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L’EUROPA E LA PAURA DEL CONTAGIO

È la paura del contagio ad altri paesi che spinge a rifiutare l’ipotesi di una ristrutturazione del debito della Grecia. Eppure l’evidenza empirica sull’andamento degli spread dei Cds suggerisce che una ristrutturazione ordinata del debito greco ha oggi meno probabilità rispetto al passato di produrre una dirompente fuga dall’Europa. Dunque, il destino degli altri paesi problematici riposa ora più che mai nelle loro mani e nella credibilità delle politiche di risanamento che intendono attuare. Vale naturalmente anche per l’Italia.

CRISI DELL’EURO TRA POLITICA E MERCATO

Le relazioni tra mondo della politica e della finanza sono da sempre difficili. Ma nella crisi dell’euro si aggiunge un altro elemento, quello delle attuali istituzioni europee. In materia finanziaria è sempre più l’Unione Europea a indicare le politiche, le scelte sono però condizionate dalla politica interna dei singoli paesi. Della Germania in particolare, che però dopo la seconda guerra mondiale non è mai stata toccata da una crisi finanziaria e non ha l’esperienza per fronteggiarla. Non è semplice risolvere una crisi istituzionale, oltre che finanziaria e fiscale.

NIENTE LACRIME SE LA GRECIA ESCE DALL’EUROZONA

L’uscita della Grecia dall’Eurozona rafforzerebbe la stessa area euro, e quindi sarebbe un bene per la moneta europea, per svariati motivi.

L’EURO SI RAFFORZA

In primo luogo, gli altri paesi dell’Eurozona con finanze pubbliche a rischio si impegnerebbero con maggior vigore a seguire politiche di rientro del debito, dal momento che l’uscita da una unione monetaria con reintroduzione della propria valuta non è mai stata, storicamente, un’esperienza positiva per il paese coinvolto (si pensi soltanto all’impatto inflazionistico).
Il rischio-contagio verrebbe quindi minimizzato, sempre che i governi di quei paesi siano intenzionati a mettere ordine nelle proprie finanze in modo credibile e sostenibile. Dopo un’iniziale fase di debolezza, i mercati probabilmente premierebbero l’euro: accoglierebbero favorevolmente questi eventi anche perché un’Eurozona più forte comporterebbe una bassa probabilità che la Bce si impegni nuovamente in “Non Standard Operations”, cioè nell’acquisto di titoli di stato di paesi membri in difficoltà. La presenza di un attore come la Bce, infatti, provoca distorsioni sul mercato e non permette agli spread di esprimere pienamente la valutazione dei mercati sul merito del credito dei vari paesi.

PAGANO LE BANCHE

Ci sarebbero sicuramente dei perdenti all’interno dell’Eurozona, in particolare le banche che detengono il debito greco, che si troverebbero davanti la strada della ristrutturazione del debito (a quel punto, estero) della Grecia. Un film già visto nel caso delle ristrutturazioni di Russia, Messico e tanti altri paesi nel corso degli anni Ottanta e Novanta. Ma, a questo punto, sarebbe una negoziazione tra la Grecia e le banche, senza che sia necessario alcun intervento da parte dei governi europei. Se l’esposizione verso la Grecia fosse elevata, e quindi le perdite associate alla ristrutturazione anch’esse elevate, gli azionisti delle banche coinvolte sopporterebbero le perdite sia sotto forma di mancanza di dividendi o, nei casi più gravi, per la diluizione del capitale a causa dell’aumento di capitale necessario per salvaguardare la stabilità della banca stessa. Probabilmente assisteremmo all’entrata dello stato nel capitale delle banche. Anche in questo caso, sarebbe un’esperienza già provata, anche di recente, nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Sarebbero costi di breve periodo e, una volta “puliti” i propri libri dal debito greco, le banche potrebbero concentrarsi a fare il loro lavoro. Una volta ristabilita la loro redditività e solidità, la partecipazione statale sarebbe venduta (è da sottolineare come spesso un tale esercizio abbia prodotto profitti per le casse statali, si pensi alla Resolution Trust Corporation americana nel caso delle crisi delle casse di risparmio statunitensi o ai capital gain ottenuti dal governo Usa grazie ai fondi Tarp).
In ogni caso, quale alternativa è più “politicamente vendibile” ai propri elettori: un aumento delle tasse per coprire i trasferimenti alla Grecia con una buona probabilità che il debito greco venga ristrutturato (e che quindi parte di questi soldi vadano persi), oppure un aumento delle tasse per finanziare la ricapitalizzazione di banche che poi verranno privatizzate con ragionevoli aspettative di ottenere un capital gain (e quindi tasse e/o costo del capitale più bassi) in un futuro non tanto lontano?
Non esistono oggi meccanismi che permettono l’uscita di un paese dall’Eurozona, a parte la decisione unilaterale del paese stesso (che molto probabilmente comporterebbe anche un’uscita dall’Unione Euopea tout court). Sarebbe politicamente improponibile che i paesi membri votassero sull’espulsione di un paese dall’Eurozona. Non resta, quindi, che la decisione unilaterale della Grecia. Negli ultimi dodici mesi il governo greco ha dimostrato una scarsa volontà politica di consolidare le proprie finanze pubbliche e periste un vasto dissenso popolare verso le timide riforme adottate fino ad ora: forse un’uscita della Grecia dall’Unione Europea non è così impensabile come qualche tempo fa. L’Unione Europea e l’Eurozona non dovrebbero versare lacrime se una tale evenienza si verificasse.

