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Categoria: Conti Pubblici Pagina 72 di 102

LA SOLUZIONE È NEL FONDO

L’articolo 125 del Trattato svolge un ruolo fondamentale: vieta qualsiasi aiuto a un governo che non possa far fronte ai suoi obblighi e indica chiaramente che le difficoltà finanziarie di un paese devono restare un problema locale. Con la crisi greca il Patto di Stabilità ha invece dimostrato ancora una volta la sua inefficacia. Per uscire da questa grave situazione, l’Unione deve rispettare la clausola di non-salvataggio e imporre finalmente la disciplina di bilancio. E la Grecia può ricorrere al Fondo monetario internazionale per ristrutturare il suo debito.

PERCHÉ I PIGS NON ESISTONO

Centodieci miliardi di finanziamenti per non fallire e 48 ore di sciopero proclamato dai dipendenti pubblici: la Grecia di oggi sembra non avere imparato la lezione. Tra gli altri paesi considerati a rischio di contagio soltanto il Portogallo è in una situazione di difficoltà paragonabile a quella dei greci. A guardarli con attenzione ad uno ad uno, ci si potrebbe accorgere che i Pigs non esistono davvero.

HA VINTO IL BUON SENSO

L’accordo di domenica 2 maggio evita un arretramento storico del processo di integrazione europea. Non sarà perfetto, ma dà alla Grecia una possibilità di risanare la finanza pubblica, evitandole di continuare a pagare un altissimo prezzo per finanziarsi sui mercati. Sembra scongiurata anche l’eventualità di una disgregazione dell’area euro. E la Bce può ora accettare i titoli di stato greci come garanzia nelle operazioni di finanziamento, indipendentemente dal rating, evitando una grave crisi di liquidità delle banche greche.

DUE ANNI DI GOVERNO: ECONOMIA E FINANZA

Come ha agito il governo durante la crisi? È importante stabilire i fatti. La caduta del reddito nazionale dal picco precedente alla crisi al successivo punto di minimo è stata del 6,5 per cento in Italia; nella media dei paesi dell’area dell’euro è stata di oltre un punto più contenuta. In Germania il calo è simile all’Italia mentre in Francia è poco più della metà. I dati della produzione industriale raccontano una storia simile: dal picco al minimo la produzione crolla di un quarto in Italia e Germania e del 20 per cento in Francia e nella media dei paesi dell’euro. L’impatto della crisi è stato quindi altrettanto severo in Italia quanto in Germania e più severo che nella media dell’area dell’euro e in Francia – nonostante l’assenza da noi di fallimenti bancari, verificatisi invece Oltralpe. La scelta del governo è stata di alzare il bavero, aspettare e sperare che la bufera passasse, adottando provvedimenti minimi per fronteggiare l’impatto sul mercato del lavoro (ad esempio con l’estensione della cassa integrazione in deroga: vedi la relativa scheda) e stemperare il rischio di panico sulle banche, con interventi più di natura simbolica che di effettiva sostanza (i cosiddetti Tremonti bond). L’intento annunciato era di evitare impatti sulla finanza pubblica, oltre quelli inevitabili sul rapporto debito/Pil dovuti al calo del Pil e quelli sul disavanzo dovuti agli ammortizzatori sociali. Infatti, in Italia le misure di stimolo fiscale durante la crisi sono nulle, diversamente da Francia e Germania che hanno varato pacchetti dell’ordine di un punto di Pil. Si è quindi scelto di accettare un maggior impatto della crisi per evitare un aggravamento dei conti pubblici in un paese già fortemente indebitato. Alcuni benefici di questa politica si apprezzano oggi guardando alla esperienza della Grecia.
Ma, oltre ad aver evitato di adottare politiche fiscali anticicliche di qualche significato, il governo ha omesso qualunque politica economica. Se il primo atteggiamento aveva una sua ragion d’essere sul piano economico, il secondo è difficile da giustificare. Estendendo lo sguardo all’indietro, al decennio antecedente la crisi, fatto 100 il Pil del 2000, l’Italia perde 6 punti di Pil rispetto alla media degli altri paesi dell’euro e anche rispetto alla Francia; il divario nella produzione industriale è ancora più marcato e supera i 10 punti con la Germania. È come se la sola l’Italia negli otto anni prima di Lehman Brothers, fosse stata colpita da una crisi economica della stessa entità di quella gravissima sperimentata nell’ultimo anno e mezzo. In queste circostanze l’aspettativa legittima era che il governo, già dal suo insediamento avvenuto prima dello scoppio della crisi, varasse un piano di riforme per facilitare la ristrutturazione delle imprese, alleggerirle del peso della burocrazia, incoraggiarne la creazione, migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, dotandolo di istituti propri per facilitare la riallocazione dei lavoratori e quindi la stessa ristrutturazione delle imprese. Misure spesso dal costo nullo per l’erario, ma con effetti rilevanti sui tassi di crescita di medio periodo. Niente di ciò è avvenuto. Ora sembra che le riforme siano ritornate all’ordine del giorno. Ma non è chiaro come quelle di cui si parla – federalismo fiscale, intercettazioni, semipresidenzialismo – possano aggredire il problema economico dell’Italia: evitare che ogni otto anni essa paghi, per l’inerzia della sua classe dirigente, l’equivalente di una grave crisi economica planetaria.

