In allegato la presentazione tenutasi, il 15 settembre 2010, al convegno a porte chiuse per i sostenitori de lavoce.info
Categoria: Conti Pubblici Pagina 70 di 102
La fase di conflittualità e di incertezza politica registrata negli ultimi mesi potrebbe avere effetti assai gravi sui delicati equilibri della finanza pubblica. Abbiamo analizzato la relazione tra una misura di conflittualità e la variazione del tasso a lungo termine sui titoli del nostro debito pubblico a dieci anni. Ad esempio, alle polemiche dell’affaire Montecarlo di agosto si associata un aumento del tasso a lungo termine di circa 5 punti base. Che, se dovesse perdurare indefinitamente, potrebbe equivalere a oltre 830 milioni di euro di maggiori oneri di interessi.
Nei mesi scorsi avevamo capito che fosse in cantiere un cambiamento epocale di finanza pubblica. Il governo ha dichiarato che avrebbe finalmente fatto la faccia dura contro l’evasione. Ha poi fatto seguire i fatti alle parole e ha approvato provvedimenti che in futuro dovrebbero portarci a migliorare i risultati su questo fronte. Siamo qui in trepida attesa. Intanto mese dopo mese, si accumulano i dati sulle entrate dello Stato che (come minimo) segnalano la necessità che questa svolta diventi operativa presto. Dal Bollettino della Banca d’Italia di metà settembre si legge: Le entrate tributarie nei primi sette mesi dell’anno sono state pari a 210,374 miliardi di euro, 7,411 miliardi in meno rispetto al periodo gennaio-luglio del 2009, quando sono arrivate a 217,785 miliardi. In termini percentuali, la riduzione è del 3,4 per cento. Se si guarda solo alle entrate tributarie, la voce più facilmente misurabile e che risente meno di minori o maggiori voci straordinarie che sono invece contabilizzate nella voce ”Altre entrate”, le cose vanno anche peggio. Facendo le somme, viene fuori che sono stati persi 11,3 miliardi di euro di entrate nei primi sette mesi del 2010 rispetto agli stessi mesi del 2009. Dato che le entrate tributarie del periodo gennaio-luglio 2009 erano 210 miliardi, vuol dire che le entrate tributarie sono scese di 5.4 punti percentuali. Nel frattempo nello stesso periodo il Pil a prezzi correnti aumentava di circa 2.5 punti percentuali (+1 per cento circa il Pil reale e +1.5 per cento l’inflazione). Aumenta il Pil, scendono le entrate tributarie. Ah è vero, sarà perché il governo ha tagliato le tasse come aveva promesso. Beh, veramente no, tagli e riforme fiscali sono argomenti per le chiacchiere estive, mica li si fanno veramente. Verrebbe da dire che se il ministro dell’Economia occupasse una parte più consistente del suo tempo a far arrivare i soldi nelle casse dello Stato anziché andare per sagre di partito a discettare della sicurezza sul lavoro, darebbe un bel contributo a - come dice lui – mettere i conti in sicurezza.
Il premio agli enti locali virtuosi è ormai una sorta di mantra della finanza pubblica italiana. Il problema è che le definizioni di “virtuoso” sono troppe e si basano su parametri spesso diversi e a volte contraddittori. Accade così che talvolta rientrino nella categoria anche comuni che sulla base di altri criteri erano stati giudicati vicini al dissesto finanziario. Per ogni tipologia di ente servirebbe invece una regola univoca, stabile e soprattutto non soggetta a continue eccezioni.
Nuove stime dell’Ocse indicano una crescita zero per l’Italia nel secondo semestre 2010. Le previsioni possono anche essere sbagliate, ma rimane il fatto che durante la crisi il Prodotto interno lordo trimestrale del nostro paese è sceso da 323 a 301 miliardi di euro, per poi risalire a 304 dopo un anno di “ripresa”. Di questo passo, ci vorranno cinque anni per ritornare ai livelli precedenti alla crisi.
Capire cosa succede all’economia di un paese è complicato. Ma di certo non si può affermare, come hanno fatto di nuovo i media nei giorni scorsi, che la produzione industriale e il Prodotto interno lordo sono ai massimi quando i dati dicono che siamo ancora lontani dai livelli pre-crisi. E non si può guardare al superindice Ocse solo quando dà buone notizie.
Con qualche giorno di ritardo rispetto all’approvazione da parte del Senato del maxi-emendamento alla manovra finanziaria, il servizio studi ha finalmente reso disponibile la tabella riassuntiva sugli effetti degli emendamenti sui saldi e la composizione del provvedimento originariamente presentato dal governo. I senatori hanno così votato al buio, non avendo a disposizione le informazioni essenziali per orientare il proprio voto.