Grecia, peggio di così non si poteva fare

La crisi greca è stata gestita davvero male e ha provocato un notevole aumento dei suoi costi. Ma il caso Grecia mette in luce la debolezza della governance europea e la mancanza di leadership dei governanti. Che si sono mossi sotto la pressione di scadenze elettorali immediate, senza una visione di lungo periodo. Per evitare che si ripetano gli stessi errori, si deve fare un salto di qualità, puntando su un grado di integrazione maggiore dell’attuale. Un primo passo potrebbe essere quello di affidare la gestione delle crisi debitorie a un organismo tecnico e indipendente.

 

La Grecia privatizza. Ma è la cura giusta?

La Grecia annuncia un importante piano di privatizzazioni. Tra l’altro, passerebbero ai privati i porti, compreso quello del Pireo. Il debito del paese dovrebbe così ridursi di circa il 17 per cento. Ma per quanto meritevoli di per sé, riusciranno le privatizzazioni a risolvere il problema della solvibilità della Grecia? Per raggiungere questo risultato, dovrebbero rendere gli enti privatizzati molto più profittevoli rispetto alla gestione pubblica. Ipotesi nella quale i mercati non sembrano credere, almeno per ora.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie dei commenti. È bene chiarire che non si dovrebbe fare alcuna distinzione tra diverse categorie di detentori dei titoli di stato greci destinati a diventare junior rispetto al credito vantato dallo Efsf. Ovviamente non sarebbe tollerabile (e neanche legalmente possibile) danneggiare maggiormente i piccoli risparmiatori. Questi ultimi sarebbero danneggiati al pari delle banche e degli altri investitori istituzionali da un calo del valore dei titoli in seguito al buyback. D’altronde, come spiego nell’articolo, una qualche forma di trasferimento di ricchezza dai detentori di titoli circolanti sul mercato allo stato debitore è necessario, affinché l’operazione sia utile ad alleggerire il peso del debito per la Grecia. La soluzione avanzata nell’articolo (buyback finanziato da un prestito senior da parte dello Efsf) mi sembra la meno traumatica. Può sembrare un intervento forzoso, come osserva un lettore, e in un certo senso lo è, poiché introducendo un nuovo creditore senior (lo Efsf) produce una svalutazione dei titoli in circolazione. Tuttavia l’operazione si baserebbe sulla partecipazione volontaria dei creditori: ciascuno può decidere se vendere i suoi titoli oppure no. Inoltre essa non modifica unilateralmente alcuna caratteristica dei titoli in circolazione: valore facciale, interessi, scadenza. Ciò avrebbe il vantaggio, ad esempio, di non fare scattare la clausola di credit event  nei Cds; probabilmente consentirebbe alla Bce di continuare ad accettare i titoli di stato greci come collaterale nelle operazioni di politica monetaria. Per queste ragioni, la soluzione proposta nell’articolo (leveraged buyback con status di creditore privilegiato dello Efsf) mi sembra preferibile al buyback puro (finanziato dalla stessa Grecia con risorse proprie) e ad altre soluzioni già discusse in lavoce.info.   

