In un fase difficile per le famiglie italiane come questa di alta disoccupazione e grave ristagno economico, tra gli obiettivi più importanti c’è quello di aumentare il lavoro retribuito delle donne, tra i più bassi d’Europa e senza il quale oggi le famiglie non riescono a far quadrare il bilancio. Abbiamo già commentato come i tagli dell’organico della scuola abbiano avuto un impatto negativo sull’occupazione femminile sia direttamente che indirettamente e sulla crescente difficoltà di rientro al lavoro per le mamme. Il secondo obiettivo cruciale è investire nell’istruzione a tutti i livelli, ma soprattutto nelle prime fasi del ciclo di vita dei bambini, periodo essenziale per gli esiti cognitivi futuri. I recenti rapporti internazionali e i dati Pisa mostrano che i bambini italiani vanno meno bene a scuola che in altri paesi avanzati (siamo al quartultimo posto per i risultati nei test di scienze e matematica PISA 2006, e al sestultimo per quelli di lettura) e che la spesa in istruzione pubblica è del 15-20 per cento più bassa rispetto alla media dei paesi Ocse. La proposta di riorganizzare la calendarizzazione scolastica che ritarda ulteriormente il tempo di scuola rispetto ad altri paesi Europei (per esempio sia in Francia che in Inghilterra l’anno scolastico inizia nei primi due giorni di settembre e finisce a luglio) mette in maggiori difficoltà le famiglie. Quanto meno vogliamo spendere per l’istruzione dei nostri figli? Chi beneficerà dell’incremento del tempo per gioire delle vacanze estive? Andiamo forse nella direzione di un progetto di home schooling in cui le mamme staranno a casa ad insegnare ai loro figli? Si tratterebbe di un quadro molto coerente con il progetto di ottocentizzazione del paese che esce dalle pagine del documento congiunto del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e del ministero per le Pari opportunità intitolato Italia 2020.
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Grazie a tutti i lettori per linteresse. Ci sono essenzialmente tre tipi di commenti al nostro articolo su lavoce.info.
Il primo tipo riguarda il sospetto che la nostra analisi abbia semplicemente accostato due fenomeni distinti: la crescita dei prezzi immobiliari e labolizione dellimposta su successioni e donazioni del 2001. In verità, questo accostamento è molto meno casuale di quanto il lettore possa sospettare. Offriamo due interpretazioni economiche semplici ma non banali – una è nellarticolo su lavoce.info – del perché labolizione dellimposta in questione abbia contribuito ad innalzare il prezzo degli immobili in Italia dal 2001 in avanti. Il punto di partenza del nostro argomento è molto semplice: in generale quando un importante utilizzo di un bene smette di essere gravato da una tassa, il valore di quel bene aumenta e così il suo prezzo. E difficile pensare che questo non sia avvenuto anche per le case, i beni oggetto della stragrande maggioranza delle donazioni e successioni (più di una su due le coinvolge stando ai dati ISTAT). Quando la tassazione su questo tipo di trasferimenti è stata abolita nel 2001, le case si sono quindi apprezzate. Non è corretto osservare che la donazione non è una scelta alternativa alla vendita poiché serve un fine diverso. Per rendersene conto basta pensare che, se donazioni e successioni fossero soggette ad unimposta del 90%, non vi sarebbe alcuno sano di mente disposto a fare ancora donazioni. Esiste infatti una fetta importante di popolazione italiana che sceglie tra vendere e donare sulla base della relativa convenienza anche fiscale e, cosi facendo, influenza lequilibrio di mercato. Nella versione completa del nostro studio, abbiamo formalizzato tale intuizione per mostrare, accanto al ruolo dei molteplici fattori in gioco, limportanza della relazione che più ci interessa; inoltre abbiamo proceduto a unanalisi statistica proprio volta a stimare leffetto dellabolizione dellimposta sui prezzi delle case. Questa analisi supporta un nesso causale della variazione dellimposta sui prezzi, non una mera correlazione.
