Le conclusioni del Consiglio europeo, fatte proprie dai paesi dell’Unione con l’eccezione della Gran Bretagna, rappresentano la vittoria delle posizioni tedesche e segnano una linea di continuità rispetto al rafforzamento del Patto di stabilità e crescita, sancito nel cosiddetto patto EuroPlus. Il presupposto è che la crisi europea del debito nasca dalla mancanza di disciplina fiscale e che per uscirne sia necessario prevenire i disavanzi e rafforzare le sanzioni contro i paesi indisciplinati. Si tratta di un’analisi grossolana che avrà effetti recessivi sulla zona dell’euro.
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Per spezzare il circolo vizioso determinato dagli alti tassi di intesse sul debito pubblico, occorre fare affidamento sui risparmiatori italiani. Come hanno già fatto negli anni Novanta, dovrebbero acquistare fino a tre quarti dei titoli di Stato. In questo modo l’Italia potrebbe sopportare anche un lungo periodo di alti tassi. Alla Bce il compito di garantire la stabilità del sistema bancario. L’Italia non dovrebbe avere nessun problema di rispettare la nuova regola del deficit aggiustato per il ciclo al di sotto dello 0,5 per cento del Pil.
Aver introdotto l’Imu sull’abitazione di residenza rende immediatamente iniqua la manovra Monti? In realtà, l’Imu sulla prima casa ha effetti distributivi meno negativi dell’Ici 2007. Non è così invece per le seconde case, per la contemporanea eliminazione delle rendite catastali dall’Irpef. Una scelta forse da riconsiderare perché assieme alla cedolare secca sui canoni di locazione erode ancor di più la base imponibile dell’Irpef, rendendola sempre più simile a un’imposta sui soli redditi da lavoro e pensioni. E se poi una parte dei “poveri” fossero solo evasori?
La manovra del governo aumenta la tassa di bollo per le autovetture che superano i 185 chilowatt. Il presupposto è che una vettura potente è una vettura di lusso. Ma non è un’equazione corretta perché non tiene conto del rapido deprezzamento delle auto e del fatto che esistono fuoriserie con meno chilowatt di una media cilindrata. È poi molto probabile che i produttori adeguerebbero i loro modelli in modo da aggirare la tassa. Meglio sarebbe allora fare riferimento al reale valore di mercato delle auto, utilizzando le già esistenti banche dati private.
Un terzo della manovra del governo si fonda sull’imposizione immobiliare, attraverso l’introduzione dell’Imu. Il provvedimento ha diversi pregi: torna la tassazione sulla prima casa, aumenta il gettito con una tassa che non incide sulla crescita e ridà ai comuni una potente leva di fiscalità. Più discutibili la compartecipazione dello Stato a un tributo locale, l’inasprimento sulle locazioni e la mancata soluzione delle iniquità del sistema delle rendite catastali. E in generale, si va forse verso un nuovo modello di federalismo fiscale con più autonomia e meno solidarietà?
Quella che è stata vista come la spaccatura dell’Unione Europea, potrebbe in realtà essere l’unico vero risultato del vertice di ieri: sancire una integrazione a due velocità tra paesi all’interno e all’esterno della zona euro. Ma siamo ancora lontani da una vera unione fiscale nell’area, perché manca un percorso definito che dia legittimità democratica alle istituzioni che dovrebbero guidarla. Deludente anche la Bce, in cui prevale la rigidità della Bundesbank.
Nell’Italia di Monti si aggira come uno spettro la minaccia che la manovra anti deficit finisca per generare una recessione tale da far calare il Pil più di quanto faccia calare il deficit. Senza la possibilità di svalutare, l’unico rimedio consiste nella riduzione dell’Irap oggi e dei contributi sociali domani, quando la riforma delle pensioni sarà entrata a regime. È l’unica svalutazione oggi alla portata di mano dell’Italia: la riduzione del costo del lavoro.
Rigore, equità e crescita sono i tre principi che Mario Monti ha indicato quali pilastri per le scelte di politica economica. Nella manovra varata dal suo governo c’è molto rigore, forse troppo. Poca equità. E soprattutto pochissima crescita. Il tempo a disposizione era limitato. Ma proprio perché siamo in condizioni di emergenza si poteva e si doveva fare di più. C’è comunque un miglioramento rispetto alle manovre estive, in particolare in materia previdenziale, deindicizzazione a parte, e nello spostare la tassazione dal lavoro ai patrimoni. Davvero molto, però, resta ancora da fare.
Che cosa succederebbe se l’Italia non riuscisse a portare avanti le riforme strutturali e a consolidare i conti senza l’intervento di istituzioni europee, come la Bce? I costi cui andremmo incontro non sono quantificabili. Il nostro sistema economico entrerebbe in un perverso meccanismo che può dividersi in tre fasi: crisi di liquidità e insolvenza; pressioni deflazionistiche; pressioni inflazionistiche e instabilità politica ed economica.
Se si guardano gli spread dei Cds giornalieri, la rischiosità percepita a breve termine sul debito italiano è quadruplicata, salendo molto di più nel breve che nel lungo periodo. E da ottobre il profilo temporale del rischio ha assunto la forma a “gobba”. I mercati incorporano nei prezzi dei Cds una probabilità di default che aumenta per le scadenze tra uno e due anni, ma poi declina progressivamente. Insomma, i mercati finanziari ci dicono che ci vorranno almeno un paio di anni perché le riforme previste dal governo Monti dispieghino appieno i loro effetti. Il Pdl li ascolterà?