Eurostat non ha convalidato i dati su disavanzo e debito pubblico resi noti dallÂ’Istat. E’ una vicenda molto preoccupante per la possibilità concreta di una violazione del Patto di stabilità europeo negli ultimi due anni e per la credibilità dellÂ’Italia di fronte ai partner europei e ai mercati. Il divario tra indebitamento (di competenza) e fabbisogno (di cassa) della Pa potrebbe alla lunga far nascere il sospetto che si tratti di un tentativo italiano di addomesticare i conti. Forse varrebbe anche la pena di ripensare allo status di indipendenza dellÂ’Istat.
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I dati continuano a dipingere un quadro sconsolante dello stato dell’economia italiana. Nel 2004, uno degli anni migliori per l’economia mondiale, la crescita si è fermata allÂ’1,2 per cento. E non per carenza di domanda. La politica economica dovrebbe concentrarsi sugli stimoli all’offerta, in crisi di competitività sui mercati nazionali, europei e mondiali. Difficile pensare che nel 2005 si riesca a fare meglio. E’ auspicabile che con la prossima Relazione di cassa, il Governo fornisca un quadro realistico della situazione economica e di quella dei conti pubblici.
Dalla revisione sui dati di finanza pubblica del triennio 2001-2003 e dall’andamento nel 2004 apprendiamo di aver vissuto gli ultimi anni sul filo del rasoio del limite del 3 per cento. Per il 2005, le maggiori incertezze riguardano lÂ’effettiva realizzabilità di alcune misure decise nella Finanziaria. E non mancano le una tantum, comprese quelle che producono costi per il futuro. Ancora una volta si conferma che il sistema di controllo della spesa pubblica è poco efficace e trasparente, incapace di raccogliere le informazioni in modo completo e tempestivo.
Suscitano perplessità le ultime operazioni della “privatizzata” Cassa depositi e prestiti. L’acquisto di una quota importante di una società di Finmeccanica è un precedente pericoloso, che potrebbe costringerla in futuro a diventare un ibrido tra banca e holding di partecipazione. Vanno perciò definiti meglio i principi operativi della Cdp, per sottrarla all’arbitrio delle pressioni politiche contingenti. E per limitare la possibilità di operazioni che creano debito pubblico occulto. Intanto, rimane il rischio di trasformare Fintecna in una piccola Iri.
E’ finita presto la fase della trasparenza sulla situazione dei conti pubblici. Ora la confusione è massima. E nel susseguirsi di cifre e di proposte si rischia di sperperare i pochi soldi disponibili per politiche che ci permettano di agganciare la ripresa internazionale. Perché se domina lÂ’incertezza sulla natura, lÂ’entità e la durata degli interventi, i beneficiari saranno solo le famiglie o gli imprenditori che avrebbero comunque aumentato i consumi o assunto nuovi lavoratori anche senza gli incentivi e gli sgravi fiscali.
Doveva essere la Finanziaria dell’inversione di rotta rispetto a scelte passate che hanno portato al crollo delle entrate ordinarie. E capace di convincere i mercati che i tagli alla spesa sono permanenti. Ma il cambiamento è avvenuto solo a parole. Nella sostanza siamo lontani dai ventiquattro miliardi indicati come necessari dal Dpef per rimanere sotto la soglia del 3 per cento. La parte più convincente della manovra è quella sulle entrate. Ma rischia di essere neutralizzata dalla riforma fiscale. Che non può essere discussa separatamente dalla Finanziaria.
La Finanziaria 2005 non prevede per ora il rinnovo del bonus di mille euro per il secondo figlio. Probabilmente sarà però ripristinato ed esteso anche ai primogeniti. Eppure difficilmente farà cambiare idea alle coppie senza figli perché continuerà a essere una misura una tantum e di scarso importo. Mentre gli incentivi alla natalità per dimostrarsi efficaci devono garantire un sostegno al reddito delle famiglie significativo e continuativo.
Circa un terzo dell’aggiustamento complessivo previsto dalla Finanziaria proviene dall’aumento delle entrate ordinarie. Non c’erano alternative perché gli impegni comunitari impongono interventi di tipo permanente e sarebbe stato impossibile concentrare tutto sulla spesa. Nonostante la dichiarata volontà di riportare sotto controllo i conti pubblici, resta il rischio che l’inasprimento fiscale di oggi sia seguito da ulteriori sgravi che renderanno inevitabili nuovi aggravi domani, in un circolo vizioso da cui non possono più salvarci le una tantum.
Mentre si attendono indicazioni credibili sulla prevista riforma dell’Irpef, la manovra già varata prevede maggiori entrate per sette miliardi e mezzo. Dovrebbero arrivare dalla cosiddetta manutenzione della base imponibile e dall’inasprimento di micro-tributi esistenti. Ma la revisione degli studi di settore per i lavoratori autonomi e piccola impresa difficilmente potrà dare un gettito rilevante nel 2005. E gli interventi sul reddito da fabbricati sono estemporanei. Il gettito più certo verrà ancora una volta dall’inasprimento di tributi esistenti.
L’unico elemento finora noto della prossima Finanziaria è che una parte della manovra sarà costituita dall’applicazione di un tetto uniforme del 2 per cento alla crescita della spesa nel 2005 rispetto al pre-consuntivo 2004. Congelare così la composizione della spesa segna una rinuncia a definire priorità e scelte allocative e riduce la politica di bilancio a un fatto puramente finanziario. E comunque non basta per raggiungere gli obiettivi indicati nel Dpef.