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Categoria: Unione europea Pagina 69 di 98

La favola del Pil dopato dei tedeschi

Per giustificare la debole crescita italiana si ricorre addirittura all’ipotesi che l’Istat tedesca abbia tenuto bassi i dati dell’inflazione per dopare il Pil tedesco. E’ un evento molto improbabile. In un mondo ancora poco globale non è così strano che i prezzi siano aumentati di più in Italia che in Germania per un lungo periodo di tempo. Rassegniamoci all’idea che cambiare il metodo di misurazione non è una soluzione al problema della crescita.

DEBITO PIÙ CARO DOPO GLI STOP TEDESCHI

E’ difficile immaginare un intervento più inappropriato e intempestivo di quello dell’autorità di vigilanza tedesca che impone il divieto di vendite allo scoperto. Il risultato finale è che le imprese del settore finanziario pagheranno più caro il loro debito. Stesso ragionamento per i titoli di stato emessi da paesi europei. La speculazione non è la causa della crisi, ma se si vuole attaccarla, meglio farlo senza discrezionalità e in modo trasparente: si tassino le vendite allo scoperto, i Cds nudi o vestiti. Almeno, il costo sarà immediatamente chiaro.

UN FONDO NON RISOLVE LE CRISI

L’idea di tassare il settore finanziario riscuote un successo crescente. Sembra un modo conveniente per accantonare le risorse per sostenere il costo della prossima crisi. Invece si crea una promessa implicita di salvataggio. Per limitare le perdite dei fallimenti bancari è meglio imporre ai supervisori di intervenire con adeguate azioni correttive non appena il capitale di una banca scende al di sotto di soglie prestabilite. E se non può essere ricapitalizzata, allora deve essere riorganizzata, direttamente dall’autorità di supervisione.

L’IMMOBILISMO CHE COSTA CARO

L’Europa si trova ad affrontare contemporaneamente tre sfide: politica fiscale, competitività e fragilità del sistema bancario. Proprio il timore che la crisi si propagasse alle banche di tutta la zona euro ha indotto l’Unione Europea e la Bce ad approvare il piano di salvataggio della Grecia, senza arrivare alla ristrutturazione del debito. Ma serve una pulizia generale che permetta di accettare anche l’eventualità di un default di debito sovrano. Metterebbe anche le basi per creare un sistema credibile di supervisione di livello europeo, sempre più indispensabile.

