LEnac, lente governativo che regola il trasporto aereo civile in Italia, ha multato Ryanair per 3 milioni di euro a seguito della mancata assistenza ai passeggeri rimasti a terra durante il blocco dei voli causato dalleruzione del vulcano islandese. Non sono in grado di giudicare né le colpe della compagnia aerea né ladeguatezza della sanzione. È giusto che chi viola i diritti dei consumatori paghi. Tuttavia, lEnac ha sostenuto che la quasi totalità delle altre compagnie aeree risultano invece aver prestato la dovuta assistenza: quasi non significa tutte. Se altre non lo hanno fatto –le esperienze personali suggeriscono che i disservizi sono stati diffusi, anche a causa dellenormità dellevento– devono essere trattate con la stessa severità. Diversamente, si alimenta limpressione che lEnac abbia ingaggiato una guerra contro Ryanair (e le altre compagnie low-cost), osteggiandone le politiche di imbarco (la vicenda dei documenti di riconoscimento dello scorso dicembre) e sorvegliando con particolare solerzia il suo operato. Ryanair fa volare ogni anno milioni di Italiani a prezzi imbattibili, con tassi di puntualità superiori della media dei concorrenti. Indurre la compagnia a lasciare il mercato italiano sarebbe una disdetta per milioni di consumatori, oltre che per i dipendenti della compagnia e per lindotto. Daltra parte, farebbe felici i campioni nazionali su cui il Governo ha investito tanta credibilità, Alitalia in primis e, in misura minore, Trenitalia. Purtroppo, i provvedimenti del Governo riguardo alle politiche per la concorrenza vanno nella direzione di proteggere gli incumbents, con buona pace per i consumatori. Personalmente, non ho nessuna nostalgia di quando si volava sono con compagnie di bandiera. Le tariffe più alte che paghiamo nei settori con poca concorrenza sono vere e proprie tasse implicite a favore dei produttori. Politiche che scoraggiano le compagnie low-cost ad operare in Italia riducono la concorrenza e sono assimilabili ad aumenti di queste tasse implicite. Non se ne sente il bisogno, particolarmente adesso che le tasse esplicite sono destinate a crescere.
Categoria: Archivio Pagina 23 di 58
- 300 Parole
- Corsi e Ricorsi
- Dicono di noi
- Europee 2019
- Lavoce fuori campo
- Licenza Poetica
- Pro e Contro
- Question Time
- Rassegna Stampa
- Ricette
- Segnalazioni
- Vocecomics
L’intervento più importante deciso questo fine settimana riguarda la decisione della Bce di acquistare sul mercato secondario i titoli di stato di Portogallo e Spagna, a condizione che questi paesi adottino programmi adeguati di rientro del debito. E’ una decisione senza precedenti, coerente con il Trattato (che impedisce alla Bce di comprare i titoli direttamente dai Governi, ma non di operare sul mercato secondario) e che può riuscire a scoraggiare chi investe sul default di questi paesi. La cosa importante è che tale intervento appaia come selettivo (solo alcuni mercati) e operato ex-ante (in modo da non sembrare un bailout ex-post). Deve quindi essere la Bce ad annunciare questo intervento, mostrando autonomia dai governi nella conduzione della politica monetaria. Per ragioni che ci risultano oscure il nostro Presidente del Consiglio, ha invece deciso di dare lui l’annuncio venerdì sera presentandolo come una decisione del vertice dei capi di governo dell’Eurogruppo di venerdì 7 maggio, ponendo in grave imbarazzo la Bce. A questo punto ai vertici della Banca Centrale Europea non è rimasto che smentire Berlusconi. Quello che doveva diventare un annuncio importante per rassicurare i mercati si è tradotto in una gaffe molto pericolosa per la credibilità che un’istituzione relativamente giovane come la Bce sta faticosamente acquistando sul campo. Il comportamento del nostro Presidente del Consiglio si può spiegare solo come smania di protagonismo e come basato sulla convinzione che la Banca centrale sia al servizio dei governi. Sappiamo che il riferimento ai divorzi in questo momento non è del tutto gradito al nostro Presidente del Consiglio, ma il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro si è consumato nel 1982. Non è proprio il momento di tornare indietro.