Il secondo tipo di commenti sottolinea come altri fattori possano spiegare la dinamica dei prezzi in Italia: landamento delle nuove costruzioni immobiliari e dei tassi di interesse, lo scudo fiscale, il crollo delle borse e la fuga degli investitori nel mattone. Ci permettiamo di aggiungerne altri: il flusso di capitali in Italia pre e post 2001, le dinamiche demografiche nei centri abitati e landamento dei salari reali nelle diverse regioni. Siamo perfettamente consci della validità di queste argomentazioni tanto è vero che ne abbiamo esplicitamente tenuto conto nella nostra analisi empirica. Non abbiamo mai sostenuto che non importassero. . Tuttavia, la cosa sorprendente – forse il contributo principale del nostro lavoro – è che, pur considerando tutti questi fattori insieme, labolizione dellimposta su successioni e donazioni ha comunque un effetto aggiuntivo statisticamente significativo sullinnalzamento dei prezzi immobiliari.
Il terzo tipo di commenti critica lanalogia con la Germania. Tale analogia, seppure aneddotica e non utilizzata nellanalisi statistica formale, ci pare comunque istruttiva. La Figura 1 mostra il periodo 1995-2004, successivo allunificazione tedesca. La differenza più sorprendente tra i due paesi si evidenzia a partire dal 1999 (cioè nel periodo piu lontano dalla caduta del muro), quando i prezzi immobiliari continuano a calare in Germania mentre cominciano a crescere in Italia, per poi esplodere dal 2001.
Lobiettivo principale della nostra ricerca è quello di chiarire un meccanismo, tra i molti in gioco, per evidenziare un canale che è stato finora ignorato. Vogliamo in particolare mostrare che, se teniamo una prospettiva che coinvolge tutta leconomia e non solo una singola scelta (donare o non donare), possiamo scoprire effetti inaspettati, e magari indesiderati, della politica economica che scegliamo. Concludiamo con un cenno ai commenti di due lettori. Donazioni e successioni erano entrambe non soggette a tassazione dalla fine del 2001 al 2004 (ultimo anno del nostro studio), con ununica differenza che riteniamo irrilevante ai fini della nostra analisi. Sarebbe stato certamente interessante studiare leffetto sul prezzo delle case della (parziale) reintroduzione dellimposta su donazioni e successioni (l. 296/2006) ma purtroppo i dati ISTAT non erano ancora disponibili quando ultimavamo il nostro studio.
L’abolizione della tassazione su donazioni e successioni del 2001, in seguito reintrodotta per i soli grandi patrimoni, ha contribuito sensibilmente all’aumento dei prezzi degli immobili in Italia. Un effetto collaterale inatteso di cui si rallegrano i proprietari di case. Ma non è altrettanto ovvio che sia un vantaggio per la società italiana nel suo complesso, per lo sviluppo del nostro mercato finanziario e, in particolare, per le giovani generazioni e le fasce più deboli.
Tradizionalmente l’auspicio di una maggiore integrazione delle donne nel mondo del lavoro si fonda su principi di equità. Ora alcuni saggi sostengono che la valorizzazione delle donne risponde anche a criteri di efficienza economica. Un approccio particolarmente interessante per l’Italia, dove la partecipazione femminile è assai scarsa, le donne difficilmente arrivano ai vertici di aziende e istituzioni e anche la fertilità è bassa. Politiche e interventi che sostengano le scelte di lavoro e di famiglia possono far bene anche al nostro Pil.
Le donne bolognesi in età lavorativa guadagnano dal 25 al 76 per cento in meno dei loro concittadini maschi, a seconda della fascia d’età (si veda il grafico sotto). Lo afferma una ricerca condotta dal Dipartimento di Programmazione del Comune di Bologna sui redditi Irpef dei cittadini di questa città, presentata recentemente all’Istituto Gramsci.
Questo risultato dovrebbe far riflettere chi ritiene che la fornitura pubblica di servizi sociali alle famiglie, in particolare di asili nido, sia la panacea che può consentire alle donne di avere le stesse opportunità lavorative degli uomini, soprattutto le stesse retribuzioni e le stesse possibilità di carriera.