PAROLA D’ORDINE: STABILITÀ

Una crisi bancaria tende a diventare una crisi del debito sovrano e viceversa. Una legge che vale anche nel caso della Grecia e degli altri paesi a rischio. Per l’area euro si tratta di una sfida del tutto particolare perché ha un mercato bancario integrato, ma il debito sovrano resta nazionale. E utilizzare la Bce per sostenere i paesi in difficoltà significa solo rendere molto più grave il problema. Sempre più urgente la creazione di un Fondo europeo. I fondi messi a disposizione per il meccanismo di stabilizzazione potrebbero rappresentare il suo capitale iniziale.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringrazio tutti per gli interventi. Difficile rispondere in dettaglio a tutti, anche perché in vari casi non c’è alcuna domanda ma solo affermazioni — a volte un po’ apodittiche. Cerco di rispondere almeno ad alcuni.
Roberto Corsini propone in modo semi-serio un’imposta sul patrimonio per ridurre drasticamente il debito. Ha ragione: insieme alla ripresa della crescita, quello è l’unico modo per ridurre l’enorme debito pubblico italiano in modo significativo. Ma occorre un grande clima di solidarietà sociale e di fiducia verso la leadership politica perché questo accada, ovvero per usare le sue parole occorre potersi fidare.
Non sono però d’accordo con lui (anche se capisco l’intento ironico delle sue parole) sul fatto che a parte questo si possa continuare a evadere le imposte e rubare come ora (e in passato): il debito pubblico ricomincerebbe a crescere inesorabilmente, vanificando gradualmente lo sforzo realizzato con l’imposta patrimoniale. Il nostro debito di oggi, a oltre il 120% del PIL, è in buona parte che la somma di tutte le imposte evase e di tutte le tangenti e ruberie degli scorsi decenni, con l’aggiunta degli interessi, naturalmente. Se non si allarga seriamente la base imponibile (combattendo l’evasione fiscale e vietando definitivamente i condoni, magari con una norma costituzionale), saremo sempre punto e daccapo con problemi di sostenibilità fiscale.
Combattere seriamente l’evasione fiscale avrebbe anche l’effetto di riequilibrare la distribuzione del reddito e della ricchezza, che come giustamente da notare Paolo Serra in questi ultimi decenni sisquilibrata a favore dei ceti più abbienti: niente di più regressivo dell’evasione fiscale e dei condoni a cui abbiamo assistito in questi decenni, soprattutto considerando che il lavoro dipendente è l’unico a non evadere le imposte. Fra l’altro, l’evasione fiscale massiccia dei ceti abbienti è uno dei motivi centrali della stessa crisi greca.
Massimiliano Claps solleva un punto molto importante: il rischio che una massiccia manovra simultanea di "rientro" fiscale in tutte le economie deboli dell’area euro possa stroncare la ripresa. E’ una preoccupazione molto giusta, e credo che sia una domanda che si stanno ponendo in tanti. In parte, l’effetto recessivo della manovra di rientro fiscale dei paesi deboli potrebbe (e dovrebbe) controbilanciata da un’espansione da parte delle economie relativamente) forti. Anche in questo sarebbe cruciale un vero coordinamento europeo delle politiche fiscali. Purtroppo la Germania non sembra intenzionato a farlo, in parte perché non sembra aver capito che deve sviluppare una leadership politica corrispondente al suo peso economico nella UE.
Un’altra lucina di speranza viene dal fatto che non sempre il consolidamento fiscale ha effetti recessivi: anzi, proprio quando segnala un netto cambiamento di regime in direzione di una maggior "rettitudine" fiscale e sostenibilità della finanza pubblica, può paradossalmente avere effetti espansivi. E’ già successo, e lo abbiamo documentato in vari studi (F. Giavazzi e M. Pagano, “Can Severe Fiscal Contractions be Expansionary?  Tales of Two Small European Countries” NBER Macroeconomics Annual, 1990, e “Non-Keynesian Effects of Fiscal Policy Changes: International Evidence and the Swedish Experience”, Swedish Economic Policy Review, Vol. 3, 1, 1996; F. Giavazzi, T. Jappelli e M. Pagano, “Searching for Non-Linear Effects of Fiscal Policy”, European Economic Review, Vol. 44, giugno 2000, e “Searching for Non-Monotonic Effects of Fiscal Policy: New Evidence”, Monetary and Economic Studies, ottobre 2005).
Antonio Aghilar indica una forte inflazione come un rimedio. Certamente un po’ di inflazione in più (se inattesa) aiuterebbe un po’ le finanze pubbliche di un paese come il nostro, e probabilmente ci sarà se la BCE inizia davvero a comprare titoli di Stato dei paesi deboli dell’area dell’euro. Ma non illudiamoci che questo possa sostituire la disciplina fiscale. Dopo un po’ i tassi di interesse si adegueranno riflettendo la maggiore inflazione. Per inciso, in risposta a Francesco De Simone: i tassi non possono che salire dal bassissimo livello attuale, sotto la spinta congiunta delle aspettative di inflazione e i dubbi sull’andamento delle finanze pubbliche… se, come scrive Franco Debenedetti, dobbiamo avere "fieri dubbi sulla possibilità che i governi adottino politiche (di rientro fiscale) e i paesi le accettino con chiarezza."
Infine, a chi propone di abbandonare la costruzione europea e di ritornare all’Europa degli Stati e staterelli, faccio osservare che attualmente quel poco che contiamo sulla scena internazionale dipende in buona misura dal fatto di essere riusciti a costruire l’Unione Europea, sia pure in modo tuttora molto imperfetto e squilibrato. E a chi si lamenta delle conseguenze della moneta unica, rispondo con le parole di uno di voi (Giampaolo): "L’euro è una stata un’opportunità per migliorare, sono trascorsi dieci anni, non è colpa della moneta se non abbiamo sfruttato i bassi tassi di interesse per ‘mettere ordine’ in casa e ora sono arrivati i momenti critici." Ora siamo costretti a mettere ordine in casa se non vogliamo che l’opportunità per migliorare scompaia definitivamente!

