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Categoria: Conti Pubblici Pagina 54 di 103

I DATI PER UNA SPENDING REVIEW SANITARIA IN EUROPA

Chi si oppone all’austerità fiscale sostiene che l’aumento della spesa pubblica e l’accumulo dei debiti pubblici successivi sono il risultato e non la causa della crisi attuale. Può allora essere utile guardare i dati di spesa per la sanità pubblica, che non dipende dalla crisi, ma da vari altri fattori, demografici in primo luogo. Questa spesa è aumentata in media del 50 per cento nell’area euro e solo del 26 per cento in Germania.. L’Italia ha fatto meglio di molti altri paesi, ma comunque peggio dei tedeschi. Un elemento di riflessione per la spending review europea e italiana in corso.

Da quando c’è  l’euro, la spesa pubblica è letteralmente esplosa in tutti i paesi dell’euro zona tranne che in Germania. In alcuni casi (Spagna, Irlanda)  l’esplosione è avvenuta insieme con e a causa della grande recessione 2008-09 che ha prodotto la necessità di salvataggi bancari, sussidi di disoccupazione, assistenza sociale ai nuovi poveri. E infatti chi si oppone all’austerità fiscale – il Nobel Paul Krugman, l’editor economico del Financial Times Martin Wolfe e molti economisti italiani – sostiene con qualche ragione che l’umento della spesa pubblica e l’accumulo dei debiti pubblici successivi sono il risultato piuttosto che la causa della crisi attuale.

LA SPESA PER LA SALUTE NON DIPENDE DALLA CRISI

C’ è però una voce della spesa pubblica che dovrebbe essere relativamente indipendente dalla crisi dell’economia: si tratta della spesa sanitaria. La sua evoluzione è infatti il risultato di vari fattori: prima di tutto della demografia, del prezzo dei farmaci e del costo della tecnologia necessaria per erogare i servizi sanitari oltre che dell’organizzazione del lavoro in campo sanitario e delle legislazioni nazionali. La crisi con la spesa sanitaria non c’entra. Guardare a ciò che è successo alla spesa sanitaria è dunque utile per capire in che senso e quali paesi dell’eurozona – esposti più o meno a simili trend di invecchiamento della popolazione e al progresso tecnologico in campo farmaceutico e medicale – sono stati un po’ troppo generosi con le loro spese. I dati rappresentano utili elementi per la spending review europea (e italiana) oggi in corso. E i dati sulla spesa sanitaria parlano chiaro. Come si vede nelle figure 1 e 2, i numeri per la sanità tendono a riprodurre i trend della spesa complessiva. Dal 2001 fino al 2010, la spesa sanitaria nellÂ’eurozona è aumentata del 51 per cento in euro correnti, corrispondenti a un aumento di poco più di un punto in percentuale sul Pil. Nello stesso periodo di tempo, la spesa sanitaria tedesca è aumentata solo del 26 per cento (+0,5 in percentuale sul Pil tedesco: dal 6,7 al 7,2 per cento). Nel resto dell’eurozona senza la Germania, la spesa sanitaria è invece aumentata del 64 per cento (+1,3 per cento sul Pil degli altri 16 paesi, dal 6,3 al 7,6 per cento). Nei paesi oggi sull’orlo del default, la spesa sanitaria è aumentata del 128 per cento in Grecia (+2,4 in percentuale sul Pil), del 96 per cento in Spagna (+1,4 in percentuale sul Pil), dell’83 per cento in Irlanda (+2,3 sul Pil) e solo del 40 per cento in Portogallo (+0,6 sul Pìl). In Francia la spesa è aumentata del 42 per cento, cioè di poco meno di un punto in percentuale rispetto al Pil.

LO SPAZIO PER I TAGLI DELLA SPENDING REVIEW

E in Italia? La spesa sanitaria italiana, oggi al centro dellÂ’’attenzione della spending review del governo, è aumentata meno che nell’Â’eurozona ma due volte più che in Germania, con un aumento del 50 per cento dal 2001, salendo dal 6,3 al 7,6 per cento del Pil (cioè di 1,3 punti). Tutto ciò mentre la frazione di persone anziane (sopra i 65 anni) in Italia e Germania è la stessa: 21 per cento del totale. Non cÂ’’è dubbio che dieci anni fa, in Italia e nel resto dell’Â’Europa, la spesa pubblica sanitaria fosse più bassa che in Germania. Ma la crescita della spesa sanitaria degli ultimi dieci anni in presenza di simili shock demografici e tecnologici è un dato difficile da smentire. Buon lavoro, commissario Bondi.