Bologna è forse la città italiana che ha la maggiore densità di asili nido e che offre i migliori servizi sociali alle famiglie (210 milioni di euro spesi dal Comune, ossia ben il 40 per cento delle sue spese correnti secondo la stessa ricerca). Tutta l’Emilia Romagna, in realtà, primeggia in questa classifica, come ci hanno recentemente ricordato Daniela Del Boca e Alessandro Rosina e nel loro libro "Famiglie Sole"(Il Mulino, 2009). Proprio grazie a questi servizi, sostengono Del Boca e Rosina, i tassi di fecondità e di partecipazione al lavoro delle donne sono relativamente alti e crescenti in Emilia Romagna mentre sono bassi e decrescono in Campania, dove i servizi sociali alle famiglie scarseggiano e sono di bassa qualità.
È possibile che asili e servizi alle famiglie siano un fattore importante per facilitare una maggiore partecipazione delle donne al lavoro e una maggiore fecondità, anche se chi sostiene questa idea dovrebbe spiegare come mai la fecondità e l’offerta femminile di lavoro siano più alte in paesi dove questi servizi sono praticamente assenti. Ma alla luce dei dati sulle differenze di reddito tra donne e uomini a Bologna, è almeno altrettanto evidente che gli asili possono al massimo essere una palliativo per i sintomi della malattia, non la terapia che ne risolve le cause.
MA LE DONNE LAVORANO DI PIÙ
E questo perché la vera origine del problema sta nel modo in cui i compiti familiari sono allocati tra donne e uomini all’interno delle famiglie. Questa è la tesi che insieme ad Alberto Alesina ho proposto nel libro "L’Italia fatta in casa" (Mondadori, 2009). Finché le donne italiane lavoreranno in totale 80 minuti in più degli uomini (sommando il lavoro casalingo a quello retribuito) e soprattutto finché saranno loro ad essere sempre "on duty" per la famiglia anche nei momenti in cui lavorano fuori casa, esse non potranno esprimere nel lavoro retribuito la stess energia e la stessa produttività degli uomini. Possiamo costruire tutti gli asili che vogliamo, ma non vedremo grandi risultati se sarà sempre la madre a "staccare" comunque alle 16.00, qualsiasi cosa succeda in ufficio, per riportare a casa i figli. Oppure se sarà sempre lei a farsi carico di trovare una soluzione quando l’asilo rifiuta i figli perché ammalati. E gli esempi potrebbero continuare, considerando molti altri compiti familiari, dalla lavatrice rotta che allaga la casa ai nonni anziani da accudire.
Forse costruire asili a spese del contribuente può essere una buona idea per altri motivi, ma sembra difficile sostenere che questo intervento possa risolvere in modo significativo il problema degli squilibri di genere e i dati di Bologna supportano questa tesi. Se veramente gli italiani ritengono che gli squilibri di genere siano un problema, allora bisogna intervenire sul modo in cui i compiti familiari sono divisi tra uomini e donne. Ad esempio riducendo le tasse sul lavoro femminile come da noi proposto.Ma anche se i motivi per auspicare la costruzione di asili nido pubblici fossero altri (diversi dalla equiparazione delle differenze di genere), bisognerebbe comunque valutare se essi giustifichino l’onere imposto ai contribuenti, in particolare quelli che figli non ne hanno. Per quale motivo, infatti, chi non ha figli dovrebbe finanziare chi ha liberamente scelto di averne? Io ad esempio ne ho quattro e non vedo motivi per cui la società debba farsi carico di questo.
Ammesso e non concesso che gli asili nido pubblici favoriscano la fecondità (che come detto sopra è maggiore della nostra anche in paesi in cui lo stato non offre questi servizi), siamo proprio sicuri che in Italia sia una buona idea incrementare la popolazione, già crescente per via dell’immigrazione? La densità in Italia è di 195 persone per chilometro quadrato contro 32 della media europea. Forse gli italiani ricominceranno a fare figli, senza incentivi pubblici, quando l’onda dei 50enni prodotta dal "baby-boom" sarà passata.
Si sente anche dire a volte, soprattutto in ambienti di sinistra, che faccia bene ai bambini stare in asilo nido fin da subito dopo il parto. Può darsi, ma non mi risulta che di questo ci siano prove statistiche convincenti, ossia prove che soddisfino gli stessi requisiti di validità statistica che riteniamo necessari ad esempio per stabilire la validità di una terapia medica. Numerosi studi recenti, tra cui quelli del premio Nobel Jim Heckman mostrano l’enorme importanza dei primi anni di vita del bambino per la sua performance futura, ma siamo ancora ben lontani dal poter affermare con cognizione di causa se sia meglio la famiglia o il nido per un neonato.
