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Categoria: Unione europea Pagina 91 di 98

Quando l’Europa non è più di moda

Dopo l’ingresso ufficiale nella Ue, i tre grandi paesi dell’Europa centrale hanno iniziato a seguire politiche fiscali meno rigorose, anche per l’imminenza di elezioni nazionali. Il rischio è di una deriva populista che porti a una spirale deficit pubblico-inflazione-deprezzamento del cambio-servizio del debito sempre più alto. Impraticabile un’adesione rapida all’euro, saranno i mercati internazionali dei capitali a impedire l’adozione di politiche scellerate. Ricordando però che il mercato provoca aggiustamenti bruschi e spesso traumatici.

Le pensioni nel Patto

Le riforme strutturali non possono più essere rinviate. Il Patto di stabilità e crescita puo’ essere un ostacolo alla loro realizzazione perché molte riforme, soprattutto quelle pensionistiche, costano nel breve periodo e pagano nel lungo. Secondo Boeri e Tabellini, nel rivedere il Patto e’ utile introdurre nuovi parametri oggettivi che tengano conto di questi benefici di lungo periodo, come il debito implicito dei sistemi pensionistici. Vito Tanzi, tuttavia, osserva tuttavia che nei paesi che hanno attuato importanti riforme negli ultimi anni il livello della spesa pubblica si è sempre ridotto. Perché spesso la spesa improduttiva è tale da consentire drastiche “cure dimagranti”. Segue la controreplica degli autori.

Una riforma per due

Il Patto di stabilità e crescita e l’agenda di Lisbona vanno rivisti. Il Patto resta uno strumento essenziale di coordinamento delle politiche fiscali, ma in questo momento prevalgono i suoi effetti recessivi. Al contrario, perseguire gli obiettivi di Lisbona avrebbe ricadute favorevoli sull’attività e sui conti pubblici di tutti i paesi. Mancano però gli incentivi. I due programmi dovrebbero essere legati più strettamente, concedendo margini più generosi nella valutazione delle politiche di bilancio ai paesi che attuano le riforme di struttura.

Nessun brindisi per il nuovo Patto

Nasce un nuovo Patto di stabilità e crescita. Il rischio è che sia così flessibile da non essere mai applicato. Mentre i debiti pubblici dei paesi europei sono già elevati e continueranno a crescere se non si adottano misure per eliminare la distorsione sul deficit di cui soffrono i governi. Per farlo non è però necessaria l’uniformità. Il Patto deve allora diventare un accordo formale per costruire istituzioni nazionali capaci di varare politiche di bilancio virtuose. E, come guardiano del Trattato, la Commissione dovrebbe vigilare sui progressi.

Un Patto più “intelligente” *

La Commissione ha presentato alcune ipotesi per una revisione del Patto di stabilità e crescita. Si sviluppano lungo due assi: la maggiore attenzione alla sostenibilità delle finanze pubbliche e il ruolo da assegnare alla congiuntura economica. Il Trattato rimane pienamente valido e l’impianto del Patto di stabilità non viene messo in discussione. E il nuovo approccio non è più punitivo per i paesi ad alto debito, ma crea incentivi per politiche fiscali sane in periodi di alta crescita.

Al Caffè de la Paix

Le leggi che regolano il consumo di alcol influenzano lo sviluppo delle città. Dove sono più rigide, come nei paesi anglosassoni, i sobborghi si ampliano in modo incontrollato. Nella più liberale Europa continentale, invece, i centri cittadini restano più densi. Perché bar e ristoranti all’aperto li rendono più piacevoli e nello stesso tempo esercitano una funzione di controllo sociale. Mentre in America e Inghilterra i diritti di proprietà sulle strade si sono spostati dai locali pubblici alle automobili dei pendolari.

Un premio a chi vota di più

Per rispondere al “mal d’Europa” messo in evidenza dalla scarsa partecipazione al voto nelle ultime Europee, si può pensare a un nuovo meccanismo di attribuzione dei seggi al Parlamento europeo, capace di legare la rappresentanza all’affluenza alle urne. Ogni paese sarebbe così indotto a mobilitare i propri cittadini in un’ampia partecipazione al processo di integrazione politica dell’Europa. Tematiche europee e ruolo delle istituzioni comunitarie acquisterebbero un maggior rilievo nel dibattito nazionale.

L’agenda di Lisbona e il presidente portoghese

Il presidente Durão Barroso, non appena la nuova Commissione europea sarà insediata, dovrà dedicare molta attenzione al compito di ridare ordine e coerenza alle politiche economiche dell’Unione europea. Si dovrebbe abbandonare la cosiddetta “agenda di Lisbona” per dare maggior spazio al coordinamento delle politiche macro-economiche e assegnare priorità assoluta al completamento del mercato interno dell’Unione.

Pac, è vera riforma?

Nonostante le indiscutibili riforme apportate negli anni Novanta, il flusso di trasferimenti dai cittadini europei generati dalla Pac verso i produttori agricoli per unità di lavoro non cala. In ogni caso, anziché accontentarsi del miglioramento recente, i politici europei dovrebbero darsi da fare per ridurre drasticamente sussidi che portano a uno sviluppo tuttora patologico, con notevoli sprechi di risorse. Una situazione che ora si estende ai nuovi paesi Ue. Ma ciò che davvero stupisce è che nessuno si senta in dovere di discutere della Pac e di spiegare almeno i suoi paradossi più evidenti.

Europei oziosi?

Gli europei lavorano meno degli americani? E gli italiani meno degli altri lavoratori europei? Perchè ci sono differenze così grandi fra paesi in termini di ore lavorate? Si tratta di attitudini che rendono i lavoratori di alcuni paesi più “pigri” che in altri stati, oppure di istituzioni che tengono fuori dal mondo del lavoro molte persone?  Mentre in Francia si abbandonano le 35 ore e in Germania si raggiungono accordi aziendali che prevedono un incremento degli orari di lavoro, riproduciamo per i nostri lettori gli interventi di Olivier Blanchard, Tito Boeri, Michael Burda, Jean Pisani-Ferry, Guido Tabellini, Charles Wyplosz e una scheda di Domenico Tabasso.

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