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Categoria: Banche e finanza Pagina 80 di 115

LA DISCARICA CHE SI CHIAMA BAD BANK

Torna di moda l’idea originaria del piano Paulson: far acquistare dallo Stato i titoli tossici detenuti dalle banche. Senz’altro può aiutare il sistema bancario a ripulire ulteriormente i bilanci e a ritornare più rapidamente alla normalità. Ma la realtà dei titoli tossici è molto complessa ed è evidente il pericolo di attribuire al pubblico compratore una enorme discrezionalità, con effetti distorsivi sui meccanismi di trasparenza dei salvataggi. Servono criteri chiari per definire bene i confini tra Stato proprietario e Stato regolatore.

INDIETRO ALLA CASELLA DI PARTENZA

Nel recente passato molti esperti hanno negato con veemenza che una ripulitura dei bilanci delle istituzioni finanziarie dalle obbligazioni strutturate svalutate e ormai illiquide fosse condizione necessaria e preliminare, anche se non sufficiente, per arrestare l’avvitamento della crisi finanziaria. Ora che le pur abbondanti ricapitalizzazioni non hanno sortito l’effetto sperato, sembrano invece accogliere di buon grado l’istituzione delle bad bank. Eppure, si tratta della stessa cosa, ma in condizioni più difficili perché si è perso tempo prezioso.

QUEL COSTO DI DISTRIBUZIONE CHE PESA SUL FONDO

Alla crisi dei fondi comuni di investimento concorrono anche le deludenti analisi dei loro risultati. Inutili però i confronti senza tener conto dei costi di distribuzione, perché questi esistono, vengono pagati dal sottoscrittore e non sono affatto trascurabili. Condivisibile invece l’orientamento delle autorità di vigilanza: cercano di renderli più trasparenti, cosicché il mercato possa premiare i distributori migliori. Ma anche di promuovere canali alternativi per la sottoscrizione, capaci di fare concorrenza ai promotori e agli sportelli.

2009, SFIDA ALL’EURO *

Il 2008 è stato l’anno degli shock finanziari asimmetrici nell’area euro, ma il 2009 sarà quello dello shock economico simmetrico. Tutta Europa scivola in recessione e si profila l’ombra della deflazione. Serve dunque una risposta comune di politica monetaria. Che porti a zero i tassi di interesse e ampli l’offerta di moneta. I paesi che possono permetterselo dovrebbero adottare politiche fiscali espansionistiche. L’anno iniziato con la più grande sfida all’euro potrebbe diventare l’anno della sua salvezza. A patto che i politici agiscano. E nel modo giusto.

I PROBLEMI ECONOMICI DI BARACK

Il deficit degli Stati Uniti non consente di andare oltre le somme già stanziate dal piano Tarp e da quelle che la nuova amministrazione pensa di mettere in campo nel biennio 2009-2010? Intanto bisogna dire che la contabilità pubblica Usa è più prudente di quella europea. E in ogni caso non sarebbero sufficienti a rivitalizzare il sistema bancario e finanziario. Sono i problemi che il neo-presidente deve affrontare subito.

COMMENTO A “UNA POLITICA FISCALE CONTRO LA CRISI”