Qui sotto riproduciamo la nuova tabella e la compariamo con quella predisposta all’atto del varo del decreto 78 del 31 maggio 2010.
È proprio vero, come afferma il ministro Tremonti, che la manovra economica del Governo italiano è in linea con quanto fanno gli altri paesi europei? Passando in rassegna i tagli di bilancio dei paesi dell’Unione e mettendoli a confronto con un benchmark europeo, possiamo assegnare ad ognuno la patente di “virtuoso” o di “lazzarone”. E risulta evidente che l’Italia, purtroppo, si comporta peggio degli altri.
I tagli di bilancio sono oggi all’ordine del giorno in tutta Europa. Le manovre presentano, da paese a paese, notevoli differenze per l’entità, l’orizzonte di attuazione, la composizione (tra tagli di spese ed aumenti di entrate), la natura di breve o lungo periodo dei risparmi, le riforme istituzionali che li accompagnano (o meno), i livelli di governo (centrale, locale) maggiormente coinvolti. La Tabella 1 descrive la dimensione dei tagli di bilancio in rapporto al PIL dei diversi programmi nazionali per il 2010-2015. Si va dalle grandi manovre di Grecia, Spagna, Portogallo, Spagna, ma anche di Francia e Regno Unito, a tagli tutto sommato modesti di Italia, Austria, Olanda, Ungheria, Slovacchia (i tagli in Irlanda sono anteriori al 2010 e quindi non compaiono appieno nella tabella).
Tabella 1: Aggiustamenti di Bilancio in Europa, 2010-15 (% PIL)
Paese | Aggiustamento |
Austria | 0,9% |
Belgio | 5,3% |
Francia | 4,5% |
Germania | 3,0% |
Grecia | 10,7% |
Irlanda | 3,2% |
Italia | 1,6% |
Paesi Bassi | 2,1% |
Portogallo | 6,6% |
Slovacchia | 2,5% |
Spagna | 8,2% |
Svizzera | 0,9% |
Ungheria | 1,6% |
UK | 6,0% |
Fonte: CESIFO
Per lo più le manovre consistono in riduzioni (o limiti alla crescita) della spesa corrente (in Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Irlanda, Olanda, Spagna), e spesso incidono su comparti sensibili di spesa sociale (sanità in Belgio e Olanda; stipendi pubblici e pensioni, nella Repubblica Ceca, Grecia, Olanda). In altri paesi non sono risparmiati neanche gli investimenti pubblici (Irlanda, Italia, UK). Per ragioni connesse alla loro organizzazione federale, in Belgio, Germania, Italia, Spagna, Svizzera (e Svezia ) i tagli coinvolgono in maggior misura i livelli di governo locale.
Alcuni paesi hanno recentemente introdotto dei vincoli legali che pongono le decisioni di bilancio all’interno di un framework di medio termine che garantisca la disciplina del bilancio. Vincoli a livello Costituzionale sono presenti in Polonia e Germania, dove il governo ha recentemente approvato una norma costituzionale che a partire dal 2016 impone che il deficit strutturale del bilancio federale non superi lo 0,35 per cento del Pil e che i Laender presentino bilanci in pareggio. Regole fiscali che rendono vincolanti gli impegni di riduzione di spesa sono presenti/ad esempio in Ungheria, Irlanda (annunciato nel 2009), UK.
Guardando ai paesi della zona Euro appare che, in media, i tagli previsti tendono ad essere più cospicui per i paesi che presentano più elevati disavanzi primari, maggiore indebitamento rispetto al Pil e più elevato disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (1). Se prendiamo i tagli descritti nella Tabella per i soli paesi della zona Euro più Regno Unito e ponderiamo ciascuna manovra con il peso di ciascun paese sul Pil della zona, scopriamo che l’entità dei tagli previsti dal 2010 al 2015 è considerevole: circa 5 punti del Pil dell’Euro-zona.
(1) Si veda il mio blog per maggiori dettagli.
La manovra prevede che nel triennio 2011-13 non vi saranno rinnovi contrattuali per tutti i dipendenti pubblici e, per il personale docente (istruzione e università), anche il blocco degli automatismi stipendiali legati all’anzianità di servizio. Quando si fanno tagli lineari su strutture retributive che progrediscono con l’anzianità si determinano effetti regressivi che ricadono sulle classi di stipendio più basse, determinando forti iniquità. Se invece si recuperasse il valore della capacità contributiva si potrebbero ripartire le perdite secondo proporzionalità. Meglio ancora, secondo progressività.