Sta accadendo quello che la Germania aveva sempre temuto. Proprio uno dei famigerati paesi mediterranei sta mettendo a repentaglio la stabilità delleuro. Ma è ovvio che la responsabilità non è di un solo paese: il contagio sta accelerando a causa della miopia della politica economica europea. La mancanza di una procedura automatica di gestione delle crisi del debito sovrano sta facendo da volano della crisi: in queste fasi, niente è peggio della discrezionalità per incendiare i mercati. Questa procedura sarebbe tanto più necessaria visto che nellUme manca unautorità fiscale sovranazionale. Il maxi fondo di salvataggio è solo un second best. Anche l’Europa sta avendo quindi la sua crisi subprime. Oggi le banche europee sono piene di titoli portoghesi, spagnoli e greci, esattamente come erano piene ieri di titoli derivati riferiti a pagamenti di mutui immobiliari. Il tutto si spiega con la debolezza dellarchitettura fiscale della moneta unica. Si voleva far credere che i titoli del debito di tutti i paesi dell’ Ume fossero tra loro perfettamente sostituibili. Si dirà: ma i mercati ci hanno creduto, vista la quasi stupefacente convergenza dei tassi di interesse a lungo termine in Europa. In realtà, questa convergenza si poggiava su una contraddizione. Le autorità europee (compresa la Bce) ripetevano alla noia che il bailout di uno stato sovrano sarebbe stato incompatibile con il Trattato. Ma è evidente a tutti che una convergenza dei tassi poteva aversi solo in presenza di una aspettativa diversa, di investitori convinti che i paesi dell’Euro erano al riparo dal rischio di un ripudio del debito sovrano, pur sapendo che i titoli del debito greco non potevano equipararsi ai Bund tedeschi. In pratica, la UE e la Bce mandavano ai mercati un segnale schizofrenico: evviva la convergenza sui tassi che si fonda su una ragione (quella del bailout) che in realtà noi dichiariamo essere incompatibile con lesistenza stessa della moneta unica (!). Nessuno in Europa ha mai voluto risvegliare i mercati da questa placida ma pericolosa aspettativa.
Se non si vuole aggiungere miopia ad altra miopia bisogna adesso progettare meccanismi automatici di gestione della crisi del debito e forme di coordinamento delle politiche fiscale e sanzioni politiche automatiche (come la riduzione dei voti a livello europeo) ai paesi che non rispettano i patti.
Cè molto nervosismo nei mercati che si interrogano sul futuro delle finanze pubbliche dopo la crisi finanziaria e mentre si sviluppa la crisi greca. Gli investitori cercano risposte a due domande: come evolveranno i disavanzi nei paesi con le finanze pubbliche più compromesse nel breve e nel medio periodo? Cè in questi paesi la capacità di mantenere i conti sotto controllo e di sfuggire alle pressioni che la lentezza della ripresa può porre sulle finanze pubbliche? Si cercano rassicurazioni al riguardo. LItalia esce dalla crisi con un elevato fardello di debito ma un disavanzo controllato, frutto della scelta di non reagire alla crisi accettandone un maggior impatto. Questo oggi dà un po di respiro, ma rimangono i dubbi derivanti dalla mole del debito. Il modo migliore di fugarli è di prendere impegni per rassicurare che le azioni del governo avranno come imperativo stabilizzare i disavanzi e il debito. Oggi la maggior incognita che grava sui conti pubblici dellItalia riguarda limpatto del federalismo fiscale sulle finanze pubbliche. Questo sta disseminando incertezza tra gli investitori e rischia di indebolire lappetibilità dei titoli del del debito pubblico italiano tra gli investitori. Per evitare questa possibilità il governo ha due alternative: dimostrare (e non semplicemente sostenere) molto rapidamente che limpatto sui conti pubblici del federalismo è nullo o minimo se non addirittura positivo (come sostenuto a suo tempo dal Ministro Tremonti), sia nel breve che nel medio periodo; oppure, se non è in grado di farlo, annunciare che quella riforma è rimandata al futuro, a dopo che lItalia avrà riportato il suo debito sotto il 100 per cento, e adottare rapidamente un piano di rientro vero. Non quello del tutto irrisorio previsto dalla Nota di Aggiornamento del Programma di Stabilità dellItalia 2010-12.