DUE ANNI DI GOVERNO: POLITICA DI BILANCIO

Nell’ultimo anno e mezzo la politica di bilancio si è svolta, in gran parte, al di fuori della sessione di bilancio (i tre mesi dedicati tradizionalmente dal Parlamento all’esame della legge Finanziaria) e mediante lo strumento della decretazione di urgenza. Tra novembre 2008 e marzo 2010 sono stati emanati ben sei decreti legge. Da tempo, anche in questi giorni, si parla molto di equilibrio dei poteri tra governo e Parlamento. I decreti legge spostano naturalmente l’equilibrio in una direzione favorevole al governo. Ma qui c’è qualcosa di più preoccupante: la frammentazione della politica di bilancio con una perdita di trasparenza delle scelte e dei risultati delle stesse sui conti pubblici, che rende molto difficile qualsiasi discussione informata sulla finanza pubblica.
I sei decreti legge, secondo le valutazioni ufficiali, hanno comportato minori entrate e maggiori spese per circa 16,6 miliardi di euro nel 2009 e 10 miliardi per ciascuno dei due anni successivi (2010 e 2011). A loro volta, questi importi sono stati coperti, sempre secondo le stime del governo, da variazioni di entrate e spese di segno opposto, in modo da lasciare pressoché invariati i saldi di bilancio (entrate meno spese finali).
Gli andamenti delle voci di bilancio appena ricordate testimoniano da un lato la volontà del governo di tenere ferma la barra sui conti pubblici, per non aumentare con misure discrezionali il disavanzo, dall’altro il desiderio di mostrare, con interventi ripetuti, il continuo impegno per fronteggiare la crisi.
Dalla breve “guida alla lettura” dei sei decreti legge emerge tuttavia che essi si caratterizzano per la loro frammentarietà, sia dal lato delle entrate, che da quello delle spese: si tratta di un insieme poco organico di micro-misure e di interventi parziali, dal bonus temporaneo alle famiglie povere, ai numerosi microincentivi attuati o con trasferimenti o con sconti fiscali, che disperdendosi in mille rivoli sembrano più adatti a massimizzare il numero dei potenziali beneficiari, che a fronteggiare davvero la difficile situazione economica. Nel caso delle entrate, l’intervento più consistente (3,7 miliardi) è la riduzione dell’acconto Irpef, che il governo stima ottimisticamente di recuperare integralmente con l’autotassazione di giungo-luglio 2010. La copertura delle minori entrate e delle maggiori spese è poi imputabile a entrate una tantum (per scudo fiscale e per imposte sostitutive sulle imprese, che si tradurranno in minori gettiti futuri) e a rimodulazioni e riduzione di altre spese, per incentivi, per le aree sottoutilizzate e per spese in conto capitale.
Nel complesso, aumentano sia le entrate che le spese, ovvero, a parità di saldo, il peso del settore pubblico. Nel 2009 l’aumento netto di entrate e spese attese dai provvedimenti governativi è di circa 5 miliardi di euro.
A fronte di questi interventi del governo, i conti pubblici 2009, resi noti a inizio marzo dall’Istat, e ripresi anche nell’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia, mostrano: un peggioramento del disavanzo, dal 2,7% al 5,7% del Pil (contro il 5,3% ancora previsto nell’ultima nota di aggiornamento al programma di stabilità del gennaio 2010); una crescita delle spese maggiore di quella discrezionalmente decisa dal governo con i provvedimenti ricordati; una riduzione, invece che un aumento, delle entrate. Questi andamenti per molti aspetti non sorprendono, in quanto il peggioramento dell’attività economica (il Pil è calato del 3% circa in termini monetari, nel 2009) si riflette automaticamente in un aumento del disavanzo, ad esempio, perché aumentano gli esborsi per la cassa integrazione e gli assegni di disoccupazione e si riducono le basi imponibili delle principali imposte. Tuttavia, l’andamento del ciclo economico non sembra in grado di spiegare integralmente, assieme agli effetti discrezionali di cui si è detto, l’andamento delle entrate e delle spese pubbliche effettivamente osservato nel 2009. Ad esempio, le imposte dirette che erano stimate in circa 238 miliardi di euro nella Relazione previsionale e programmatica di settembre 2009, e 234 miliardi nell’aggiornamento del programma di stabilità del gennaio 2010, risultano essere a consuntivo, secondo i dati Istat e Banca d’Italia, 223 miliardi circa.
Vedremo fra breve se la Relazione unificata sull’economia e la finanza pubblica, attesa per fine aprile, sarà in grado di chiarire meglio questi andamenti, distinguendo fra i reali effetti delle politiche di bilancio di questi primi due anni di legislatura, quelli automatici legati al ciclo economico e quelli eventualmente imputabili ad altri fattori, quali errori di previsione, andamento inerziale di alcune spese pubbliche e, non ultimo, un possibile aumento dell’evasione, come verificato anche in altri paesi a seguito della crisi.

