Da quattro anni, ogni volta che le agenzie di rating emettono i loro verdetti si scatena il putiferio, con il solito corredo di accuse su complotti politici e conflitti di interessi. Ma la disciplina delle agenzie di rating negli ultimi tempi ha fatto importanti passi avanti, che non devono essere sottovalutati. Quello che ancora manca è un processo che attenui il rilievo del rating nelle regole di vigilanza. E che soprattutto valorizzi l’autonomia di giudizio e il ricorso a una pluralità di fonti informative da parte di banche e investitori.
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Il salvataggio di Fondiaria-Sai proposto da Unipol è un ottimo esempio di schema finanziario rivolto ad acquistare una società quotata senza alcun vantaggio per i piccoli investitori. La legge prevede l’obbligo di Opa a cascata quando si acquista la controllante di una società quotata. Ma l’operazione potrebbe essere ritenuta lecita perché diretta al salvataggio di una società in crisi. Il gruppo di controllo che ha condotto Fonsai sull’orlo del baratro potrebbe così deciderne il destino. Tutto in nome della stabilità. E benché non manchi l’interesse di grandi compagnie straniere.
1. Fra i numerosi difetti dello scudo italiano c’era anche quello di consentire la regolarizzazione lasciando le attività all’estero. Questa alternativa aveva certamente senso per gli immobili ma non per i beni mobili e di sicuro non per le attività finanziarie. Tremonti si è spesso vantato dell’arricchimento dell’economia italiana realizzato genericamente con le attività scudate confondendo le acque fra ciò che è effettivamente rientrato e ciò che è stato solo regolarizzato rimanendo, però, all’estero. Ed alla domanda: quanto è effettivamente rientrato? ha sempre risposto in modo volutamente impreciso. Lo scudo previsto per Germania e Regno Unito ha lo stesso difetto ma con un’aliquota (34%) decisamente più sensata ancorchè intrisa di perdonismo a pagamento [Arnaldo Mauri. Massimo Vannucci]. Le aliquote del 25% (Germania) e 40/48% (Regno Unito) si applicano – in aggiunta al citato 34% – sui rendimenti (futuri) dei capitali scudati (cui altrimenti si sarebbe dovuta applicare l’euroritenuta del 35%) [Francesco Donà].
2. Che la Svizzera sia disponibile a concedere all’Italia le stesse condizioni offerte a Germania e Regno Unito è, addirittura, più che probabile. I (presumibili) capitali italiani in Svizzera superano quelli tedeschi ed inglesi e le banche svizzere hanno, palesemente, come obiettivo quello di preservarne per loro stesse la gestione anche negli anni a venire. Obiettivo ottenibile attraverso questa formula. [Arnaldo Mauri]
3. Le informazioni ottenibili dalla Svizzera attraverso gli accordi di scambio di informazioni sono attivabili mediante richiesta caso per caso dell’Amministrazione Finanziaria procedente al fisco svizzero. Quindi, al momento, niente lista con nomi. [Massimo Vannucci]
4. Che il protrarsi infruttuoso della discussione provochi un po’ di panico è vero. Che spinga altresì a “portare i soldi in Svizzera” è, purtroppo, una constatazione – ancorché irrazionale – di questi giorni.[Michelangelo Casiraghi]
Tommaso Di Tanno
Il fondo Salva-Stati (Efsf, European Financial Stability Facility) è unancora di salvataggio creato da 17 Stati Membri dellUnione Europea con lobiettivo primario di salvaguardare la stabilità finanziaria in Europa e fornire assistenza agli Stati ad alto debito. E nato per concedere credito esclusivamente agli Stati Membri e non ha fondi propri, bensì 780 miliardi di garanzia. Forte delle solide garanzie, listituto emette titoli di debito che vengono acquistati da enti di tutto il mondo, dalle banche ai fondi pensione, dai fondi sovrani alle agenzie assicurative. Col denaro raccolto, lEfsf ricompra i titoli di debito degli Stati in difficoltà. In pratica lEfsf nasce per ridurre il rischio che unasta di titoli di Stato fallisca, tramite operazioni di acquisto sia sul mercato primario (le aste) che su quello secondario (negoziando titoli già in circolazione), riempiendo il vuoto lasciato dalla Bce, che interviene esclusivamente sul mercato secondario.
COSA IMPLICA IL DECLASSAMENTO
Il downgrading dei titoli del debito a lungo termine dellEfsf è stato la diretta conseguenza dellabbassamento delle valutazioni su molti altri titoli di Stato europei, tra cui quelli di Francia e Austria, Stati molto importanti per le garanzie finanziarie al Fondo.
LEfsf gode ancora del rating massimo di S&P sulle emissioni a breve, e vanta i voti più alti sulle emissioni a lungo da parte delle altre due agenzie di rating, Moodys e Fitch. La decisione era attesa: S&P aveva già anticipato il downgrading il 5 dicembre, segnalando come negativo loutlook sulle emissioni a lungo termine nel proprio Creditwatch.
Il deterioramento del rating porta con sé un aumento dei costi di finanziamento, che implica spese maggiori per aiutare gli Stati in difficoltà. Per questo si prevede che il supporto dato dallEfsf ai paesi più deboli non potrà che ridursi. Saranno proprio i paesi in difficoltà a pagarne le conseguenze.