Scrive Ricossa parlando del Borghese
chei di pensieri e rischi molti se ne prese
e le fatiche ed un più lungo orario,
mai li evitò, qual del dover gregario.
Or che il paese sè ritrovato in stallo,
quale ricetta se non di riportarlo in ballo,
poiché collindomito suo spirito del fare
ci induca a correr e avanti di balzare.
Lui non capisce il parlar politichese,
vuole crear lavoro e suscitare imprese,
simpegna a morte, persegue il risultato,
conta sulle sue forze, senza impetrar lo Stato.
Comobiettivo non ha la quiescenza,
dellinnovare non può restarne senza,
gli piace parlar chiaro, semplice e diretto,
per questo la Sinistra gli nega lintelletto.
Borghesi veri sono perciò tutti coloro
chhanno scelto la missione del lavoro,
perché così si da al sociale un senso
e sappartiene al vero, meritorio censo.
Borghese è il prof che insegna con amore
lo è pure lo statal che non ti fa un favore,
se in coda allo sportello gli chiedi il suo servizio
e in fretta ti risponde, scorciando il tuo supplizio.
Chi è borghese non sosta in doppie file,
sente la responsabilità del vivere civile,
paga le tasse, però vorrebbe un fisco giusto
e ammodernar lo Stato, ormai così vetusto.
Non sè capito che se il Borghese manca,
addio riforme e il PIL va lento e arranca,
perciò gridiamo ai fannulloni basta
e pure ai troppi che si son fatti casta.
Largo ai borghesi a Roma e alle regioni,
negli spedali, nella ricerca, nelle professioni:
non devesi mai più sprecar manco gli spilli,
sennò ci ritroviamo lurna pien di grilli.
Maurizio Maggini
Un genio dellassurdo si è dimesso
Sommerso dagli assegni circolari
Sbarrato locchio e laria un po da fesso
Come una lepre bloccata sotto i fari
Ambiva ad una casa prestigiosa
Dopo il ritorno al ruolo di governo
Ma non avendo tempo per la cosa
Ad un amico si rivolse, assai fraterno.
Lamico, il consulente, il consigliori
Nella catena entrarono in parecchi
Offrendo attici che solo lor signori,
Ampie vetrate, con stucchi e grandi specchi.
Ma un vero amico per non imbarazzarti
Non vuol costringerti a rispondere che è caro
Che con i mezzi con cui puoi destreggiarti
Non ti è possibile proceder fino al varo.
E allor che fa, essendo un vero amico?
Vede di aggiungere qualcosa di sua tasca
Ma per non fare che tu scopra lintrico
Cela le cose, che il sospetto non ti nasca.
Così il salone con vista al Colosseo
lo compri al prezzo di una casa popolare
e con orgoglio lo consideri un cammeo
botta di culo e emblema nobiliare
La ricompensa per quellaltra volta
Quando dovesti dar le dimissioni
Per aver sinceramente confessato
Che quel Biagi era un gran rompicoglioni
E pensare che Berlusca a te pensava
Quando usciron le storie di tangenti
Con il nome di Verdini che ballava
E una fila di altri maggiorenti
Ti pensava sulla tolda del partito
Democristiano di solida esperienza
Maestro nellofficiare il vecchio rito
Del negar tutto promettendo trasparenza
E invece in pochi giorni un gran pantano
Questo pastrocchio che ha del goffo e del sinistro
Doppio peccato per un democristiano
Dimettersi due volte da ministro!
