Il nuovo regolamento comunitario sulle fusioni tra imprese interviene su questioni importanti come la giurisdizione, i tempi delle procedure e i poteri di indagine della Commissione. Soprattutto, ridefinisce i criteri di ammissibilità , sulla falsariga di quelli americani. Si tratta di una riforma profonda e le incertezze applicative che ne deriveranno dovranno essere risolte in modo da favorire la capacità delle aziende europee di competere sui mercati internazionali e dunque il superamento del nanismo industriale che ancora caratterizza molti settori.
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Per rilanciare la crescita dell’Italia viene spesso indicato come esempio da seguire il modello spagnolo. Ma proprio la Spagna insegna che una strategia basata su poco Stato e un’accelerata liberalizzazione del mercato del lavoro non genera un aumento duraturo della produttività , il vero motore della crescita. Meglio allora guardare più a Nord, all’esperienza finlandese. Dove si è riusciti a produrre innovazione utilizzando la spesa pubblica per finanziare riforme capaci di garantire i giusti incentivi per investire e fare ricerca.
Invocare una sterzata decisa alle politiche macroeconomiche per uscire dalla mini-recessione è utopistico. Possono forse stimolare l’economia nel breve periodo, ma pagandone i costi nel medio. Si dovrebbe invece preparare il terreno ottimale per l’aumento della produttività del settore privato. I governanti europei dovrebbero preoccuparsi di varare riforme strutturali, con un piano serio e concreto che ne limiti le ricadute sulle fasce sociali più deboli, anziché criticare la Banca centrale europea o fantasticare sugli investimenti pubblici.
Dopo il voto in Spagna, potrebbero aprirsi nuovi scenari anche per l’Unione europea, con una ripresa delle trattative sulla bozza di Costituzione. Ma il fallimento della Conferenza intergovernativa non può essere ricondotto solo a una partita a quattro: Madrid e Varsavia contro Berlino e Parigi. Piuttosto, è mancata allora una comune visione politica del futuro dell’Europa. E se la scelta integrazionista resta una strada obbligata per Germania e Francia, la definizione di uno nocciolo duro di paesi disponibili da subito a una maggiore integrazione non è affatto scontata.
Come da rituale, i capi di Governo riuniti a Bruxelles scoprono che l’Europa è ancora ben lontana dal diventare il continente più competitivo del pianeta. Perché le scelte politiche dei singoli paesi sono spesso in contrasto con gli obiettivi fissati nel 2000. Non tutti per esempio vogliono un aumento del tasso di occupazione perché implica tagliare i privilegi di alcuni. Così come è un errore limitare l’arrivo di lavoratori dai nuovi paesi membri. Se l’obiettivo è aumentare le ore lavorate, meglio aprire i flussi invece di chiedere agli italiani di ridurre le ferie.
L’economia italiana continua a perdere colpi. Il nuovo miracolo economico ipotizzato a inizio legislatura è tramontato presto, di fronte alla virtuale stagnazione del Pil dal secondo trimestre del 2001 a oggi. Ma il rischio attuale è di perdere anche la possibilità che sia la ripresa dell’economia internazionale a risollevare le sorti della nostra. Infatti, mentre per Stati Uniti ed Europa i dati sono rassicuranti, quelli italiani del primo trimestre del 2004 non promettono nulla di buono. E le previsioni di crescita del Governo potrebbero rivelarsi del tutto irrealistiche.
La protezione del made in Italy è una questione decisamente importante per il sistema industriale italiano. Difficile riuscirci con norme che hanno efficacia solo sul territorio nazionale. Tanto più se non distinguono tra prodotti alimentari e industriali e se per questi ultimi cedono alla tentazione anacronistica di ricercare quelli esclusivamente realizzati nel nostro paese. Una soluzione efficace si può trovare solo con accordi multilaterali che stabiliscano una disciplina comune e un riordino generale del coacervo di disposizioni oggi esistenti
Un’analisi dei dati mostra che senz’altro l’acquisizione di Telecom Serbia è stata un pessimo affare. Ma è un giudizio facile da dare con il senno di poi. Nel 1997, l’operazione sembrava congrua con l’andamento del mercato delle telecomunicazioni. E non differiva in nulla dagli accordi conclusi in quel periodo da molti altri soggetti. Il contribuente italiano, poi, ci ha rimesso ben poco. Diverso naturalmente il discorso per gli azionisti di Telecom.
L’impegno preso a Lisbona di fare dell’Europa la più competitiva economia del mondo basata sulla conoscenza richiede un profondo ripensamento del sistema universitario. Da fondare su tre punti chiave. Una maggiore competitività tra università basata sulla reputazione, un autogoverno degli atenei in linea con gli obiettivi della società e una struttura di incentivi che sappia premiare l’impegno dei docenti. In tutto ciò resta decisivo il ruolo del settore pubblico
Necessario rendere il Patto di stabilità allo stesso tempo “più flessibile e più rigoroso”. Lo si può fare con qualche modifica istituzionale che permetta di creare istituti nazionali indipendenti per il controllo delle politiche fiscali, un Ecofin dell’area euro e la nascita di fondi volontari, cui attingere nei periodi di scarsa crescita. E per i paesi con basso debito potrebbe essere prevista qualche deroga al limite del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil. Il ruolo di controllo sarebbe poi affidato a una rete composta da Commissione europea e autorità nazionali indipendenti.