L’interessante nota del Fondo Monetario Internazionale (Link), sull’uso della politica fiscale per combattere la crisi finanziaria, spinge ad alcune riflessioni e a domande che possono aiutare i lettori a meglio comprendere il merito della politica fiscale che il Fondo sta proponendo.
La prima domanda è: C’è qualche esperienza convincente che dimostra che una politica fiscale del tipo proposto abbia dato i risultati che il Fondo spera di ottenere? Se c’è, sarebbe utile per i lettori conoscerla.
La seconda è una riflessione che riguarda un’osservazione della nota: siccome è difficile identificare precisamente la medicina di cui ha bisogno il malato (cioè l’economia), è meglio utilizzare tutte le medicine a disposizione sperando che ce ne sia qualcuna che dia l’effetto desiderato. Bisogna riconoscere che in certi casi ci possono essere effetti negativi nell’uso di medicine sbagliate.
Una terza osservazione su cui sarebbe interessante soffermarsi è quella secondo cui i pacchetti di stimolo dovrebbero includere più che in passato aumenti della spesa pubblica in beni e servizi. L’acquisto di beni e sevizi, nella maggior parte dei paesi, consiste principalmente in tre categorie: salari per gli impiegati pubblici, investimenti pubblici e spese militari; ciò vuol dire che il Fondo Monetario sta proponendo aumenti salariali, più investimenti e spese militari. Allo stesso tempo la nota afferma che l’aumento di spesa non dovrebbe ”comportare un aumento permanente del deficit (e del debito?) pubblico”. Alcune domande: è una buona idea aumentare gli stipendi pubblici e le spese militari? L’aumento di stipendi non è equivalente nel suo effetto ad una diminuzione di imposte che la nota respinge? Sarà possibile ridurre in futuro gli aumenti di stipendi per non far peggiorare permanentemente la situazione dei conti pubblici? E’ possibile aumentare immediatamente la spesa per gli investimenti senza causare sprechi? Cosa possiamo imparare dall’esperienza giapponese degli anni novanta a riguardo?
Sarebbe utile avere risposte precise a queste domande per meglio conoscere il merito della proposta del Fondo Monetario ed eliminare qualche dubbio.

UNA POLITICA FISCALE CONTRO LA CRISI: RISPOSTA AL COMMENTO DI VITO TANZI

Vito Tanzi, nel suo commento al nostro contributo sul ruolo della politica fiscale nella attuale congiuntura, solleva domande importanti. Le risposte sono in buona parte contenute nella versione completa della nostra nota: che inviteremmo i lettori interessati a consultare per ulteriori dettagli.
Vito Tanzi osserva che è inappropriato somministrare al malato “tutte le medicine a disposizione sperando che ce ne sarà qualcuna che avrà l’effetto desiderato”. Siamo naturalmente d’accordo. Infatti, la nostra nota identifica chiaramente una serie di medicine che non debbono essere usate (si veda anche la prima appendice alla nota). Tra queste si citano per esempio i condoni fiscali o i sussidi generalizzati. Sconsigliamo anche l’uso di  un aumento indiscriminato dei salari dei dipendenti pubblici e proprio per le ragioni spiegate da Vito Tanzi (che causano aumenti permanenti della spesa e che hanno effetti simili a tagli di tasse non adeguatamente mirati). La nostra nota conclude, sì, che è opportuno dare al paziente un cocktail di medicine, ma queste vanno scelte, ovviamente, tra quelle “buone” (sia sul lato della spesa che su quello della tassazione) ed evitando quelle che si sono dimostrate nocive in passato.
Vito Tanzi si chiede anche se aumenti della spesa pubblica siano appropriati. Di nuovo, la nostra nota non sostiene che sia appropriato aumentare indiscriminatamente la spesa pubblica (inclusi i salari). Tuttavia, in molti paesi, anche paesi avanzati, la spesa per investimenti pubblici è stata negli anni passati insufficiente a garantire un ammodernamento delle infrastrutture: accelerare lavori in corso, o l’iniziazione di buoni progetti già allo studio sembra un modo utile non soltanto a sostenere la domanda aggregata, ma anche a soddisfare esigenze di crescita di lungo periodo.
Quanto efficace sarà in pratica un’espansione fiscale? Qual è l’evidenza empirica in proposito? Esistono varie stime dei moltiplicatori fiscali in presenza di fluttuazioni cicliche “normali”. Il problema, peró é che la crisi attuale non è di proporzioni “normali” (in termini di intensità e, soprattutto, globalità) ed è quindi difficile trovare un confronto adeguato. L’unico paragone è quello della Grande Depressione, che viene discusso in una delle appendici alla nota. In particolare, l’insistenza ad applicare in quella occasione politiche fiscali “ortodosse” durante la presidenza Hoover è stata una delle cause dell’inasprimento della Grande Depressione. E, almeno secondo alcuni studi, l’espansione fiscale nella seconda parte degli anni ‘30 contribuì in modo decisivo alla ripresa.