Potemkin
Riforma n. 1 : Il Processo
Ecco il processo breve
per chiudere ogni storia
con una pena lieve:
un Pater, Ave e Gloria.
Riforma n. 2 : I Giudici
Io so come combattere
quelle ribelli schiere:
se le si vuol confondere,
si scindan le carriere.
Riforma n. 3 : La Scuola
Da poco è stata fatta,
se non ricordo male;
per il voto in condotta
già dicesi epocale.
Riforma n. 4 : Il Fisco
Addio alla patria unita
nel tassar troppo e male;
pazienza lè finita,
ben venga il Federale.
Riforma n. 5 : La Legge Elettorale
Si brucino gli scanni,
si abbatta ogni sezione,
si voti ogni ventanni,
ma per acclamazione.
Riforma n. 6 : La Costituzione
E vecchia e rifinita,
lho sempre ripetuto;
la marcia va invertita,
si torni allo Statuto.
Altre Riforme : da definire
Le Menti stan pensose
e lavorar le lascio;
se poi saranno rose
ve ne farò un bel fascio.
Andrea Ponziani
Caro Avvocato Benessia,
grazie ai verbali del Comitato di gestione della Compagnia di San Paolo del 14 aprile pubblicati ieri dal Corriere della Sera, sappiamo finalmente quale deve essere il profilo ideale del candidato Presidente del consiglio di gestione di Intesa-Sanpaolo. Si deve trattare di persona
espressione della cultura torinese, torinese per nascita e famiglia, diplomato alla maturità presso il liceo Massimo DAzeglio e laureato allAteneo torinese. Oppure di persona
nata a Torino, che ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel locale Ateneo ed è stato vincitore, primo in graduatoria della borsa di studio Luciano Jona dellIstituto Bancario San Paolo di Torino.
Insomma lo abbiamo capito: per essere dei bravi banchieri bisogna essere torinesi dentro. Ammettiamo, tre torinesità non sono facili da trovare riunite nella stessa persona. Siamo perciò più che mai partecipi, caro avvocato, delle sue ambasce ora che, dopo la rinuncia di Domenico Siniscalco, lei si trova una casella vuota che sarà difficile riempire. Ma non si disperi. I numeri sono dalla sua parte. A Torino risiedono 126.075 dazegliani con entrambi i genitori nati a Torino. L89,2 per cento di questi adora i gianduiotti, il 73,2 ingurgita la bagna càuda almeno tre volte al mese (e utilizza 600 mg di citrosodina a testa). Un buon 60 per cento (per lesattezza il 61,3 per cento) mangia due volte al dì i grissini torinesi. Cè un 22,4 per cento di accaniti bevitori di birre torinesi doc. Un 4,2 per cento ha gustato le palle di toro fritte servite da Luciana Lettizzetto a un selezionato pubblico sotto la Mole e l1,2 per cento partecipa al coordinamento Torino Pride. Dimenticavamo: se proprio faticasse a trovare tra questi qualcuno disposto a fare il banchiere, ci sono i turisti svedesi di nome Tore, i visitatori della Chiesa di San Salvatore a Torino di Sangro e i sostenitori del boss Salvatore Torino. Insomma, avvocato, non si disperi: di persone con la stoffa del banchiere ce nè. Le suggeriamo anche un test per valutare le loro competenze, sempre che a queste lei sia interessato: chieda loro di verificare i numeri di cui sopra.
Il giorno dopo la pubblicazione dellultimo Bollettino economico della Banca dItalia, il Sole24Ore (16 aprile 2010) titolava, in un occhiello di prima pagina: Bene i conti pubblici e poi ancora, a p. 1 e 3, Deterioramento più contenuto che negli altri paesi avanzati. Insomma, possiamo dormire sonni tranquilli? Ad una attenta lettura del Bollettino, viene qualche dubbio. E vero che altri paesi hanno visto peggiorare di più il loro disavanzo, ma hanno anche intrapreso politiche attive di contrasto alla crisi ben più incisive delle nostre.