Allora, non è forse meglio tassare di meno le donne e quindi le famiglie (magari sussidiando con vouchers quelle povere) in modo che madri e padri siano effettivamente effettivamente liberi di scegliere come e dove educare i loro figli e quanto tempo a loro dedicare?
Nel suo intervento Andrea Ichino, in commento ad un nostro recente articolo, mette in dubbio lutilità degli asili nido. Cogliamo loccasione per chiarire meglio la nostra posizione a favore dei servizi per linfanzia come importante strumento di conciliazione nella fase delicata in cui è più difficile lavorare e occuparsi dei piccoli (secondo i dati Istat, oltre una donna occupata su cinque lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio (1)).
AI:Le donne bolognesi in età lavorativa guadagnano dal 25 al 76 per cento in meno dei loro concittadini maschi ( ). Questo risultato dovrebbe far riflettere chi ritiene che la fornitura pubblica di servizi sociali alle famiglie, in particolare di asili nido, sia la panacea che può consentire alle donne di avere le stesse opportunità lavorative degli uomini, soprattutto le stesse retribuzioni e le stesse possibilità di carriera.
DB e AR: Concordiamo. Non abbiamo certo scritto che, di per sé, lofferta di nidi sia in grado di realizzare luguaglianza delle opportunità di lavoro e di salario tra uomini e donne. Nessuno, a quanto ci risulta, ha mai azzardato unipotesi di questo tipo. Abbiamo semplicemente sottolineato come gli asili nido possano spesso rivelarsi un concreto aiuto per le donne con figli piccoli che desiderano continuare a lavorare. Molte famiglie non hanno nonni e altri parenti vicini e non hanno un reddito sufficiente per il ricorso sistematico ad una baby sitter.
AI:È possibile che asili e servizi alle famiglie siano un fattore importante per facilitare una maggiore partecipazione delle donne al lavoro e una maggiore fecondità, anche se chi sostiene questa idea dovrebbe spiegare come mai la fecondità e l’offerta femminile di lavoro siano più alte in paesi dove questi servizi sono praticamente assenti.
DB e AR: Se il riferimento è al caso particolare degli Stati Uniti, va precisato che in tale contesto il mercato del lavoro è meno discriminatorio verso le donne, offre più opportunità occupazionali in genere e più part-time, ma ci sono poi anche servizi per linfanzia non pubblici di vario costo e tipo (nidi familiari, nidi sul posto di lavoro, ecc.). Se però guardiamo ai casi a noi più vicini (quelli europei) si nota come i paesi con più alta fecondità (Francia e i paesi scandinavi) siano anche quelli dove rilevante è linvestimento in strumenti di supporto pubblico (non solo privato) alle famiglie con figli.
Ma al di là di casi specifici, quello che in generale si è osserva è che i paesi che più e meglio hanno investito in misure di conciliazione presentano, tendenzialmente, anche più elevati livelli sia di fecondità che di partecipazione femminile al mercato del lavoro (ci sono molte analisi in proposito, si veda per una rassegna il rapporto Ocse di DAddio e Mira dErcole (2). Ma questo risulta sempre più vero anche allinterno del territorio italiano, tanto che la fecondità è aumentata di più, anche la netto dellimmigrazione, dove maggiori sono sia loccupazione femminile che le varie possibilità di conciliazione.
Tra gli strumenti di conciliazione particolare importanza hanno i servizi di cura per linfanzia, tanto che nella Strategia di Lisbona dellUnione Europea non viene fissato solo il livello di occupazione femminile da raggiungere (60%), ma anche quello di unadeguata copertura di asili nido (33% su bambini in età 0-3). Lo stesso governatore di Bankitalia ha affermato che le stime disponibili mostrano come lincremento della disponibilità di posti negli asili nido avrebbe un effetto positivo sia sulla decisione delle donne di lavorare, sia sulla loro scelta di avere figli. Sullimportanza di un ruolo del pubblico e sulle carenze italiane segnaliamo, inoltre, un recente contributo di Chiara Saraceno.
