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Categoria: Fisco Pagina 66 di 84

ANCORA LUNGA LA MARCIA DEL FEDERALISMO FISCALE

Nonostante la vittoria della Lega, il percorso del federalismo fiscale è ancora in salita. Le due questioni fondamentali dei rapporti Nord-Sud e Regioni-enti locali sono lontane da soluzioni condivise e minacciano di creare spaccature all’interno di maggioranza e opposizione. Non basta il generico invito all’accordo bipartisan. Occorre individuare una ricomposizione di forze che sfrutti le componenti federaliste delle due parti, pur rispettando il vincolo di non creare pericoli al governo. Non è un risultato facile da raggiungere e richiede fantasia, anche sul piano procedurale.

CONTRIBUENTI FRA TRASPARENZA E PRIVACY

L’Agenzia delle Entrate assume come elemento centrale la scelta del legislatore di conoscibilità degli elenchi nominativi dei contribuenti da parte di chiunque, ossia da parte di soggetti indeterminati. Viceversa il Garante assegna un ruolo determinante ad altri passaggi e ne trae un limite tassativo alle modalità della pubblicazione. Ma entrambe le letture si fondano sulla norma. Non si configura quindi né un problema di legittimità né un illecito. Il vero nodo giuridico e politico è quale trasparenza in materia fiscale si voglia oggi garantire nel nostro ordinamento.

CONTRO LA DETASSAZIONE DEGLI STRAORDINARI

Nonostante sembri mettere tutti d’accordo, il provvedimento ha evidenti conseguenze negative. Svantaggia i lavoratori più deboli che fanno comunque meno straordinari e che avranno più difficoltà a trovare un lavoro. A guadagnarci saranno soprattutto le imprese, che riusciranno per questa via a ottenere un abbassamento del costo del lavoro e una maggiore flessibilità di utilizzo della manodopera. Se si vuole rendere più competitivo il nostro paese intervenendo sul costo del lavoro, si può farlo in modi diversi e più efficaci. Per esempio, abbassando le tasse sul lavoro.

UN BONUS CHE PESA SULL’AMBIENTE

Scaduto il bonus fiscale sulla benzina deciso dal governo Prodi, sono già forti le pressioni perché il nuovo esecutivo rinnovi il provvedimento, anzi lo rafforzi. Ma l’accisa sui carburanti va considerata sotto il profilo della correzione dell’impatto ambientale. Se proprio si deve intervenire, meglio dunque prevederne una riduzione virtuale e utilizzare la somma ricavata per favorire il risparmio energetico o per incentivare le energie rinnovabili. Si eviterebbe di inviare ai cittadini il segnale sbagliato che la tassazione delle fonti fossili di energia si può ridurre.

IN MORTE DELL’ICI

L’abolizione dell’Ici è una vittoria dell’apparenza sulla sostanza. Proprio perché l’imposta riguarda l’80 per cento degli italiani, dovrebbe essere chiaro che gli stessi beneficiari dovranno pagare in altre forme quello che è presentato come un regalo. Il minor gettito dei comuni sarà compensato con trasferimenti dal centro. Ma mentre l’Ici si autoregola, un sussidio per definizione genera una domanda unanime di incremento. Tutto fa pensare che nella manovra su imposte nazionali per sostituirne una locale non ci sia alcun guadagno né di efficienza né di equità.

LO STRANO CASO DEI FEDERALISTI ANTI-ICI

L’Ici garantisce quasi il 60 per cento delle entrate tributarie dei comuni. Eppure, il nuovo governo si accinge ad azzerarla, almeno sulla prima casa. Certo, trasferire il carico fiscale dalla proprietà alle attività produttive può procurare un vantaggio elettorale, ma rivela una notevole dose di miopia, dei governi e degli stessi elettori. L’abolizione dell’imposta è contraria ai principi di base del federalismo, renderà i comuni meno virtuosi, avvantaggia soprattutto i contribuenti più ricchi e sarà un ulteriore freno alla modernizzazione del paese.

SOGNANDO CATALOGNA

Il successo elettorale della Lega ha riportato il tema del federalismo fiscale al centro del dibattito politico. Le proposte avanzate nei programmi elettorali sono insostenibili se applicate a tutte le regioni. Ma un federalismo differenziato potrebbe funzionare. Introdurrebbe anche in Italia il principio della sperimentazione: attribuire risorse e funzioni alle Regioni che abbiano dimostrato capacità gestionali e verificare se effettivamente sono in grado di offrire i relativi servizi in modo più efficiente dello Stato. Per riportarli nell’alveo nazionale in caso contrario. Il rischio è che invece si proceda in ordine sparso, assegnando prima le risorse e poi, forse, le funzioni. Così come è avvenuto in passato con le Regioni a statuto speciale.

UN LIBRO BIANCO PER RIDISEGNARE L’IRPEF

Confronto con i principali paesi partner e squilibrata distribuzione del peso dell’Irpef sulle diverse categorie di contribuenti segnalano l’opportunità di combinare il recupero di base imponibile con una significativa riduzione dell’imposta netta gravante sui singoli contribuenti. Il Libro Bianco suggerisce un intervento di riforma sull’imposta progressiva su base individuale, accompagnata da un sistema di detrazioni da lavoro e da un istituto di sostegno delle responsabilità familiari, che per i cittadini incapienti fornisca un trasferimento netto a loro favore.

