Il discorso del Presidente Napolitano e i dati recenti sul tasso di disoccupazione giovanile confermano ulteriormente, se ve ne fosse bisogno, che la condizione delle nuove generazioni italiane è diventata insostenibile. Era drammatica prima della crisi ed è ora ancor più peggiorata. Quasi nessun paese in Europa presenta tassi di occupazione dei giovani laureati under 30 più bassi dei nostri. Si potrà dar la colpa alle vecchie generazioni e alle loro scelte sbagliate, ma unulteriore riflessione va fatta. Gli ultimi due governi, Prodi e Berlusconi, hanno previsto un apposito ministero per le Politiche giovanili, guidato da persone anagraficamente molto prossime alle nuove generazioni. Ci si poteva aspettare scelte coraggiose, forti, di discontinuità rispetto al passato. Linizio di una stagione nuova, in grado di smantellare strutturalmente gli squilibri generazionali del nostro paese.
Ed invece nulla di nuovo sotto il sole. Tanta buona volontà sorretta da interventi occasionali e di impatto limitato. Poca cosa di fronte al drammatico degrado delle opportunità dei giovani, che si esplicita non solo negli alti tassi di disoccupazione, nella crescita di giovani immobili e sempre più dipendenti dai genitori, ma anche nel crescente abbandono del nostro paese. Non solo cervelli in fuga ma giovani in cerca di un ambiente più favorevole e equo.
In questa situazione, va riconosciuto che un dicastero per le politiche giovanili serve davvero a poco e può anzi essere controproducente. Non solo ha poche risorse ma rinforza anche il malinteso che i giovani siano una riserva indiana da tutelare. Mentre invece le riforme che servono alle nuove generazioni sono esattamente le stesse necessarie per lo sviluppo del paese, che lo rendono più dinamico e competitivo. Meglio allora abolire tale ministero, mentre molto più utile sarebbe istituire una sorta di autorità garante indipendente, che possa valutare e dare pareri vincolanti sullimpatto che le scelte pubbliche hanno sulle nuove generazioni.
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Il nuovo anno ha portato ottime notizie dal fronte dei conti pubblici: il fabbisogno (vale a dire, il deficit di cassa) del settore statale nel 2010 è stato pari a 67,5 miliardi, ben 16,3 miliardi in meno rispetto allultima previsione ufficiale, diffusa tre mesi fa. A cosa dobbiamo questo successo (che diventa ancora più ampio se misurato contro il risultato 2009, quando il fabbisogno fu di quasi 87 miliardi)? Che prospettive apre per il 2011? Non è dato saperlo. Il comunicato ufficiale recita, in modo tautologico, grazie ad un andamento più favorevole degli incassi e ad una dinamica più contenuta dei pagamenti, alcuni dei quali presumibilmente slittati al 2011. Così poteva essere scritto da chiunque. Qualche informazione specifica, ma sempre alquanto vaga, è fornita sul mese di dicembre 2010 a confronto con lo stesso mese dellanno precedente (sulla percentuale dellacconto Irpef e sul venir meno degli interventi a favore delle banche), ma si tratta di notizie che erano già note quando fu elaborata lultima previsione.
Dobbiamo (e vogliamo) credere che il ministero dellEconomia ne sappia di più. Cosa impedisce di condividere con il pubblico queste informazioni? E come dobbiamo interpretare il termine presumibilmente? Il ministero dovrebbe essere a conoscenza di pagamenti slittati al 2011.
