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Categoria: Unione europea Pagina 72 di 100

IL PECCATO ORIGINALE DELL’AREA EURO

Per molti anni, i paesi dell’area euro hanno preso a prestito emettendo titoli denominati nella valuta comune. Che sembrava produrre una difesa automatica dai problemi associati con il “peccato originale”, mettendo i grandi debitori al riparo dai movimenti del cambio. Non è più così. Non solo l’Europa nel suo complesso, ma anche i paesi forti si avvantaggerebbero da una ripresa di investimenti e spesa. Rimane il problema di come renderla possibile, in una situazione di logoramento fiscale diffuso dopo ventiquattro mesi di crisi e parecchie ombre sui segnali di ripresa.

MA IL DIVORZIO C’È GIÀ STATO

L’intervento più importante deciso questo fine settimana riguarda la decisione della Bce di acquistare sul mercato secondario i titoli di stato di Portogallo e Spagna, a condizione che questi paesi adottino programmi adeguati di rientro del debito. E’ una decisione senza precedenti, coerente con il Trattato (che impedisce alla Bce di comprare i titoli direttamente dai Governi, ma non di operare sul mercato secondario) e che può riuscire a scoraggiare chi investe sul default di questi paesi. La cosa importante è che tale intervento appaia come selettivo (solo alcuni mercati) e operato ex-ante (in modo da non sembrare un bailout ex-post). Deve quindi essere la Bce ad annunciare questo intervento, mostrando autonomia dai governi nella conduzione della politica monetaria. Per ragioni che ci risultano oscure il nostro Presidente del Consiglio, ha invece deciso di dare lui l’annuncio venerdì sera presentandolo come una decisione del vertice dei capi di governo dell’Eurogruppo di venerdì 7 maggio, ponendo in grave imbarazzo la Bce. A questo punto ai vertici della Banca Centrale Europea non è rimasto che smentire Berlusconi. Quello che doveva diventare un annuncio importante per rassicurare i mercati si è tradotto in una gaffe molto pericolosa per la credibilità che un’istituzione relativamente giovane come la Bce sta faticosamente acquistando sul campo. Il comportamento del nostro Presidente del Consiglio si può spiegare solo come smania di protagonismo e come basato sulla convinzione che la Banca centrale sia al servizio dei governi. Sappiamo che il riferimento ai divorzi in questo momento non è del tutto gradito al nostro Presidente del Consiglio, ma il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro si è consumato nel 1982. Non è proprio il momento di tornare indietro.

ORA NON AGGIUNGIAMO MIOPIA ALLA MIOPIA

Sta accadendo quello che la Germania aveva sempre temuto. Proprio uno dei famigerati paesi mediterranei sta mettendo a repentaglio la stabilità dellÂ’euro. Ma è ovvio che la responsabilità non è di un solo paese: il contagio sta accelerando a causa della miopia della politica economica europea. La mancanza di una procedura automatica di gestione delle crisi del debito sovrano sta facendo da volano della crisi: in queste fasi, niente è peggio della discrezionalità per incendiare i mercati. Questa procedura sarebbe tanto più necessaria visto che nellÂ’Ume manca unÂ’autorità fiscale sovranazionale. Il maxi fondo di salvataggio è solo un second best. Anche l’Europa sta avendo quindi la sua “crisi subprime”. Oggi le banche europee sono piene di titoli portoghesi, spagnoli e greci, esattamente come erano piene ieri di titoli derivati riferiti a pagamenti di mutui immobiliari. Il tutto si spiega con la debolezza dellÂ’architettura fiscale della moneta unica. Si voleva far credere che i titoli del debito di tutti i paesi dell’ Ume fossero tra loro perfettamente sostituibili. Si dirà: ma i mercati ci hanno creduto, vista la quasi stupefacente convergenza dei tassi di interesse a lungo termine in Europa. In realtà, questa convergenza si poggiava su una contraddizione. Le autorità europee (compresa la Bce) ripetevano alla noia che il bailout di uno stato sovrano sarebbe stato incompatibile con il Trattato. Ma è evidente a tutti che una convergenza dei tassi poteva aversi solo in presenza di una aspettativa diversa, di investitori convinti che i paesi dell’Euro erano al riparo dal rischio di un ripudio del debito sovrano, pur sapendo che i titoli del debito greco non potevano equipararsi ai Bund tedeschi. In pratica, la UE e la Bce mandavano ai mercati un segnale schizofrenico: evviva la convergenza sui tassi che si fonda su una ragione (quella del bailout) che in realtà noi dichiariamo essere incompatibile con lÂ’esistenza stessa della moneta unica (!). Nessuno in Europa ha mai voluto risvegliare i mercati da questa placida ma pericolosa aspettativa.
Se non si vuole aggiungere miopia ad altra miopia bisogna adesso progettare meccanismi automatici di gestione della crisi del debito e forme di coordinamento delle politiche fiscale e sanzioni politiche automatiche (come la riduzione dei voti a livello europeo) ai paesi che non rispettano i patti.

