cimento,
lottar senza respiro e senza cedimento,
guardare innanzi, con forza e positivo,
di coraggiosa speme mai sentirti privo!
Il professor t’invita to be manageriale,
la mente tua nutrir di strategia globale,
su concorrenza e innovazion discetta,
ma alle parole non fa seguir ricetta.
Su te puntato è pure il dito sindacale,
perché tu batta l’import dell’orientale:
se non ti riesce allora non sei bravo!
I costi? Dicono: le mani me ne lavo.
Il direttor di banca è assai severo,
ch’el conto tuo deve tornare in nero,
e se non paga e spende men la gente,
tu quale attor di marketing sei niente!
Molti sono coloro che ti fan corona,
d’appelli e voti l’orecchio tuo risuona,
che mentre noi staremo qui in panchina,
tu ci farai salire, da questa brutta china.
Suvvia, batterti devi, te lo canta il coro,
è tuo il problema, è solo tuo il lavoro.
Non basta il glamour della Marcegaglia,
caro l’imprenditor, ma t’ama ancor l’Itaglia?
Il ministro Gelmini, nel difendere le parole di contrapposizione della scuola privata e scuola pubblica pronunciate dal Presidente del Consiglio al congresso dei Cristiano riformisti, ha sostenuto:
Noi vogliamo un sistema educativo che abbandoni vecchi slogan e punti sul merito, sull’efficienza e sulla valutazione per valorizzare ancora di più il ruolo dei docenti e dare agli studenti una formazione di qualità.
Affermazione più che condivisibile. Vediamo allora di applicare i parametri suggeriti dal Ministro Gelmini alla scuola pubblica e privata.
Il grafico qui sotto mostra i punteggi di scuole pubbliche e private nei test Pisa condotti nel 2006 in Italia. Pisa (acronimo di Programme for international student assessment) è una indagine internazionale promossa dall’Ocse nata con lo scopo di valutare con periodicità triennale il livello di competenze dei quindicenni dei principali paesi industrializzati Come si vede chiaramente, gli studenti delle scuole private hanno un livello di competenze acquisite nettamente inferiore a quello degli studenti delle scuole pubbliche sia nelle conoscenze matematiche, sia nella comprensione del testo, sia nelle competenze scientifiche. Si noti che queste statistiche non tengono conto del livello di istruzione e di reddito dei genitori (più alto nella scuola privata) che mediamente porta a risultati migliori dei figli. Qualora si controllasse per questi fattori il divario sarebbe ancora più accentuato.
Spesso in Italia la scuola privata ospita figli di famiglie ricche che cercano di recuperare anni persi nell’istruzione pubblica. In altre parole la scuola privata serve come canale per evitare la selezione della scuola pubblica e contribuisce ad abbassare il livello qualitativo medio del sistema educativo.
Ministro Gelmini, alla luce dei test Pisa non crede che, almeno sin quando i rendimenti della scuola privata non miglioreranno, andrebbe riconsiderata la sua scelta di tagliare i fondi alla scuola pubblica e di aumentare i trasferimenti alla scuola privata?
Valore mediano misurato sugli studenti quindicenni italiani che frequentano il secondo anno degli istituti classificati sulla base dellassetto istituzionale.
L’articolo 3 della legge n. 69 del 18 giugno 2009 recita:
…ogni rinvio ad altre norme contenuto in disposizioni legislative, nonché in regolamenti, decreti o circolari emanati dalla pubblica amministrazione, contestualmente indichi, in forma integrale o in forma sintetica e di chiara comprensione, il testo ovvero la materia alla quale le disposizioni fanno riferimento o il principio, contenuto nelle norme cui si rinvia, che esse intendono richiamare….
Riportiamo qui sotto un comma tratto dallultimo decreto "milleproroghe". Difficile sostenere che il rinvio alle altre norme sia espresso in forma sintetica e di chiara comprensione
Onorevole Calderoli, in qualità di ministro per la Semplificazione normativa, ritiene che la legge da lei promossa venga rispettata? Pensa di fare qualcosa per farla rispettare?