CONTI SEPARATI TRA EURIBOR E MUTUI

Con l’entrata in vigore dell’euro, l’Euribor è diventato il tasso al quale le banche primarie scambiano tra loro i depositi interbancari a termine denominati in euro. Ma ha anche un’influenza immediata sui tassi variabili dei mutui. E un parametro così importante per la vita dei cittadini europei viene calcolato non in base a dati oggettivi ripresi direttamente dal mercato e con procedure a esso integrate, ma in base a contributi volontari delle stesse banche. Il dubbio è che possa essersi stabilizzato un sistema di calcolo inadeguato e inefficiente.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo per i commenti. Molti lettori sottolineano che Google Scholar contiene molti errori di misura. Tutti gli indicatori, anche i più raffinati, contengono errori di misura. E’ per questo che abbiamo deciso di presentare i risultati in forma aggregata, con atenei o facoltà con almeno 4 ordinari nelle materie economiche.
Un secondo gruppo di commenti critica l’uso della banca dati di Google Scholar. I valori di sarebbero stati più bassi utilizzando altre fonti. Scopus per esempio è un’ottima banca dati, ma calcola h solo per gli articoli pubblicati dopo il 1996. Il dato più rilevante del nostro articolo è che anche se si considera una banca dati molto ampia (e quindi generosa nell’impatto scientifico), il 40 per cento degli ordinari di economia presenta h<3 e 90 per cento h<10. Sarebbe comunque molto utile calcolare h anche con altre banche dati e studiare la concordanza dei risultati. Si tratta di un lavoro più lungo e impegnativo di quello che abbiamo fatto per i 700 ordinari di economia.
Per lo stesso motivo non abbiamo calcolato h per altri settori, come quello aziendale.
Altri criticano l’indice h perchè uno scienziato può essere molto famoso e influente pur avendo un basso h. E’ vero, infatti h sottostima l’impatto di persone molto giovani che hanno scritto cose molto importanti. Per questo abbiamo scelto di concentrarci sugli ordinari, che hanno in media almeno venti anni di cariera (e praticamente nessuno meno di quindici). Nel settore economico è molto raro che un economista di rilievo abbia un basso h; i premi Nobel tendono ad avere h maggiori di 60 o anche 80.
E’ importante sottolineare che h misura soltanto l’impatto scientifico delle pubblicazioni. Si potrebbe però pesare h per il numero di anni di attività, tener conto degli articoli più citati, dell’importanza della rivistas e del numero di citazioni medio del settore. Abbiamo scelto di presentare solo i dati su h perchè si tratta dell’indicatore più noto ed intuitivo. Infine, ricordiamo che non si può confrontare h tra discipline diverse e che nelle materie scientifiche h tende ad essere più elevato che nelle scienze sociali.
Un lettore evidenzia che h può essere manipolato, ad esempio aggiungendo in una delle riviste censite da Google Scolar (i working papers SSRN) una pubblicazione con autocitazione. Verissimo, ma richiede comunque accesso a SSRN e può essere efficace solo per livelli molto bassi di h. Per aumentare il proprio h da 10 a 11, ad esempio, è necessario che l’undicesimo lavoro sia citato almeno 11volte, un livello che non è semplicissimo da raggiungere.
Infine, alcuni colleghi ci hanno scritto evidenziando che gli errori di misura aumentano per persone con doppio nome o cognome. Ci ripromettiamo di correggere questi errori in futuro.
Sappiamo che in molti atenei colleghi di altre discipline stanno raccogliendo dati sulle citazioni, su Google Scholar o altre fonti. Ci auguriamo che possano essere resi pubblici e che il nostro articolo sia di stimolo alla diffusione di dati sulla trasparenza del lavoro scientifico. Ci auguriamo anche che in futuro le critiche siano propositive: chi pensa che l’università debba essere valutata, ha anche il dovere di proporre delle modalità concrete di valutazione della ricerca.

MA BASILEA 2 NON C’ERA

Non sono pochi gli osservatori che imputano al Comitato di Basilea la responsabilità dei recenti dissesti bancari. In realtà, l’accordo è entrato in vigore solo nel 2008 e per i primi anni è soggetto al vincolo di non discostarsi troppo dalle regole precedenti. Gli Stati Uniti, poi, sono stati molto recalcitranti ad accettare le nuove norme. Non si migliora la situazione tornando indietro, al contrario è necessario far crescere Basilea 2. Rimediando agli errori sul rischio di tasso dell’attività bancaria tradizionale, sul rischio operativo e sul capitale delle banche.

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