Il 2010 se ne è andato. Un anno duro per molti aspetti e che si è chiuso male, con la morte di un altro militare italiano in Afghanistan. Il tredicesimo di questo anno e il trentacinquesimo dall’inizio della missione. Tra i tanti desideri che ciascuno di noi esprime per il nuovo anno sarebbe facile includere il ritiro delle nostre truppe. Ma sarebbe un desiderio sbagliato. I nostri soldati sono in Afghanistan per cercare di aiutare lo sviluppo della pace e della democrazia in quel Paese. Obiettivi forse parzialmente irrealistici, ma nei quali è giusto sperare ancora. C’è però un piccolo desiderio che è lecito esprimere per il nuovo anno e che è alla nostra portata a differeza dei molti che si sento fare in questi giorni. Che il Premier vada a visitare le nostre truppe in Afghanistan. Cameron lo ha fatto pochi mesi dopo la sua elezione, Zapatero è andato lo scorso novembre e Obama questo dicembre. Berlusconi invece risulta assente ingiustificato. Certo, nelle scorse settimana è stato molto impegnato a convincere i parlamentari di Fli e Idv a votargli la fiducia. Ieri mattina era ancora impegnato su Canale 5 a bombardare gli italiani con le sue fluviali esternazioni. Ma nei due anni e mezzo in cui è stato Primo Ministro ha trovato il tempo per andare ai compleanni di minorenni a Casoria, per far rilasciare dalla Questura di Milano la presunta nipote di Mubarak e per frequentare la signora D’Addario. Senza alcun moralismo, crediamo sarebbe ora che tra le sue visite includesse quella alle truppe italiane in Afghanistan. Sarebbe solo un gesto simbolico, è vero, ma anche i simboli sono importanti.
In corsia dell’ospedale
c’è un mondo che sta male!
S’ode il Sarko che si lagna,
Zapatero piange in Spagna,
si lamenta il Camerone,
un po’ meglio è la teutone,
mentre in USA anche Barack
geme a letto, dopo il crack.
Ha la febbre pur l’Itaglia
e a sentire Iren Tinaglia
Silvio va verso il collasso,
grazie al Fini del salasso.
Sol Bersani ha la ricetta,
ce l’ha pure Enrico Letta,
anche l’hanno alla Sapienza
e in Bocconi non fan senza.
Nei giornali d’opinione,
sul declino e stagnazione
nelle diagnosi si abbonda,
per salvare chi sprofonda:
s’incrementi il pensionato,
ed in busta l’impiegato.
si dian soldi ai cercatori,
no all’accordo a Mirafiori,
che si faccia innovazioni,
stop ai pubblici spreconi,
si riduca accise e tasse,
più salari per le masse.
La ricetta non sorprende,
sì allo Stato che più spende!
Ma nessuno non si accorse
che non bastan le risorse,
che il debito pregresso
sempre è lì, riman lo stesso,
che non siam competitivi
e di slancio alquanto privi??
La cura è il riformare,
ma sian gli altri ad iniziare:
non potate il mio giardino,
bensì quello del vicino.
Mah!?La nostra medicina
non è certo l’aspirina!
Mitridatizzazione. E’ una parola poco usata che si rifa al re del Ponto Mitridate VI: indica la capacità di divenire immuni da veleni e sostanze tossiche abituando il proprio organismo ad assumerne giornalmente piccole quantità. Oggi è facile riconoscerla: chiunque abbia assistito alla puntata di Matrix del 21 dicembre con la fluviale intervista al Presidente del Consiglio e non sia rimasto allibito e irritato per la piaggeria con cui il conduttore Alessio Vinci ha porto delle non domande all’ospite, suo datore di lavoro, è vittima di mitridatizzazione. Le dosi sono assunte quasi inavvertitamente ogni giorno attraverso i telegiornali principali, abituano a dare per scontato che il presidente del consiglio domini gran parte dei canali e si faccia intervistare da un dipendente, fanno passare per normalità lo svilimento di una professione essenziale per la democrazia come quella giornalistica, proclamano la banalità del servilismo, vero timbro dell’Italia di oggi. Speriamo solo che i nostri lettori si siano profondamente irritati vedendo quella trasmissione.
