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Categoria: Conti Pubblici Pagina 71 di 102

Ricette sbagliate: più spesa in Germania

Sono in molti ad accusare la Germania per la sua politica fiscale prudente, che finirebbe per aggravare la crisi. La cui soluzione sarebbe invece in un’espansione della spesa pubblica tedesca. Ma si tratta di una ricetta sbagliata, frutto di un keynesianismo datato. E’ un’illusione credere che un 5 per cento sul Pil di deficit di bilancio in Germania basti per risolvere i problemi di crescita dell’Europa. Che dipendono piuttosto dalle rigidità sul lato dell’offerta, soprattutto nei paesi oggi più in difficoltà.

I veri numeri della manovra

E’ finalmente disponibile il testo della manovra. Abbiamo così scoperto che un provvedimento presentato come quasi interamente di riduzioni alle spese è composto in realtà al 40 per cento di maggiori entrate, che molti tagli sono di carta, di dubbia praticabilità. Serve più che altro a dare un segnale ai mercati. Non è detto che sia credibile perché rinvia ai posteri gli aggiustamenti strutturali di spesa ed entrate. Ben poco rimarrà in vigore dopo il 2012. E chi paga davvero sono, una volta di più, i giovani.

La strada stretta dei tagli di bilancio in Europa

La febbre dei tagli di bilancio si sta diffondendo rapidamente in tutti i paesi europei. E’ un esperimento politico-sociale senza precedenti: l’Europa nel suo complesso riduce la spesa pubblica anche a fini sociali. Ma se i tagli di oggi non si traducono in riforme strutturali avranno solo effetti temporanei sulla spesa. Se invece diventano riforme strutturali, potrebbero essere meno recessivi di quanto temuto.