 

Breve “guida alla lettura” dei sei decreti legge

Si ricordano solo le misure di maggiore entità. I decreti contengono anche una miriade di piccoli interventi che non è possibile elencare.
Gli effetti finanziari sono sintetizzati nella tabella.

Dl n. 185 del 25 novembre 2008 (convertito nella legge n. 2/2009)

Interventi: tra le spese, l’intervento più importante è il bonus famiglie, un sussidio una tantum alle famiglie più povere. Altri interventi di minore entità riguardano integrazioni al reddito in caso di disoccupazione, un contributo al pagamento delle rate dei mutui a tasso variabile, contributi agli investimenti delle Ferrovie. Vi sono poi nuovi stanziamenti per opere pubbliche su un orizzonte di quindici anni (700 milioni nel triennio 2009-2011). Tra gli sgravi fiscali, la deducibilità parziale dell’Irap dalla base imponibile Ires, la possibilità di versare l’Iva per cassa, la proroga della detassazione dei premi di produttività.
Coperture: maggiori entrate (imposte sostitutive sulle rivalutazioni dei valori contabili nei bilanci delle imprese, potenziamento ulteriore dell’attività di accertamento e riscossione, l’accelerazione del recupero dei crediti delle amministrazioni pubbliche e l’aumento dell’Iva sui servizi televisivi) e minori spese (essenzialmente la riduzione degli stanziamenti del Fondo aree sottoutilizzate).