Enzo Bearzot è morto stanotte a Milano. Nell’anno dei Mondiali se ne va il simbolo stesso della vittoria ai Mondiali. Per la mia generazione la pur stupenda vittoria di Germania 2006 non ha lo stesso valore di quella di Spagna 1982. Ricordiamo ancora tutto di quei giorni di quasi trenta anni fa. La partenza tra le contestazioni e lo schiaffo di una tifosa per la mancata convocazione di Evaristo Beccalossi. Quelli che suggerivano il rientro a casa dopo l’amichevole di Braga. Il girone di qualificazione passato con tre pareggi con Polonia, Perù e Camerun. L’orrenda divisa sociale con cui erano vestiti Bearzot, Maldini e il Dott. Vecchiet. Il primo silenzio stampa. Il girone della morte con Argentina, campione del mondo in carica, e il magno Brasile, come lo chiamava Gianni Brera, da poco emigrato a Repubblica. I falli di Gentile su Maradona e la vittoria per 2-1 con i gol di Cabrini e Tardelli con l’Argentina. Poi la partita delle partite, quella giocata al Sarrià di Barcellona il 5 luglio 1982. Italia – Brasile 3-2, con tripletta di Paolorossi, tutto attaccato. La vittoria ormai scontata sulla Polonia. E la notte del Bernabeu. 11 luglio. Le fontane unico rimedio per raffreddare la gioia e le strade improvvisamente troppo strette per ospitare anche chi non avrebbe mai creduto di esultare per una squadra di calcio. Il giorno dopo la Gazzetta esaurita la mattina presto perché nessuno poteva perdersi il titolo “Campioni del Mondo”. Dopo il 1938, la vittoria di Vittorio Pozzo in mezzo ai saluti fascisti, l’Italia era di nuovo la più forte nel calcio.
Senza Bearzot tutto questo non ci sarebbe stato. Chi al suo posto avrebbe avuto la forza di difendere il gruppo in mezzo alle polemiche e alle insolenze? Paolo Rossi appena tornato da due anni di squalifica e palesemente fuori forma all’inizio dei Mondiali. Dino Zoff, portiere indiscusso titolare a 40 anni. E chi avrebbe avuto, allo stesso tempo il coraggio di far giocare in finale il ragazzino con i baffi, lo zio Bergomi? Solo un friulano testardo che metteva il gruppo e la sua parola sopra ogni altra cosa.
Il successo di Spagna 1982 non era certo frutto del caso: quattro anni prima, al Mondiale di Argentina, l’Italia era stata la squadra che aveva giocato meglio, anche se era arrivata solo quarta. Con Bearzot si archiviava finalmente il catenaccio: Cabrini che attaccava sempre sulla fascia sinistra, Scirea e Bergomi che, nella finale di Madrid, si scambiavano il pallone nell’area della Germania in occasione del gol di Tardelli erano il simbolo di un’Italia nuova e moderna. Ma non è certo il momento della sociologia spicciola. Oggi ricordiamo una persona che, dopo la dura sconfitta di Messico 1986, se ne era andato senza polemiche e in silenzio. Il tempo di Bearzot nel calcio italiano era finito. Il 1986 è l’anno in cui Berlusconi acquistò il Milan. Da lì iniziarono le presentazioni delle squadre in elicottero e diventò fondamentale la “comunicazione”. Bearzot non era un uomo adatto alla comunicazione. La pipa in bocca e le frasi che uscivano a fatica. Anche per questo non lo scorderemo. Grazie, Bearzot.