Il fatto che la pressione fiscale sia aumentata non è un segno positivo che mostra come le entrate siano sotto controllo nonostante la crisi. Al netto di circa 12 miliardi di imposte straordinarie (dovute allo scudo fiscale e ad altre imposte straordinarie sulle imprese, che per lo più scontano minori imposte future) le imposte calano del 5,7%; più del Pil nominale, che cala del 3%. Questa calo, poi, non è imputabile a misure discrezionali di riduzione delle aliquote o ad altri sgravi fiscali, come più volte promesso, né pare interamente imputabile alla caduta del Pil dovuta alla crisi. Il rischio è quindi che dietro a questo calo si nasconda anche un aumento di evasione.
Dal lato della spesa, la crescita nel 2009 è del 3,1%, ma questo dato è il frutto di un aumento del 4,2% della spesa primaria (cioè al netto degli interessi) e di un calo del 12,2,% della spesa per interessi. Ad aumentare non è tanto la spesa sociale, per fronteggiare i nuovi disagi, ma sono soprattutto i consumi intermedi (+7,5%). Il risultato è che lavanzo primario, variabile cruciale per landamento del rapporto debito/Pil, si è non solo azzerato, ma si è trasformato in un disavanzo primario (dal+2,5% a -0,6%) e il debito pubblico è cresciuto di quasi dieci punti, dal 106,1 al 115,8% del Pil.
Sarà anche vero che stiamo meglio della Grecia, ma non è una gran consolazione!
Ieri il Ministro Bossi ha annunciato che i partiti della maggioranza prenderanno il controllo delle banche. Pare che i loro elettori glielo chiedano. In realtà è una vecchia ossessione della Lega. Bossi comunque mette il dito su un punto importante: le fondazioni bancarie sono oggi del tutto auto-referenziali. I loro vertici sono spesso lultimo baluardo dei vecchi partiti, un pezzo della Prima Repubblica che è ancora con noi. Chi rappresentano? Quali sono i loro obiettivi? Sono domande legittime. Le fondazioni influenzano, come azionisti, le scelte dei vertici e le strategie delle loro banche da una parte e spendono la loro quota di profitti per attività sociali. Il loro potere è dunque notevole ma a fronte di esso non si capisce a chi rispondano del proprio operato dei vertici delle fondazioni. Le convulsioni di questi giorni allinterno della Compagnia di San Paolo lo dimostrano in tutta evidenza. Bossi, in modo populista, dice essenzialmente: i politici hanno almeno ricevuto i voti dei cittadini. Dunque ad essi devono rispondere i vertici delle banche. Ma come utilizzerebbero i partiti il loro potere? Facile. Come facevano i partiti della prima Repubblica: per favorire imprenditori e società a loro amici e sfavorire quelli nemici. Per far deviare le banche dal perseguire lobiettivo di profitto a favore di fini sociali non meglio identificati. Come del resto farà la nascitura Banca del Mezzogiorno. Insomma, questo è il sigillo finale, quello che chiude la breve stagione italiana delle privatizzazioni. Indietro tutta, senza pudore, verso il controllo politico del mercato del credito. Le banche, non solo quelle italiane, hanno dato una pessima prova di sé negli ultimi anni. I salvataggi fatti con i soldi dei contribuenti hanno giustamente posto il problema di definire un miglior sistema di controllo dellattività bancaria. Ma la risposta non è certo una maggiore presenza dei partiti nella vita delle banche. Dalla politica ci si dovrebbe aspettare la lungimiranza di fare un passo avanti, mettendo mano al nodo delle fondazioni e salvaguardando al contempo lindipendenza delle politiche del credito dallingerenza dei partiti. E anche le fondazioni potrebbero beneficiare da un maggior distacco dalle banche, dato che in ogni caso i dividendi che esse pagheranno nei prossimi anni saranno presumibilmente ridotti. Ma questo è chiedere troppo ai nostri politici. Perché il vincitore delle elezioni dovrebbe rovesciare il tavolo quando è il suo turno di mangiare?