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Molte grazie ai lettori per i commenti e per il tentativo di dibattito auto-regolamentato stile blog che è purtroppo non proprio adatto al format del nostro sito.
Una maggioranza relativa dei lettori prevede che la Grecia uscirà dall’euro o almeno condivide l’idea di far uscire la Grecia (o di consentirne un’uscita parziale, convertendo in dracme una parte del debito greco) come modo per risolvere i problemi attuali. Per due ragioni principali: i governi greci non hanno rispettato i vincoli e le regole di contabilità fiscale e i privati si sono arricchiti con l’immobiliare dopo aver omesso di dichiarare i loro redditi. Ricordo però che il problema di oggi non è tutta colpa dei greci. Il caso greco ha fatto da cartina di tornasole per far emergere alcuni problemi irrisolti nel funzionamento dell’Unione monetaria. La mia preferenza va ad una soluzione che preveda di dare un’altra possibilità ai greci, magari in un quadro di medio-termine di nuove regole di funzionamento dell’Unione che leghi l’andamento di deficit e debiti in modo più diretto e introduca sanzioni più efficaci (la sospensione temporanea del diritto di voto) rispetto a quelle che sono rimaste non applicate durante i primi anni di vita dell’Emu. La predisposizione di un fondo di stabilizzazione dell’unione – avvenuta durante il week-end dell’8-9 maggio – sembra andare in questa direzione e infatti le Borse hanno risposto bene. Ma per evitare altri casi come la Grecia, bisognerà cambiare il trattato di Maastricht, il che sarà necessariamente più complicato. Passata la buriana, il consenso per i cambiamenti evaporerà e saremo da capo con la navigazione a vista. Con nuovi pericoli per la stabilità dell’euro, derivanti dal cambiamento strisciante della missione della Bce.
Qualcun altro mette in luce che in termini di moralità pubblica le somiglianze tra Italia e Grecia sono più di quante ci piacerebbe ammettere. Questo è rilevante perché ci renderebbe quasi inadatti ad importare il modello del welfare europeo che, da noi, diventerebbe quasi necessariamente un modello in cui sono riconosciuti i diritti di tutti e i doveri di nessuno. E’ un modo di dire che l’ambito pubblico (all’interno del paese e all’estero) per paesi come la Grecia e l’Italia è condannato al Tanto Paga Pantalone. Non è sempre e necessariamente così. Ci sono tanti casi di buon governo e di civismo anche in Italia e in Grecia. Fanno un po’ fatica a farsi strada, questo è vero.
Per l’Italia la strada di sospendere il pagamento degli interessi sul debito non è praticabile. E’ del tutto equivalente a fare default sulla restituzione dello stock di debito e si tradurrebbe in un’esclusione dal mercato dell’emissione di nuovo debito come è successo ai paesi latino-americani o, come minimo, in un aumento del costo dell’indebitamento futuro.
Alcuni lettori propongono elementi politico-strategici difficili da valutare su un periodo di tempo breve come quello di una crisi finanziaria. Mi sembra condivisa l’idea che, sotto sotto, ci sia un complotto di pochi che ci guadagnano, quelli che fanno insider trading beneficiando della conoscenza anticipata delle fluttuazioni dei cambi o gli americani che vogliono segnalare alla Cina che è meglio investire nell’area del dollaro. Per rimediare alcuni chiedono di chiudere le agenzie di rating. Sul Sole 24 Ore di domenica 9 maggio (pag. 8) c’era un articolo interessante che mostrava l’elevata profittabilità delle Big Three (Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch) e il loro azionariato diffuso, che contrasta con l’idea di un complotto. Le teorie del complotto partono solitamente dal presupposto inquietante che ci sia qualcosa di nascosto che sfugge a tutti e ci fa muovere come burattini. Magari sono teorie vere. Io non ci credo, soprattutto perché sono difficili da verificare. Se esiste una teoria alternativa basata su qualche elemento osservabile e che esclude un complotto, ammetto di propendere per quella teoria. Ma è una mia preferenza personale.
Infine, nelle risposte ai commenti di solito non parlo dei singoli (come Trapattoni). Ma devo fare un’eccezione per il commento di francocordiale che comincia con una frase che non dimenticherò: “Non essendo un economista, ragiono in termini di buon senso”. E pensare che invece, in varie occasioni, ho tentato di “vendere” la microeconomia agli studenti del primo anno con la frase: “Vedrete, la microeconomia non è difficile, è in molti casi una esposizione grafica e analitica del buon senso”.