AI: la vera origine del problema sta nel modo in cui i compiti familiari sono allocati tra donne e uomini all’interno delle famiglie.
DB e AR: E vero che la scelta di un figlio produce conseguenze che ricadono soprattutto sulla madre. Come abbiamo scritto nel nostro libro, è importante invece che lo stato (con offerta di strumenti di cura), le aziende (con possibilità di ricorrere a part-time e consentendo orari più flessibili), i padri (contribuendo di più ai compiti familiari e di cura) facciano ciascuno la loro parte.
AI: Per quale motivo, infatti, chi non ha figli dovrebbe finanziare chi ha liberamente scelto di averne?
DB e AR: Curiosa questa obiezione, visto che lItalia è attualmente uno dei paesi che penalizzano di più chi ha scelto di avere figli. Questo vale sia sul piano fiscale che su quello dei servizi. In particolare, la quota di spesa sociale che va per la voce famiglia è, come ben noto, una delle più basse (spendiamo meno della metà rispetto alla media europea).
Ma forse spendiamo anche troppo per chi, come Ichino, pensa che il figlio sia un bene privato e che i costi debbano ricadere su chi ha fatto tale scelta. Si potrebbe obiettare in vari modi (il discorso ha inoltre valenza più generale visto che investe tutto il ruolo pubblico e il preteso diritto di ciascuno di scegliere cosa contribuire a finanziare e cosa no). Ci limitiamo ad osservare che questa argomentazione non tiene conto del fatto che le misure di conciliazione consentono alle donne con figli di poter partecipare in modo più continuativo al mercato del lavoro e quindi ad avere non solo maggior benessere familiare ma anche contribuire alla crescita economica del paese e alla sostenibilità del sistema di welfare. Penalizzare chi desidera avere figli non aiutandolo con strumenti adeguati a partecipare al mercato del lavoro ci sembra non solo iniquo ma anche socialmente controproducente. Rischia inoltre di aumentare la povertà delle coppie con figli che rimarrebbero monoreddito. Perché dovremmo assisterle con un voucher quando potrebbero difendersi dalla povertà con un proprio lavoro? Meglio incentivare comportamenti responsabili che lassistenzialismo.
AI: Ammesso e non concesso che gli asili nido pubblici favoriscano la fecondità (che come detto sopra è maggiore della nostra anche in paesi in cui lo stato non offre questi servizi), siamo proprio sicuri che in Italia sia una buona idea incrementare la popolazione, già crescente per via dell’immigrazione?
DB e AR: Sul fatto che gli asili nido possano favorire la fecondità abbiamo già detto. Aggiungiamo a tal proposito anche evidenze empiriche che provengono da unanalisi recente sul caso spagnolo (molto più simile allItalia rispetto agli Stati Uniti): dove si ottiene a significant and positive effect of regional day care availability on both first and higher order births (3).
Gli asili nido sono uno strumento utile per le donne che lavorano a non rinunciare ad avere un figlio se lo desiderano in assenza di nonni a disposizione per poter accudire i bambini quando sono al lavoro. Meno strumenti di conciliazione le coppie hanno a disposizione, più facilmente si fermeranno al figlio unico se non vogliono rinunciare al lavoro. Oppure possono essere incentivate a rinunciare ad opportunità di carriera per rimanere a vivere vicino ai nonni e non perdere il loro aiuto.
Ma cè di più. Secondo Andrea Ichino non pare importante ciò che a noi sembra cruciale cioè mettere tutti nelle condizioni di scelta di avere figli (anche a chi non ha redditi elevati e chi non ha nonni vicini), visto che la popolazione cresce già abbastanza con il contributo degli immigrati.
Questa argomentazione ignora che la conseguenza maggiore della persistente denatalità italiana non è tanto il declino o meno della popolazione quanto gli squilibri che si creano nella sua struttura.
Laccentuato invecchiamento della popolazione italiana richiederebbe un riequilibrio attraverso una minore denatalità e una maggiore occupazione femminile. Lintenso invecchiamento della popolazione è proprio uno dei fenomeni che gli altri paesi meno ci invidiano. Anzi, sono particolarmente interessati a vedere come ce la caveremo nei prossimi decenni per capire quali errori evitare.