Perché il Piano Merkel è un errore

Il progetto tedesco di introdurre il pareggio di bilancio quale condizione per l’appartenenza all’euro è sbagliato: non funzionerà e distrae dal vero problema dell’Europa, la crescita. Certo, il Patto di stabilità va rivisto, ma in modo intelligente. Da un debito elevato si esce in un paio di generazioni, non in un paio di anni e occorre ridurre la spesa, non aumentare le tasse. Non tutte le spese poi sono uguali: ridurre quelle legate all’invecchiamento della popolazione ha effetti diversi da un taglio alle infrastrutture. Il ruolo dei comitati indipendenti autorevoli.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Molte grazie ai lettori per i commenti e per il tentativo di dibattito auto-regolamentato stile blog che è purtroppo non proprio adatto al format del nostro sito.
Una maggioranza relativa dei lettori prevede che la Grecia uscirà dall’euro o almeno condivide l’idea di far uscire la Grecia (o di consentirne un’uscita parziale, convertendo in dracme una parte del debito greco) come modo per risolvere i problemi attuali. Per due ragioni principali: i governi greci non hanno rispettato i vincoli e le regole di contabilità fiscale e i privati si sono arricchiti con l’immobiliare dopo aver omesso di dichiarare i loro redditi. Ricordo però che il problema di oggi non è tutta colpa dei greci. Il caso greco ha fatto da cartina di tornasole per far emergere alcuni problemi irrisolti nel funzionamento dell’Unione monetaria. La mia preferenza va ad una soluzione che preveda di dare un’altra possibilità ai greci, magari in un quadro di medio-termine di nuove regole di funzionamento dell’Unione che leghi l’andamento di deficit e debiti in modo più diretto e introduca sanzioni più efficaci (la sospensione temporanea del diritto di voto) rispetto a quelle che sono rimaste non applicate durante i primi anni di vita dell’Emu. La predisposizione di un fondo di stabilizzazione dell’unione – avvenuta durante il week-end dell’8-9 maggio – sembra andare in questa direzione e infatti le Borse hanno risposto bene. Ma per evitare altri casi come la Grecia, bisognerà cambiare il trattato di Maastricht, il che sarà necessariamente più complicato. Passata la buriana, il consenso per i cambiamenti evaporerà e saremo da capo con la navigazione a vista. Con nuovi pericoli per la stabilità dell’euro, derivanti dal cambiamento strisciante della missione della Bce.
Qualcun altro mette in luce che in termini di moralità pubblica le somiglianze tra Italia e Grecia sono più di quante ci piacerebbe ammettere. Questo è rilevante perché ci renderebbe quasi inadatti ad importare il modello del welfare europeo che, da noi, diventerebbe quasi necessariamente un modello in cui sono riconosciuti i diritti di tutti e i doveri di nessuno. E’ un modo di dire che l’ambito pubblico (all’interno del paese e all’estero) per paesi come la Grecia e l’Italia è condannato al Tanto Paga Pantalone. Non è sempre e necessariamente così. Ci sono tanti casi di buon governo e di civismo anche in Italia e in Grecia. Fanno un po’ fatica a farsi strada, questo è vero.
Per l’Italia la strada di sospendere il pagamento degli interessi sul debito non è praticabile. E’ del tutto equivalente a fare default sulla restituzione dello stock di debito e si tradurrebbe in un’esclusione dal mercato dell’emissione di nuovo debito come è successo ai paesi latino-americani o, come minimo, in un aumento del costo dell’indebitamento futuro.
Alcuni lettori propongono elementi politico-strategici difficili da valutare su un periodo di tempo breve come quello di una crisi finanziaria. Mi sembra condivisa l’idea che, sotto sotto, ci sia un complotto di pochi che ci guadagnano, quelli che fanno insider trading beneficiando della conoscenza anticipata delle fluttuazioni dei cambi o gli americani che vogliono segnalare alla Cina che è meglio investire nell’area del dollaro. Per rimediare alcuni chiedono di chiudere le agenzie di rating. Sul Sole 24 Ore di domenica 9 maggio (pag. 8) c’era un articolo interessante che mostrava l’elevata profittabilità delle Big Three (Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch) e il loro azionariato diffuso, che contrasta con l’idea di un complotto. Le teorie del complotto partono solitamente dal presupposto inquietante che ci sia qualcosa di nascosto che sfugge a tutti e ci fa muovere come burattini. Magari sono teorie vere. Io non ci credo, soprattutto perché sono difficili da verificare. Se esiste una teoria alternativa basata su qualche elemento osservabile e che esclude un complotto, ammetto di propendere per quella teoria. Ma è una mia preferenza personale.
Infine, nelle risposte ai commenti di solito non parlo dei singoli (come Trapattoni). Ma devo fare un’eccezione per il commento di francocordiale che comincia con una frase che non dimenticherò: “Non essendo un economista, ragiono in termini di buon senso”. E pensare che invece, in varie occasioni, ho tentato di “vendere” la microeconomia agli studenti del primo anno con la frase: “Vedrete, la microeconomia non è difficile, è in molti casi una esposizione grafica e analitica del buon senso”.

UN PIANO BRADY TARGATO EUROPA

I mercati hanno emesso il loro verdetto: la Grecia non può pagare il suo debito. I vari programmi di aggiustamento hanno dunque basse probabilità di successo. Meglio ristrutturare il debito greco. Magari seguendo l’esempio del piano Brady predisposto per i paesi emergenti alla fine degli anni Ottanta. Francia e Germania potrebbero assumersi l’onere di garantire nuovi titoli che permetterebbero alla Grecia di ridurre l’onere del debito e allo stesso tempo di ritornare su un sentiero di crescita sostenibile e sostenuta. Sarebbe un modello anche per il futuro.

I COSTI DEL DEFAULT FRA TEORIA E REALTÀ

Il debito pubblico si differenzia da quello privato, per la mancanza di una procedura ben definita per punire uno stato che non ripaga i debiti. Le ripercussioni si pagano in termini di reputazione, commercio estero e accesso ai mercati internazionali. Ma sono effetti che durano pochi anni. Per la teoria economica la ristrutturazione del debito sembrerebbe meno costosa di quanto si pensi. Forse perché è stata sempre accompagnata a un deprezzamento del tasso di cambio. Cosa impossibile per la Grecia.