CRISI FISCALE, CONTAGIO E FUTURO DELL’EURO

Nel maggio 2010, il nostro sito ha pubblicato questo intervento sulla crisi fiscale, il contagio tra paesi e il deprezzamento dell’euro. A distanza di un anno, purtroppo le preoccupazioni emerse nel 2010 sono divenute se possibile ancora più pressanti, e le considerazioni fatte allora restano attuali. Crisi fiscale, contagio, collasso della moneta unica: potrebbe diventare uno tsunami ben peggiore di quello dei mutui subprime. Ma il modo per arginarlo c’è, rafforzando le strutture comunitarie e sovranazionali. Trasformando la crisi in un’occasione storica per l’Europa.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo i lettori per i loro commenti. Non ci è possibile entrare nel merito di ognuno di essi. Piuttosto, vale la pena cercare di capire – come qualcuno chiede – come mai i mercati finanziari abbiano reagito così male all’accordo di domenica 2 maggio. Crediamo che le ragioni siano molteplici. Il ritardo e le esitazioni con cui si è arrivati al risultato di domenica hanno giocato un ruolo: hanno dimostrato un scarsa determinazione dei governi ad arrivare ad una soluzione, minando la fiducia dei mercati nella reale volontà politica di venire incontro alla Grecia nel superare le sue difficoltà attuali (di cui nessuno nega che la principale responsabilità ricada sui Greci stessi). Il fatto che i governi europei continuino ad avere scarsa fiducia nella capacità della Grecia di uscire dalla crisi è testimoniata dalle severe condizioni alle quali è stato concesso il prestito (scadenze, rate, condizionalità rispetto alle misure correttive di finanza pubblica, tasso d’interesse al 5%). Inoltre, la situazione politica e sociale in Grecia è assai difficile in questi giorni; peraltro non si poteva pensare che misure così impopolari potessero passare senza contrasti. I mercati si stanno quindi domandando se il governo greco sarà davvero in grado di mantenere i suoi impegni; in caso contrario, l’aiuto europeo sarebbe destinato ad essere ritirato, con tutte le prevedibili conseguenze.
Vi è poi una considerazione più ampia. Indipendentemente dalle sorti della Grecia, i mercati si stanno domandando se altri paesi dell’area euro (Portogallo, Spagna, Italia, Irlanda) siano in una situazione di insostenibilità delle finanze pubbliche, e quindi esposte ad attacchi speculativi. Nello scenario peggiore, un attacco generalizzato a questi paesi non potrebbe essere risolto con un piano di aiuti simile a quello predisposto per la Grecia, per un’evidente ragione di dimensione del problema. I fondamentali di questi paesi sono migliori di quelli della Grecia. Tuttavia, a questo punto, uno scenario di panico non può essere del tutto escluso. Speriamo di non assistervi.    

LA SOLUZIONE È NEL FONDO

L’articolo 125 del Trattato svolge un ruolo fondamentale: vieta qualsiasi aiuto a un governo che non possa far fronte ai suoi obblighi e indica chiaramente che le difficoltà finanziarie di un paese devono restare un problema locale. Con la crisi greca il Patto di Stabilità ha invece dimostrato ancora una volta la sua inefficacia. Per uscire da questa grave situazione, l’Unione deve rispettare la clausola di non-salvataggio e imporre finalmente la disciplina di bilancio. E la Grecia può ricorrere al Fondo monetario internazionale per ristrutturare il suo debito.

PERCHÉ I PIGS NON ESISTONO

Centodieci miliardi di finanziamenti per non fallire e 48 ore di sciopero proclamato dai dipendenti pubblici: la Grecia di oggi sembra non avere imparato la lezione. Tra gli altri paesi considerati a rischio di contagio soltanto il Portogallo è in una situazione di difficoltà paragonabile a quella dei greci. A guardarli con attenzione ad uno ad uno, ci si potrebbe accorgere che i Pigs non esistono davvero.

HA VINTO IL BUON SENSO

L’accordo di domenica 2 maggio evita un arretramento storico del processo di integrazione europea. Non sarà perfetto, ma dà alla Grecia una possibilità di risanare la finanza pubblica, evitandole di continuare a pagare un altissimo prezzo per finanziarsi sui mercati. Sembra scongiurata anche l’eventualità di una disgregazione dell’area euro. E la Bce può ora accettare i titoli di stato greci come garanzia nelle operazioni di finanziamento, indipendentemente dal rating, evitando una grave crisi di liquidità delle banche greche.

SE LA CRISI DI ATENE ENTRA IN BANCA

Lungi dall’essere risolta, la crisi greca ha messo a nudo tutte le debolezze della costruzione monetaria europea. Una volta messo in moto, il processo di integrazione comporta una serie di costi, oltre che di importanti benefici. Ma tornare indietro sarebbe molto rischioso e costoso. Meglio dunque andare avanti fino a quando l’Europa sarà un vero stato federale. Solo allora si potrà considerare la Grecia alla stregua di Los Angeles, che non ha banche né depositanti da salvare, ma solo un bilancio da sanare.

SALVIAMO LA GRECIA. DA SE STESSA

Il governo greco ha chiesto all’Unione Europea e all’Fmi di attivare i 45 miliardi di aiuti concordati. Ma è ancora possibile salvare a Grecia? E quanto costerebbe? Lasciato a se stesso, il paese è condannato al ripudio del debito pubblico. Eppure, la crescita del debito è in larga misura dovuta alla spesa per gli interessi e l’apertura di linee di credito internazionali potrebbero migliorare le cose. E non costerebbe neanche molto. Dopo il primo anno di aiuti, però, si dovrebbe lasciare la Grecia al proprio destino, preparando una ristrutturazione ordinata del debito.

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