Dl n. 5 del 10 febbraio 2009 (convertito nella legge n. 33/2009)

Interventi: proroga ed estensione di incentivi alla rottamazione e al rinnovo di veicoli a motore, con una spesa prevista per il 2009 di poco più di un miliardo.
Coperture: circa il 60 per cento della spesa per gli incentivi è compensata dal gettito Iva aggiuntivo dovuto all’incremento della domanda di veicoli. La parte restante è coperta dalla revoche delle agevolazioni della l. n. 488/1992 (contributi agli investimenti privati nelle aree depresse)

Dl n. 39 del 28 aprile 2009 (convertito nella legge n. 77/2009)

Interventi: per il terremoto in Abruzzo, con misure, tra minori entrate e maggiori spese, per 1,3 miliardi nel 2009 (in particolare, 580 milioni di risorse aggiuntive per la Protezione civile e 400 milioni per la realizzazione dei moduli abitativi)
Coperture: maggiori entrate (500 milioni dai giochi) e minori spese (420 milioni da risparmi nella spesa farmaceutica e 300 milioni dalla cancellazione di residui relativi al bonus famiglie).

Dl n. 78 del 1 luglio 2009 (convertito nella legge n. 102/2009)

Interventi: per il 2009, si tratta di nuovi interventi, quasi interamente di spesa, per 4,2 miliardi (tra i quali, il principale è la deroga al patto di stabilità interno per spese di investimento dei comuni, valutata in 2,3 miliardi; tra le altre misure, la proroga delle missioni di pace per 510 milioni). Per quanto riguarda le entrate, vi è la sospensione dei tributi e contributi in Abruzzo per 513 milioni.
Coperture: 1,5 miliardi di maggiori entrate (tra cui, concessioni licenze in materia di giochi per 500 milioni, regolarizzazione di collaboratori domestici per 280 milioni) e 2,7 miliardi di minori spese (in gran parte, per 2,3 miliardi, riduzioni di spesa in conto capitale del bilancio dello Stato).

Dl n. 168 del 23 novembre 2009 (lasciato decadere e confluito nel maxi-emendamento alla legge Finanziaria)

Interventi: differimento al 2010 del versamento di venti punti percentuali dell’acconto Irpef dovuto a novembre 2009 (3,7 miliardi)
Coperture: introiti dello scudo fiscale.

Dl n. 40 del 25 marzo 2010

Interventi: incentivi per il sostegno della domanda (275 milioni nel 2010)
Coperture: entrate derivanti da misure di contrasto delle frodi fiscali nazionali e internazionali.

TABELLA

La politica di bilancio fuori dalla sessione di bilancio da novembre 2008 a marzo 2010
(milioni di euro)

  2009 2010 2011
Dl 185 del 29 novembre 2008 (l. 2/2009)      
Interventi 6.401 3.904 4.759
Coperture 6.433 4.097 4.943
       
Dl 5 del 10 febbraio 2009 (l. 33/2009)      
Interventi 1.108 320 369
Coperture 1.108 320 369
       
Dl 39 del 28 aprile 2009 (l. 77/2009)      
Interventi 1.253 1.004 701
Coperture 1.264 1.018 740
       
Dl 78 del 1 luglio 2009 (l. 102/2009)      
Interventi 4.156 4.668 4.136
Coperture 4.163 4.760 4.236
       
Dl 168 del 23 novembre 2009      
Interventi 3.716    
Coperture 3.800    
       
Dl 40 del 25 marzo 2010      
Interventi   291 112
Coperture   314 342
       
TOTALE      
Totale Interventi 16.634 10.188 10.076
di cui: Minori entrate 6.382 3.974 5.203
            Maggiori spese 10.252 6.214 4.873
Totale Coperture 16.768 10.508 10.630
di cui: Maggiori entrate 11.662 6.878 6.355
           Minori spese 5.106 3.631 4.275

Fonte: Elaborazione su documenti ufficiali.

IL FAS? MEGLIO ABOLIRLO

L’unificazione della politica regionale comunitaria finanziata attraverso i fondi strutturali con quella nazionale finanziata dal Fondo per la aree sottoutilizzate non ha dato i risultati sperati. Occorre prendere atto che la capacità programmatoria e progettuale delle amministrazioni è limitata. E gli stanziamenti pluriennali non sono più un incentivo ad accelerare il processo di programmazione. Semmai contribuiscono a dirottare le risorse verso altre destinazioni. Meglio quindi rinunciare al Fas, nell’interesse delle stesse Regioni meridionali.

CONTI PUBBLICI: DAVVERO VA TUTTO BENE?