La situazione potrebbe cambiare velocemente, se ci fosse la volontà politica. S&P ha tenuto il proprio outlook sui fondi dellEfsf su developing, che significa che potrebbero migliorare o peggiorare a breve. In che modo potrebbero migliorare? Aumentando le garanzie alla base dellEfsf. Probabilmente sarebbe meglio anticipare listituzione, per ora programmata a luglio, dello European Stability Mechanism (Esm): questente è destinato a sostituire lEfsf in maniera definitiva ed il suo momento potrebbe essere arrivato prima del previsto.
Tommaso di Tanno riassume bene le mie obiezioni (vedi “Così la svizzera mantiene il segreto“) all’ipotesi di un accordo con la Svizzera, e in buona parte le condivide (vedi “Il merito di un accordo“). È uno “scudo fiscale” ma – dice Tommaso – il suo prezzo è ben più alto (fino al 34%) di quello degli scudi di Tremonti (minimo 2,5%, massimo 7%, più le recenti imposte di bollo). Quindi l’Italia incasserebbe di più.
Ma la Svizzera accetterebbe di prelevare per nostro conto il 34%, ben sapendo che anche recentemente ci siamo accontentati di molto meno? Io penso di no. Per una legge basta la maggioranza parlamentare, per un accordo internazionale bisogna essere favorevoli in due. Se pure si arrivasse a concordare il 34% con la Svizzera, i contribuenti infedeli accetteranno di pagare così tanto? Io penso di no: chi non ha voluto fare lo scudo al 2,5%, al 5% o al 7% perché mai dovrebbe accettare di farlo pagando il 34%?
Tommaso dice che, forse, le banche svizzere non faranno le furbe e incoraggeranno i clienti a pagare. Può darsi. Pare però che in occasione degli scudi italiani molte banche elvetiche remuneravano sottobanco i consulenti italiani che riuscivano a convincere il cliente a non far nulla. Inoltre, il gettito dell’euroritenuta proveniente dalla Svizzera si è dimostrato ridicolmente basso perché le banche svizzere consigliavano ai propri clienti di intestare i conti ad una società off-shore, aggirando così l’obbligo fiscale. L’Unione Europea sta ancora cercando di convincere la Svizzera a chiudere questo evidente buco. Io mi fido poco non perché le banche svizzere siano malvagie ma perché in tutto il mondo business is business. D’altronde, non si sono fidate neppure Germania e Gran Bretagna, che hanno chiesto alla Svizzera un versamento minimo (di 2 e 0,5 miliardi). Noi non otterremmo nulla di più.
Ciò detto, riconosco che la possibilità di inviare 999 richieste motivate di informazioni bancarie in due anni sarebbe un risultato importante. Così come varrebbe l’una tantum che la Svizzera potrebbe graziosamente riconoscerci.
All’Italia però costerebbe l’accettazione forse irreversibile del principio dell’intangibilità – salvo eccezioni a numero chiuso – del segreto bancario svizzero. Avremo poi un altro scudo fiscale, con gettito una tantum trascurabile e un costo incalcolabile in termini di perdita di credibilità dell’azione di governo nel recupero della fedeltà dichiarativa.
Tutto sommato, rimango persuaso che un accordo così non ci conviene affatto.
Nei giorni successivi all’annuncio della ricapitalizzazione, il prezzo delle azioni Unicredit è sceso vertiginosamente. Per colpa dello sconto troppo elevato riservato ai vecchi soci, si è detto. Ma un aumento di capitale con diritto di opzione non ha effetti sulla ricchezza di un azionista. Sulla caduta del titolo, invece, può aver influito la scelta di alcuni soci rilevanti di sottoscrivere solo in parte l’aumento di capitale. Perché potrebbe dar luogo a un eccesso di offerta con conseguente impatto negativo sul prezzo. Gli effetti sulla struttura proprietaria.
Le vicende di Mps e di Unicredit confermano quanto sia opportuna la separazione tra fondazioni e banche conferitarie. Le fondazioni potrebbero perseguire i loro obiettivi statutari. E migliorerebbe la governance delle banche, aprendo a soggetti che hanno come obiettivo primario la massimizzazione del loro valore. È una riforma degli assetti proprietari del nostro capitalismo utile ora, nell’immediato della crisi, e dopo, quando sarà finita. Perché renderebbe più efficienti e più stabili le banche italiane, contribuendo al rilancio di tutto il nostro sistema produttivo.
Al di là della discussione sull’acquis comunitario, sarebbe opportuno un accordo con la Svizzera sulle attività finanziare lì nascoste da residenti in Italia, sulla falsariga di quelli conclusi da Germania e Gran Bretagna? È vero, si tratterebbe di uno scudo, ma con aliquote di gran lunga superiori rispetto a quelle applicate nel nostro recente passato. E non sarebbe tombale. La ritenuta su interessi e dividenti dei capitali regolarizzati non è europea, ma rispecchia quanto previsto dai singoli paesi. La posizione di chi non aderisce all’accordo.
Per recuperare nuove risorse, il governo Monti è stato invitato da più parti a concludere un accordo anti-evasori con la Svizzera, simile a quelli recentemente firmati dalla Germania e dal Regno Unito. Ma il rifiuto dell’esecutivo italiano è giusto. Perché l’accordo tedesco, in fin dei conti, non è altro che uno scudo fiscale. E il testo è pieno di altri trappoloni più o meno visibili, che lo rendono molto conveniente per la Svizzera e le sue banche. Tanto che meriterebbe un esame di conformità all’acquis comunitario (cioè l’insieme dei diritti acquisiti) da parte della Commissione.