Come anche le ultime previsioni Istat confermano, lapporto dellimmigrazione su questo aspetto è rilevante ma limitato. Sulla nota informativa di presentazione, si legge: Laspetto in assoluto più certo di tutte le previsioni è il progressivo e inarrestabile incremento della popolazione anziana (
), tanto in termini assoluti quanto relativi (4).
AI:Numerosi studi recenti, tra cui quelli del premio Nobel Jim Heckman mostrano l’enorme importanza dei primi anni di vita del bambino per la sua performance futura, ma siamo ancora ben lontani dal poter affermare con cognizione di causa se sia meglio la famiglia o il nido per un neonato
DB e AR: Questo è un tema che consideriamo molto importante e su cui stiamo lavorando. Soprattutto in un paese di figli unici e di genitori iperprotettivi, lasilo con opportuni standard di qualità, può essere un utile strumento per una socializzazione più equilibrata dei figli. Un asilo inteso solo come parcheggio per il figlio è deleterio. Il bene del bambino lo si ottiene non solo se tale strumento aiuta la famiglia a proteggere il proprio benessere grazie alla possibilità della madre di non rinunciare al lavoro, ma anche, soprattutto, se fornisce benefici in termini di formazione e crescita. Per questo, come spesso sottolineiamo, è cruciale investire nella qualità dellofferta, non solo sulla copertura.
Unultima precisazione. Lofferta di servizi per linfanzia e strumento per ampliare le scelte delle famiglie, uno strumento disponibile assieme ad altri, che la coppia decide o meno di scegliere. Il problema è che attualmente in Italia, più di altri paesi, tale scelta è spesso negata per la carenza di unofferta adeguata.
Come mostrano, poi, alcuni studi della Banca dItalia, nelle regioni dove più ci sono asili nido più lunga è anche la lista di attesa, il che suggerisce che lofferta di nidi di adeguata qualità può contribuire ad attenuare alcune resistenze culturali verso la delega della cura dei figli piccoli
(1) Linda Laura Sabbadini (2004, a cura di), Come cambia la vita delle donne, Demetra, Atti e interventi n. 6, Roma.
(2) Anna Cristina DAddio e Marco Mira dErcole (2005), "Trends and Determinants of Fertility Rates in Oecd Countries: The Role of Policies", Oecd Social, Employment and Migration Working Papers.
(3) Pau Baizan (2009), Regional child care availability and fertility decisions in Spain, Demographic Research, 21(27).
(4) Istat,Previsioni demografiche. 1° gennaio 2007-1° gennaio 2051. Nota informativa (19 giugno 2008).
Ringraziamo tutti i lettori per i commenti. Dimostrano che le imposte sulle successioni sono un tema caldo e che suscita opinioni fortemente contrastanti.
Un primo gruppo di commenti comprende quelli che hanno osservato che leffetto trovato potrebbe essere dovuto ad un effetto di ricomposizione della ricchezza (gli individui potrebbero aver riallocato la ricchezza verso beni immobili in risposta alla riforma) o allemersione del sommerso. Entrambi i commenti sono corretti. Con i dati a disposizione non possiamo distinguere tra queste ipotesi, come sottolineato nella versione completa dellarticolo al quale rimandiamo. Tuttavia, il fatto che quasi il 90 percento della ricchezza complessiva degli anziani sia detenuta sotto forma di immobili induce a pensare che è improbabile che leffetto riallocazione spieghi tutta levidenza. Per quanto riguarda invece lemersione del sommerso può essere utile sottolineare che lanalisi non si basa su dati di origine fiscale ma su unindagine (lIndagine sui Bilanci delle Famiglie della Banca dItalia) nella quale gli individui hanno garanzia di anonimato e non hanno motivo di mentire. Ciò dovrebbe far sì che gli individui non abbiano una maggiore propensione a dichiarare di aver ricevuto un immobile in eredità dopo la riforma o, quanto meno, che eventuali differenze siano simili tra famiglie ricche e povere.