SE LA GRECIA FA UN LEVERAGED BUYBACK

La ristrutturazione del debito greco è destinata ad avere pesanti effetti destabilizzanti sui mercati finanziari e sui debitori sovrani periferici. Per contenere al minimo questi effetti, bisogna adottare una soluzione che veda una partecipazione volontaria dei creditori. Qui si suggerisce un riacquisto di parte del proprio debito da parte del governo greco, finanziato da un prestito senior del Fondo europeo di stabilità.

Grecia, l’insostenibile pesantezza del debito

Standard & Poors ha nuovamente declassato il debito greco. Una decisione dovuta al fatto che non sono stati centrati gli obiettivi fiscali. Ma riflette anche il giudizio che il debito greco sia difficilmente sostenibile. Un nuovo prestito da Unione Europea e Fondo monetario servirebbe forse a guadagnare un po’ di tempo, ma non cambierebbe la sostanza delle cose. L’unica alternativa alla ristrutturazione del debito sembra essere una forte ripresa della crescita. I mercati, però, non ci credono.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

La crescita demografica, in particolare della fascia di popolazione a più basso reddito, è certamente uno dei motivi per cui il Pil pro-capite lombardo cresce meno rispetto a quello di altre regioni europee altamente sviluppate. La Lombardia, però, non è l’unica regione a registrare una crescita demografica elevata: tra le regioni che mostrano aumenti di Pil pro-capite elevati, la crescita della popolazione nel periodo 1997-2008 non è stata certo inferiore a quella lombarda (+ 8,3%). Alcuni esempi: Inner London 13,2%, Lussemburgo 16,1%,  Regione di Bruxelles 10,3%, Utrecht 11,3%, Ile de France 7,0%.(1) Si obietterà che queste sono regioni in cui la crescita demografica si alimenta tramite canali diversi rispetto a quelli lombardi. Allora la vera domanda diventa: perché la Lombardia (e l’Italia) non attrae forza lavoro qualificata e in grado di apportare un più alto valore aggiunto alla produzione regionale?

In merito alla crescita del PIL in termini assoluti: è vero che quello lombardo cresce nel periodo considerato (+39,9%), ma meno rispetto alle regioni che nel 1997 mostravano un livello di ricchezza simile: Stuttgart + 45,3%, Utrecht + 76,6%, Bremen + 44,2%, Ile de France + 58%, Stockholm + 58,9%.(2)

In merito alla comparabilità dei dati, è stata utilizzata la suddivisione Eurostat che mira proprio a rendere comparabili tra loro i dati di livello regionale, pur con tutti i limiti e le difficoltà di uniformare 27 sistemi statistici e amministrativi diversi. Sulla metodologia utilizzata da Eurostat rimando qui.

La presenza in Tabella 1 di alcune città dipende dal fatto che le unità statistiche non sempre corrispondono alle unità amministrative. Per fare un esempio: la Stoccolma che appare in Tabella 1 non corrisponde alla municipalità di Stoccolma, che conta circa 800.000 abitanti, ma all’area statistica assimilabile al livello NUTS 2 (quelle delle regioni italiane), la quale conta quasi due milioni di abitanti.  
Una correzione d’obbligo alla figura 1, che compara tra loro livelli territoriali differenti. La figura corretta, che non cambia il ragionamento sul Pil pro-capite, è la seguente:

Figura 1 – Regioni europee – PIL a prezzi correnti – Milioni di euro PPS – Anni 1997-2008

Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat

Infine, restringendo l’analisi alla sola provincia di Milano, nel 2008 il Pil pro-capite di quest’area era pari al 150% della media europea, contro il 184% nel 1997.(3)

(1) Eurostat, elaborazioni su dati Population database.
(2) Eurostat, elaborazioni su dati National accounts database.
(3) Eurostat, PPS per inhabitant.

RIFUGIATI TRA LAMPEDUSA E BRUXELLES *

La recente ondata di rifugiati dal Nord Africa ha creato divisioni all’interno dell’Unione Europea, tra gli stati in prima linea nell’affrontare il problema e quelli che non sono direttamente coinvolti. Manca infatti un meccanismo che permetta di suddividere tra i vari paesi il peso di un afflusso improvviso di migranti. Eppure dalla crisi in Kosovo a oggi, l’Europa ha fatto dei passi avanti. È questo uno dei temi di cui si discuterà a Trento nelle giornate del Festival dell’Economia, a cui parteciperà anche l’autore di questo articolo.

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