Figura 1: Crescita della spesa sanitaria (in euro correnti) nei paesi europei, punti percentuali

Figura 2: Aumento della spesa sanitaria nei paesi europei (in percentuale sul Pil)

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QUANT’È OTTUSO IL FISCAL COMPACT

Il recente (bell’) articolo di Francesco Daveri su lavoce.info sostiene due principali tesi. La prima è che le recenti elezioni in Europa mostrano una tratto comune: la rivolta di ampi settori dell’elettorato europeo, soprattutto in Francia, Grecia, ma anche alle amministrative italiane e tedesche, contro la (auto) condanna all’austerità permanente voluta dalla Signora Merkel, e codificata nel Fiscal compact. La seconda è che esistono poche alternative al Fiscal compact, visto che a protestare di più sono proprio i paesi che, in termini di spesa pubblica, hanno “razzolato” male (peggio dei tedeschi). Sul primo punto, rilevo che le principali novità politiche delle elezioni in Italia ed in Francia, Grillo e Le Pen jr, non mi sembrano facilmente riconducibili all’austerity del Fiscal compact, quanto invece ad una protesta contro l’establishment della politica (Sarkozy in Francia e la Casta da noi) incapace e, spesso, corrotto. Diverso il caso della Grecia. Sul secondo punto, osservo che i dati riportati nell’articolo, la spesa pubblica rapportata al Pil ed la spesa “nominale” (espressa cioè in euro correnti) vanno interpretati con cautela. Circa il rapporto spesa/Pil, l’evidenza empirica (molto controversa) suggerisce che contrazioni della prima provocano una riduzione più che proporzionale del secondo (un moltiplicatore superiore all’unità), come i recenti casi della Grecia e dell’Italia indicano abbastanza chiaramente. Dunque un aumento del rapporto spesa/Pil potrebbe semplicemente avverarsi anche quando i tagli aggravano la recessione. Ancor maggiore prudenza va mostrata nell’interpretare le variazioni in termini nominali. È noto che l’origine degli attuali squilibri all’interno dell’Europa sia da ricercare nella perdita di competitività dei paesi periferici nei confronti della Germania. La Figura 1 riporta l’andamento dei prezzi al consumo in Germania (linea blu), Grecia (rossa) e Spagna (gialla).

In questi ultimi due paesi, tra il 2000 ed il 2010, i prezzi sono aumentati rispettivamente di 16 e del 23 punti percentuali  più che in Germania (1). Se allora si vuole vedere quali stati europei hanno accresciuto/tagliato i propri servizi ai cittadini, occorre correggere i dati della crescita della spesa nominale per l’inflazione. Così facendo si ottiene la Figura 2. Questa mostra che, grazie alla moderazione dei prezzi, tra il 2000 ed il 2009 la Germania è stata in grado di accrescere la spesa pubblica ben più che Spagna e Grecia (circa 20 punti percentuali di crescita reale in più). La figura mostra anche altri due aspetti importanti: dopo il 2009, i tagli in Grecia sono stati durissimi, circa il 30 per cento in termini reali. Dunque è la risposta degli elettori è comprensibile. Inoltre, a partire dal 2009 La Germania ha effettuato tagli di spesa superiori ai 20 punti percentuali in termini reali. Sta tutta qui l’ottusità del Fiscal compact: imporre corsetto recessivo per tutti, anche a chi non ne ha bisogno, aggravando le difficoltà di tutti.

(1) Questi numeri in realtà sottostimano la perdità di competitività in Spagna e Grecia. Essa andrebbe misurata confrontando i soli prezzi dei beni non commerciabili (cioè dei prezzi dei servizi privati che non sono scambiati sul mercato globale). Questi sono cresciuti più di quelli al consumo in Grecia e Spagna, mentre sono cresciuti meno in Germania. Dunque si sovrastima la spesa reale in Spagna e Grecia e si sottostima quella tedesca

LA RISPOSTA DELL’AUTORE A PAOLO MANASSE CON REPLICA

È una nota un po’ criptica: sarebbe bene chiarire, perché non viene spiegato, com’è il prezzo dei beni non commerciati non traded. Forse un indice dei prezzi dei servizi privati? Si potrebbe usare un indice dei prezzi dei servizi privati o un indicatore dei salari pubblici, seppure anche questÂ’ultimo metodo non sia del tutto adatto, in quanto poi i beni pubblici vengono spesso finanziati in deficit inficiando la proporzionalità tra salari e “prezzi al cliente”. Insomma, si tratta di un problema spinoso. Penso  che usare le grandezze nominali, eventualmente deflazionate sul Pil nominale, sia la cosa migliore per evitare problemi metodologici. Per la Spagna la perdita di competitività spiega solo una piccola parte del differenziale di spesa tra Germania e Spagna: +71 per cento in termini nominali. I prezzi dei servizi pubblici greci, invece, aumentano di più anche perché i greci sono più corrotti dei tedeschi (come succede da noi con gli appalti, i Mondiali di calcio e le Olimpiadi). Quindi lÂ’aumento dei prezzi è in parte spiegato dal peggioramento della qualità del servizio. Peggioramento di qualità che bisognerebbe sottrarre dalle quantità. Anche per questo, se non si riesce a distinguere bene tra prezzi e quantità, le grandezze nominali forniscono qualche utile indicazione.  