Tra i 314 nomi dei parlamentari che hanno votato il 14 dicembre la fiducia al Governo ce n’è uno che non avremmo proprio voluto vedere. Non è quello del colorito Scilipoti, né quello della Polidori, in odore di Cepu. Non intendiamo infatti entrare nelle complesse transazioni che hanno attraversato il mercato della politica nell’ultimo scorcio di tempo. E’ il nome di Giuseppe Vegas, già sottosegretario al ministero dell’Economia e neo presidente della Consob. Non lo avremmo voluto vedere poiché quel ruolo, cui è chiamato chi il mercato lo deve controllare, avrebbe consigliato di astenersi dal partecipare alla votazione. La nomina del presidente Vegas, al di là dei meriti tecnici che in modo bipartisan gli sono stati riconosciuti, ha sollevato perplessità nell’osservare il passaggio, senza soluzione di continuità, da un ruolo politico a un delicatissimo ruolo di arbitro dei mercati di borsa. Per quanto Vegas sia formalmente ancora parlamentare in attesa di nomina nel nuovo prestigioso ruolo, avremmo apprezzato da lui un gesto di sensibilità che segnalasse, astenendosi dal partecipare alla votazione, che il candidato si sente già soggetto super partes e non, fino all’ultimo momento utile, soggetto politico in attesa di nuovo incarico.
Dopo il soffitto della Domus Aurea, la Casa del Gladiatore, i muri della Casa del Moralista e della Casa del Lupanare Piccolo, chissà se questo Governo intende far crollare anche un altro importante reperto archeologico: il decreto Bersani sulle liberalizzazioni. Non è un reperto archeologico dite voi? Il Governo pensa invece che lo sia eccome:
http://www.governo.it/GovernoInforma/documenti_ministeri/sviluppo_economico/pacchetto_Bersani.pdf
Lucy la Franca
Come noto, le risorse per finanziare gli “storici” strumenti di incentivo alle imprese (legge n. 488, legge “Sabatini”, crediti d’imposta per occupazione e investimenti, ecc.) sono da tempo finite. Rimangono solo quelle derivanti dalle revoche dei vecchi incentivi già accordati, per rinuncia o decadenza dal diritto dei destinatari. Fino a pochi anni fa, nessuno sapeva nemmeno a quanto ammontasse questo “tesoretto”. Una norma della Finanziaria 2008 (governo Prodi), aveva disposto l’accertamento annuale di tali risorse e la loro destinazione ad un apposito fondo destinato a finanziare una pluralità di interventi soprattutto nel Mezzogiorno.(1)
Il governo Prodi è caduto prima di poter dare attuazione alla norma, avendo avuto solo il tempo di accertare – con il previsto decreto ministeriale annuale – l’ammontare delle risorse liberate per il 2008 (785 milioni di euro). Il governo successivo (Berlusconi), prima ancora di adottare il decreto annuale di accertamento delle economie per il 2009, con il decreto-legge n. 5 del 10 febbraio 2009 ha dirottato quelle risorse – valutate in ben 933 milioni di euro – a copertura dei nuovi incentivi alla rottamazione e a correzione dei saldi. Il decreto annuale di accertamento delle economie per lo stesso anno è stato poi adottato solo il 28 febbraio, segnalando l’importo di 375 milioni di euro per il 2009. Nel luglio 2009, con la legge n. 99 il governo ha poi prescritto nuovi vincoli di utilizzo, soprattutto legati a interventi nel Centro-Nord.(2) Tutte scelte legittime, comunque, che riflettono cambiamenti di priorità in gran parte dal Sud al Nord.
Il 4 maggio 2010 si è però prodotto un fatto grave sul quale non ci risulta sia sin qui intervenuto il sistema istituzionale dei controlli, a presidio della legittimità e legalità dell’azione del Governo, a partire dalla Corte dei conti e dal Parlamento.