IL PECCATO ORIGINALE DELL’AREA EURO

Per molti anni, i paesi dell’area euro hanno preso a prestito emettendo titoli denominati nella valuta comune. Che sembrava produrre una difesa automatica dai problemi associati con il “peccato originale”, mettendo i grandi debitori al riparo dai movimenti del cambio. Non è più così. Non solo l’Europa nel suo complesso, ma anche i paesi forti si avvantaggerebbero da una ripresa di investimenti e spesa. Rimane il problema di come renderla possibile, in una situazione di logoramento fiscale diffuso dopo ventiquattro mesi di crisi e parecchie ombre sui segnali di ripresa.

UN PIANO BRADY TARGATO EUROPA

I mercati hanno emesso il loro verdetto: la Grecia non può pagare il suo debito. I vari programmi di aggiustamento hanno dunque basse probabilità di successo. Meglio ristrutturare il debito greco. Magari seguendo l’esempio del piano Brady predisposto per i paesi emergenti alla fine degli anni Ottanta. Francia e Germania potrebbero assumersi l’onere di garantire nuovi titoli che permetterebbero alla Grecia di ridurre l’onere del debito e allo stesso tempo di ritornare su un sentiero di crescita sostenibile e sostenuta. Sarebbe un modello anche per il futuro.

MA IL DIVORZIO C’È GIÀ STATO

L’intervento più importante deciso questo fine settimana riguarda la decisione della Bce di acquistare sul mercato secondario i titoli di stato di Portogallo e Spagna, a condizione che questi paesi adottino programmi adeguati di rientro del debito. E’ una decisione senza precedenti, coerente con il Trattato (che impedisce alla Bce di comprare i titoli direttamente dai Governi, ma non di operare sul mercato secondario) e che può riuscire a scoraggiare chi investe sul default di questi paesi. La cosa importante è che tale intervento appaia come selettivo (solo alcuni mercati) e operato ex-ante (in modo da non sembrare un bailout ex-post). Deve quindi essere la Bce ad annunciare questo intervento, mostrando autonomia dai governi nella conduzione della politica monetaria. Per ragioni che ci risultano oscure il nostro Presidente del Consiglio, ha invece deciso di dare lui l’annuncio venerdì sera presentandolo come una decisione del vertice dei capi di governo dell’Eurogruppo di venerdì 7 maggio, ponendo in grave imbarazzo la Bce. A questo punto ai vertici della Banca Centrale Europea non è rimasto che smentire Berlusconi. Quello che doveva diventare un annuncio importante per rassicurare i mercati si è tradotto in una gaffe molto pericolosa per la credibilità che un’istituzione relativamente giovane come la Bce sta faticosamente acquistando sul campo. Il comportamento del nostro Presidente del Consiglio si può spiegare solo come smania di protagonismo e come basato sulla convinzione che la Banca centrale sia al servizio dei governi. Sappiamo che il riferimento ai divorzi in questo momento non è del tutto gradito al nostro Presidente del Consiglio, ma il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro si è consumato nel 1982. Non è proprio il momento di tornare indietro.

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