 

E UNA PRECISAZIONE

di Paolo Manasse

Nel mio pezzo di commento ho semplicemente dedotto dal tasso di crescita nominale della spesa l’inflazione dei prezzi al consumo. Questo verosimilmente sovrastima la crescita dei prezzi nella pubblica amministrazione (che produce servizi non tradables) in Germania, dove i prezzi al consumo crescono meno che altrove,  e viceversa  sottostima la crescita dei prezzi in Spagna e Grecia, dove i prezzi al consumo salgono più che altrove, e dunque più dei tradables. Quindi gli andamenti del grafico in effetti tendono a sottostimare la spesa pubblica in Germania e sovrastimarla in Spagna e Grecia. In altre parole se avessi avuto a disposizione indicatori migliori con cui deflazionare i valori nominali, la spesa in Germania sarebbe risultata ancor più alta e quella in Spagna e Grecia ancor più bassa.
Poi se negli ultimi anni la corruzione sia aumentata in Grecia (se è rimasta alta ma costante non ci sarebbero effetti) è difficile stabilirlo, ma credo non sia ovvio.

LA FUGA DI CAPITALI NEI CONTI DELLA BANCA D’ITALIA

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QUEL DUBBIO LEGAME TRA DEBITO E CRESCITA

Paesi caratterizzati da elevati livelli di debito pubblico registrano anche una ridotta crescita economica. La correlazione tra debito e crescita è spesso utilizzata come argomento a favore di una politica fiscale restrittiva. Tuttavia, non è chiaro se sia l’elevato debito pubblico a provocare un rallentamento della crescita economica o viceversa. Uno studio recente mostra che non esiste alcuna evidenza a sostegno dell’ipotesi secondo la quale il debito pubblico provoca una riduzione della crescita economica.

SPESA PUBBLICA EUROPEA

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LA DEMOCRAZIA E IL FISCAL COMPACT

Le elezioni in Francia, Grecia, Italia e Germania hanno messo in evidenza che nellÂ’’Europa in crisi gli elettori premiano chi si oppone ai tagli di bilancio. Ma la revisione delle politiche di rigore di bilancio auspicata dalla maggioranza degli elettori incontra un importante vincolo oggettivo: i governi a cui gli elettori oggi chiedono maggiore spesa pubblica sono quelli nei quali la spesa pubblica è salita di più negli ultimi dieci anni. Alle difficoltà di oggi non c’è via di uscita alternativa a quella di praticare le riforme con anche maggiore decisione rispetto a quanto fatto in passato.

 

LA MISSIONE SPECIALE DI MR. BONDI

Far sì che gli acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione avvengano a prezzi standard di mercato: è il compito affidato a Enrico Bondi. Ed è un compito improbo perché le stazioni appaltanti in Italia sono circa 20mila. Soprattutto, però, la nomina del commissario è la conferma che si è sbagliato in passato, quando sono stati eliminati i sistemi di controllo preventivo di legittimità sugli atti degli enti. Una scelta che andrebbe ripensata, almeno per quei territori dove le inefficienze sono più evidenti e frequenti.

COME DARE OSSIGENO ALL’ECONOMIA ITALIANA

Rigore e riforme strutturali sono certo indispensabili, ma danno risultati di lungo periodo. Nel breve, la politica per la crescita è il contrasto della recessione tramite stimolo della domanda, come sanno bene negli Stati Uniti. E nessuna politica anti-recessiva può essere fatta in un solo paese europeo, tanto che si inizia a parlare di un “growth compact”. Una boccata d’ossigeno per l’economia italiana può arrivare dal pagamento di una parte dei debiti dello Stato verso le imprese, con un intervento una tantum che non violerebbe gli impegni con l’Europa sui conti pubblici del 2012.

UN DECALOGO SULLA SPESA

Tagliare la spesa pubblica non è poi così semplice. Perché gran parte va in interessi, pensioni e stipendi, capitoli sui quali i vari governi sono già intervenuti. Ridurre i bilanci di sanità, scuola, giustizia e altri servizi richiederebbe una revisione del confine pubblico-privato. Gli interventi possono essere solo strutturali con risparmi nel lungo periodo. Positiva allora la formazione della task force ministeriale perché mostra la volontà politica di agire davvero. Ma su questo tema fondamentale, il governo dei tecnici poteva sfruttare meglio il poco tempo a sua disposizione.

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