LO STRABISMO DI MAASTRICHT

La politica economica europea è sempre stata molto attenta al rispetto di parametri come debito e deficit pubblici e molto poca attenta al debito estero (pubblico e privato). E un deficit del conto corrente con l’estero segnala che un paese spende più di quello che produce e può gettare il paese in crisi di liquidità. E’ quanto accaduto in Grecia. Gli squilibri con l’estero sono complessi da curare. Basti pensare al caso islandese. Ma l’appartenenza all’euro, con un piano di rientro di almeno dieci anni, può essere anche un’opportunità.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per i loro commenti. Non ci è possibile entrare nel merito di ognuno di essi. Piuttosto, vale la pena cercare di capire – come qualcuno chiede – come mai i mercati finanziari abbiano reagito così male all’accordo di domenica 2 maggio. Crediamo che le ragioni siano molteplici. Il ritardo e le esitazioni con cui si è arrivati al risultato di domenica hanno giocato un ruolo: hanno dimostrato un scarsa determinazione dei governi ad arrivare ad una soluzione, minando la fiducia dei mercati nella reale volontà politica di venire incontro alla Grecia nel superare le sue difficoltà attuali (di cui nessuno nega che la principale responsabilità ricada sui Greci stessi). Il fatto che i governi europei continuino ad avere scarsa fiducia nella capacità della Grecia di uscire dalla crisi è testimoniata dalle severe condizioni alle quali è stato concesso il prestito (scadenze, rate, condizionalità rispetto alle misure correttive di finanza pubblica, tasso d’interesse al 5%). Inoltre, la situazione politica e sociale in Grecia è assai difficile in questi giorni; peraltro non si poteva pensare che misure così impopolari potessero passare senza contrasti. I mercati si stanno quindi domandando se il governo greco sarà davvero in grado di mantenere i suoi impegni; in caso contrario, l’aiuto europeo sarebbe destinato ad essere ritirato, con tutte le prevedibili conseguenze.
Vi è poi una considerazione più ampia. Indipendentemente dalle sorti della Grecia, i mercati si stanno domandando se altri paesi dell’area euro (Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda) siano in una situazione di insostenibilità delle finanze pubbliche, e quindi esposte ad attacchi speculativi. Nello scenario peggiore, un attacco generalizzato a questi paesi non potrebbe essere risolto con un piano di aiuti simile a quello predisposto per la Grecia, per un’evidente ragione di dimensione del problema. I fondamentali di questi paesi sono migliori di quelli della Grecia. Tuttavia, a questo punto, uno scenario di panico non può essere del tutto escluso. Speriamo di non assistervi.    

PERCHÉ IL GOVERNO DEVE RISPONDERE AL MERCATO

C’è molto nervosismo nei mercati che si interrogano sul futuro delle finanze pubbliche dopo la crisi finanziaria e mentre si sviluppa la crisi greca. Gli investitori cercano risposte a due domande: come evolveranno i disavanzi nei paesi con le finanze pubbliche più compromesse nel breve e nel medio periodo? C’è in questi paesi la capacità di mantenere i conti sotto controllo e di sfuggire alle pressioni che la lentezza della ripresa può porre sulle finanze pubbliche? Si cercano rassicurazioni al riguardo. L’Italia esce dalla crisi con un elevato fardello di debito ma un disavanzo controllato, frutto della scelta di non reagire alla crisi accettandone un maggior impatto.  Questo oggi dà un po’ di respiro, ma rimangono i dubbi derivanti dalla mole del debito. Il modo migliore di fugarli è di prendere impegni per rassicurare che le azioni del governo avranno come imperativo stabilizzare i disavanzi e il debito. Oggi la maggior incognita che grava sui conti pubblici dell’Italia riguarda l’impatto del  federalismo fiscale sulle finanze pubbliche. Questo sta disseminando incertezza tra gli investitori e rischia di indebolire l’appetibilità dei titoli del del debito pubblico italiano tra gli investitori. Per evitare questa possibilità il governo ha due alternative: dimostrare (e non semplicemente sostenere) molto rapidamente che l’impatto sui conti pubblici del federalismo è nullo o minimo se non addirittura positivo (come sostenuto a suo tempo dal Ministro Tremonti), sia nel breve che nel medio periodo; oppure, se non è in grado di farlo,  annunciare che quella riforma è rimandata al futuro, a dopo che l’Italia avrà riportato il suo debito sotto il 100 per cento, e adottare rapidamente un piano di rientro vero. Non quello del tutto irrisorio previsto dalla Nota di Aggiornamento del Programma di Stabilità dell’Italia 2010-12.

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