Il quasi-dimissionario ministro Scajola con un decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale oltre quattro mesi dopo, il 17 settembre 2010 a ministero ancora “decapitato”, ha destinato le risorse disponibili a due finalità estranee a qualunque prescrizione vigente di legge. Dei 152 milioni di euro accertati, infatti, 48 milioni di euro sono stati attribuiti alla programmazione negoziata nelle aree del Centro-Nord e 50 milioni sono stati addirittura destinati all’industria bellica degli armamenti, attraverso il rifinanziamento di una legge del 1993 (legge n. 237/93) per la quale il legislatore aveva previsto una copertura finanziaria solo fino al 2001. Dei restanti 54 milioni di euro non si fa menzione esplicita, ma a questo punto è facile supporre che siano andati ai soli interventi – tra tutti quelli contenuti nei lunghi e vani elenchi compilati dal legislatore – che erano associati a precisi importi: 50 milioni all’emittenza televisiva locale, 2 milioni ai sistemi di illuminazione del Veneto e 2 milioni ai sistemi delle armi di Brescia (forse raggiunti anche dall’altro finanziamento).
CHIEDIAMO PERTANTO AL NUOVO MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO PAOLO ROMANI:
Può darci un rendiconto completo di come sono stati utilizzati i risparmi della legge 488 in questa legislatura? Ed è possibile che un decreto ministeriale rifinanzi una legge statale, in carenza assoluta di fondamento normativo?
(1) Programma nazionale per l’inserimento lavorativo dei giovani laureati meridionali; la riduzione del costo del lavoro per tecnici e ricercatori in favore delle imprese innovatrici in start up; il sostegno alla ricerca nel settore energetico; il riutilizzo di aree industriali nel Mezzogiorno; la costruzione di centri destinati a Poli di innovazione.
(2) Tra questi compaiono obiettivi generici – quali il sostegno all’internazionalizzazione e al Made in Italy, la “valorizzazione dello stile e della produzione italiana”, gli incentivi ai distretti industriali, ecc. – assieme a interventi puntualmente specificati, come il sostegno ai “sistemi produttivi locali delle armi di Brescia” e ai “sistemi di illuminazione del Veneto”, per i quali la legge indica addirittura gli importi (2 milioni di euro per ciascuno).
È da aprile che il Ministero dell’Interno ha sospeso la fornitura in modalità download dei dati relativi ai bilanci dei comuni e delle province italiani, disponibili in precedenza sull’Osservatorio della Finanza Locale nel sito del ministero. I dati possono ancora essere scaricati, ma bisogna prendere i quadri di bilancio per ogni singolo comune o provincia e poi, se necessario, riaggregarli assieme. Per chiunque voglia fare analisi comparate sulla finanza degli enti locali italiani (ricercatori, funzionari e politici locali, semplici cittadini), uno spreco di tempo enorme, e tale spesso da rendere il lavoro semplicemente impossibile. A meno che non si abbia qualche “santo in paradiso”, nel caso concreto un qualche funzionario amico al ministero, che per pura cortesia si scarica di persona i dati e poi te li spedisce. Il ministero non ha offerto alcuna spiegazione per l’interruzione del servizio; si è inizialmente pensato a qualche problema tecnico, ma ormai sono passati sei mesi e neppure il più incapace dei tecnici avrebbe potuto metterci tanto. Da notare che esistono viceversa imprese private, che a pagamento, offrono banche dati complete e che risultano al momento molto gettonate.
Una delle frasi preferite del senatore a vita Giulio Andreotti è, come noto, che “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina”. Noi non vogliamo pensar male, ma la convergenza tra una riforma federale pasticciata e la scomparsa dei numeri che potrebbero consentire di valutarla solleva qualche interrogativo. Si noti anche che uno degli obiettivi della riforma federale, come evidenziato nella Relazione sul Federalismo Fiscale pubblicata il 30 giugno 2010 è proprio quello di “assicurare il completo scambio di informazioni e la piena trasparenza nel monitoraggio di azioni e risultati” . Ma il primo passo per consentire la trasparenza è proprio l’accesso universale al dato, senza il quale non c’è né monitoraggio né critica razionale possibile.
PONIAMO DUNQUE UNA SEMPLICE DOMANDA ALL’ONOREVOLE ROBERTO MARONI:
Signor ministro, quando pensa di rendere nuovamente accessibili a tutti gli interessati i dati sui bilanci degli enti locali?