Il giorno dopo la pubblicazione dell’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia, il Sole24Ore (16 aprile 2010) titolava, in un occhiello di prima pagina: “Bene i conti pubblici” e poi ancora, a p. 1 e 3, “Deterioramento più contenuto che negli altri paesi avanzati”. Insomma, possiamo dormire sonni tranquilli? Ad una attenta lettura del Bollettino, viene qualche dubbio. E’ vero che altri paesi hanno visto peggiorare di più il loro disavanzo, ma hanno anche intrapreso politiche attive di contrasto alla crisi ben più incisive delle nostre.
Il fatto che la pressione fiscale sia aumentata non è un segno positivo che mostra come le entrate siano sotto controllo nonostante la crisi. Al netto di circa 12 miliardi di imposte straordinarie (dovute allo scudo fiscale e ad altre imposte straordinarie sulle imprese, che per lo più scontano minori imposte future) le imposte calano del 5,7%; più del Pil nominale, che cala del 3%. Questa calo, poi, non è imputabile a misure discrezionali di riduzione delle aliquote o ad altri sgravi fiscali, come più volte promesso, né pare interamente imputabile alla caduta del Pil dovuta alla crisi. Il rischio è quindi  che dietro a questo calo si nasconda anche un aumento di evasione.
Dal lato della spesa, la crescita nel 2009 è del 3,1%, ma questo dato è il frutto di un aumento del 4,2% della spesa primaria (cioè al netto degli interessi) e di un calo del 12,2,% della spesa per interessi. Ad aumentare non è tanto la spesa sociale, per fronteggiare i nuovi disagi, ma  sono soprattutto i consumi intermedi (+7,5%). Il risultato è che l’avanzo primario, variabile cruciale per l’andamento del rapporto debito/Pil, si è non solo azzerato, ma si è trasformato in un disavanzo primario (dal+2,5% a -0,6%) e il debito pubblico è cresciuto di quasi dieci punti, dal 106,1 al 115,8% del Pil.
Sarà anche vero che stiamo meglio della Grecia, ma non è una gran consolazione!

SE IL COSTO DELL’IMMIGRATO È MARGINALE *

La percezione che gli immigrati rappresentino un onere per i conti pubblici non è suffragata dai dati. Con il sistema di calcolo del costo standard, si arriva a un effetto fiscale zero. Se poi si considera il costo marginale, per coprire l’ammontare di trasferimenti e servizi imputabile alla nuova utenza è sufficiente il gettito fiscale di circa 3 miliardi annuali di imposte dirette e indirette dei lavoratori migranti. Mentre i contributi previdenziali di quegli stessi lavoratori sono un indubbio vantaggio per il bilancio Inps, almeno nel breve periodo. Di immigrazione si discuterà anche al prossimo Festival dell’Economia di Trento.

UN DECRETO TROPPO EVASIVO

Giusto in tempo per le elezioni regionali, è stato varato il decreto incentivi di cui si parlava da mesi. Si tratta di 420 milioni in totale, ma 150 milioni rappresentano un diverso utilizzo di fondi già stanziati. I nuovi 270 milioni dovrebbero arrivare da norme antievasione. Entrate, dunque, incerte per loro natura. Il decreto è poi una somma di microinterventi, distribuiti a vari settori, che difficilmente solleciteranno nuova domanda. Nel complesso, un decreto senza personalità, poco utile sul piano economico, con costi di attuazione da non sottovalutare.

IDENTIKIT DI UN FONDO PER L’EUROPA

L’Europa ha bisogno di un Fondo monetario europeo? E se sì, quali caratteristiche dovrebbe avere? Quello che non funziona oggi è la procedura per deficit eccessivo. Andrebbe sostituita da regole auto-imposte che assicurino la disciplina di bilancio senza però compromettere la possibilità di politiche moderatamente anticicliche. Dovrebbe funzionare sostanzialmente come un fondo di ammortamento sulla base di un sistema di crediti accumulati, in modo da incentivare i governi a risparmi di bilancio durante le fasi di espansione. In caso di crisi, potrebbe concedere una garanzia sul debito pubblico estero.

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