Un secondo gruppo di commenti include detrattori (limposta è ingiusta e in ogni caso ha un ruolo marginale a causa del basso gettito) e fautori dellimposta (si tratta di unimposta progressiva che riduce la diseguaglianza e promuove la mobilità). Su questo non intendiamo entrare nel merito. Ci limitiamo ad osservare che i trasferimenti intergenerazionali sono soggetti a tassazione nella gran parte delle economie sviluppate, e particolarmente negli Stati Uniti dAmerica e che, nonostante producano un gettito che raramente supera l1 percento delle entrate fiscali complessive, sono spesso al centro del dibattito pubblico. Per i favorevoli esse aumentano la mobilità intergenerazionale, per i contrari riducono laccumulazione di capitale.Il punto che ci interessa sollevare è che il dibattito avviene in assenza di riferimenti fondamentali: stime attendibili delleffetto delle imposte di successione sui trasferimenti intergenerazionali, e quindi sulle entrate fiscali, sullaccumulazione di capitale, sulla trasmissione della ricchezza e sulla mobilità intergenerazionale. Crediamo che disporre di una misura delleffetto delle imposte di successione sulla propensione a trasferire ricchezza ai propri eredi possa aiutare a rendere il dibattito più trasparente.
Infine al commento del lettore Vittorio Serito rispondiamo che in effetti, come precisato nellarticolo, le imposte di successione sono state reintrodotte per i grandissimi patrimoni alla fine del 2006 (legge 296/2006) e che i fattori da lui menzionati (l’evoluzione del mercato immobiliare e l’evoluzione dei valori catastali) sono senzaltro importanti. Nellanalisi condotta nella versione completa dellarticolo se ne tiene adeguatamente conto.
Una delle poche riforme fiscali varate in Italia nell’ultimo decennio ha riguardato le imposte sulle successioni che sono state, in maniera bipartisan, sono state prima diminuite nel 1999-2000 e successivamente abolite nel 2001 dal governo Berlusconi. I dati della Banca d’Italia consentono di valutare l’impatto della riforma sulla propensione a lasciare immobili in eredità. La nuova norma ha aumentato significativamente i trasferimenti intergenerazionali consegnando un paese ancora più immobile e diseguale. Certamente non una buona notizia.
La natalità in Italia continua a essere bassa. Ma anche in un anno così generalmente depresso come il 2009, c’è chi ha resistito meglio e chi ha ceduto di più. La fecondità cresce in Emilia Romagna e scende ancora in Campania. Ovvero cala nella regione nella quale l’occupazione femminile è più bassa e sale nell’unica regione italiana che in proposito ha già superato gli obiettivi di Lisbona. Un risultato paradossale a prima vista, che si spiega con la ben diversa quantità e qualità dei servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia.
Nellestate del 2007, ad un convegno in Svizzera, presentavamo per la prima volta il nostro lavoro Inheritance Law and Investment in Family Firms, scritto insieme a Andrew Ellul e di prossima pubblicazione sullAmerican Economic Review. Il lavoro mostra come leggi restrittive sulleredità, che obbligano il testatore a lasciare una elevata frazione dei suoi beni a ciascuno dei suoi eredi legittimi, abbiano in genere effetti negativi sullinvestimento delle imprese familiari intorno al momento della successione. La conclusione principale del nostro lavoro è che ridurre la quota di legittima ha effetti benefici sullinvestimento delle imprese familiari (ne avevamo parlato anche su lavoce). Il problema è molto rilevante in Italia dove la quota di legittima è molto elevata. E proprio per motivare la rilevanza del nostro lavoro, avevamo messo nella presentazione del lavoro un lucido che illustrava la complicata situazione della divisione patrimoniale della famiglia Berlusconi, in cui 5 figli nati da due diversi matrimoni si contendevano i beni del premier. Leggiamo su Repubblica dell11 febbraio che il governo Berlusconi sta studiando una proposta per ridurre la quota di legittima per attenuare i problemi legati alla sua successione. Dopo le norme ad personam, adesso quelle ad familiam. Come cittadini siamo un po’ perplessi dal vedere che il Parlamento vagli quasi esclusivamente norme legate ai problemi del premier. Come economisti, siamo molto soddisfatti. A chi dice che gli economisti non sanno prevedere le crisi e dare consigli utili per affrontarle sappiamo ora come rispondere. Quelle globali forse no, ma quelle familiari alla grande.