FISCO

PARTITO DEMOCRATICO

Pressione fiscale e azioni di contrasto all’evasione

Subito: aumento detrazione per lavoro dipendente, per alleggerire il carico fiscale sui lavoratori, specie con salario basso.
Dal 2009, riduzione graduale delle aliquote Irpef, di un punto all’anno  per tre anni
Il finanziamento deve venire principalmente dal contrasto all’evasione fiscale, consolidando e ampliando i risultati ottenuti negli ultimi anni. Niente condoni

Fisco e famiglia

Dote fiscale per i figli (al posto di assegni familiari e detrazioni):

– 2500 euro per il primo figlio;
– universale (cioè rivolta tutti i contribuenti),
– crescente al crescere del numero dei figli e decrescente in funzione della condizione economica del nucleo familiare.
– riconosciuta mese per mese in busta paga o come minore imposta o come trasferimento in caso di incapienza.

Credito di imposta (o trasferimento in caso di incapienza) per lavoratrici, adeguato a sostenere le spese di cura, graduato in funzione del livello del reddito e del numero di figli. Riconosciuto in un primo tempo alle donne del Sud e poi esteso a tutto il territorio nazionale.

Fisco e casa

Tassazione dei redditi di locazione ad aliquota fissa.
Aumento della detraibilità della rata sui mutui prima casa.
Detraibilità di una quota fissa dell’affitto pagato (ampliamento della detrazione per gli affitti già introdotta dal governo Prodi).

Fisco, imprese e lavoro

Incentivi fiscali alla crescita dimensionale delle imprese, e al private equity.
Regime per i contribuenti minimi e marginali esteso, per opzione, ai contribuenti con ricavi inferiori ai 50mila euro (contro i 30mila attuali).
Abbattimento aliquota d’acconto al 10 per cento.
Studi di settore: mai retroattivi, no ad accertamenti reiterati, maggior peso della dimensione territoriale.
Detassazione in capo al lavoratore degli incrementi contrattuali di secondo livello: il Ddl fiscale chiarisce che si deve trattare di una detrazione al 23 per cento e gli incrementi agevolati non possono eccedere i 2500 euro.

Costi e coperture

Per i provvedimenti che sono stati inglobati nel Ddl sul fisco è indicata una quantificazione e un’ipotesi di copertura. In altri casi la copertura è più generica. Si condiziona esplicitamente l’attuazione delle politiche all’esistenza di una copertura credibile, ricorrendo anche all’ipotesi di utilizzo dei cosiddetti fondi negativi attraverso i quali si vincola l’attuazione dei provvedimenti di maggiori spese o minori entrate all’approvazione di altri provvedimenti, in itinere, che devono garantire le risorse necessarie al loro finanziamento.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

 Pressione fiscale e azioni di contrasto all’evasione

Pressione fiscale sotto il 40 per cento (nel 2007 era il 43,3 per cento).
Aliquota massima dell’Irpef al 33 per cento.
Rafforzamento delle misure di contrasto all’evasione già contenute nella Legge finanziaria del governo Berlusconi. Giulio Tremonti ha dichiarato che non ci saranno condoni.

Fisco e famiglia

Quoziente familiare (in sostituzione delle detrazioni per carichi di famiglia): l’Irpef non grava sul reddito individuale ma su quello familiare. A parità di reddito familiare, l’aliquota media dell’Irpef decresce al crescere del numero dei famigliari.
Riduzione Iva per prodotti infanzia.
Abolizione delle imposte sulle successioni e sulle donazioni.

Fisco e casa

Abolizione completa dell’Ici sulla prima casa.
Graduale e progressiva tassazione separata dei redditi di locazione.
Stabilizzazione di agevolazioni per risparmio energetico e ristrutturazioni (che già esistono) e incentivi fiscali alla costruzione per posti auto sotterranei.

Bonus locazioni per giovani coppie e meno abbienti.

Fisco, imprese e lavoro

Abolizione graduale dell’Irap.
Credito per imprese che assumono giovani e che trasformano contratti temporanei in contratti a tempo indeterminato.
Sperimentazione di un periodo no tax per nuove iniziative imprenditoriali e professionali dei giovani.
Riforma degli studi di settore “dal basso”.
Versamento Iva solo dopo l’effettivo incasso della fattura.
Detassazione degli straordinari.
Graduale detassazione delle tredicesime.

Costi e coperture

Il costo delle singole politiche non viene quantificato. Se ne prospetta spesso un’introduzione  “graduale”, a indicare la consapevolezza di un problema di copertura. Questo è importante specialmente per l’ipotesi di abolizione dell’Irap che, da sola, costerebbe di più di tutto il programma fiscale del Pd.

 COMMENTI

 

Pressione fiscale e azioni di contrasto all’evasione

L’abbattimento di tutte le aliquote Irpef di un punto percentuale, proposto dal Pd, riduce il carico fiscale per tutti i contribuenti. L’abbattimento dell’aliquota massima al 33 per cento, proposto dal Pdl, concentra il beneficio sui redditi alti e in special modo su quelli superiori ai 75mila euro e esclude dal beneficio i soggetti con reddito sotto i 28mila euro: le aliquote dell’Irpef attualmente superiori al 33 per cento sono infatti quella al 43 per cento per redditi superiori ai 75mila euro, quella al 41 per cento per redditi compresi fra 55mila e 75mila euro e quella al 38 per cento per redditi compresi fra i 28mila e i 55mila euro.
L’intervento sulla detrazione per lavoro dipendente proposto dal Pd è esteso ai lavoratori atipici ed è pensato anche come compensazione del fiscal drag.
L’obiettivo del Pdl di portare la pressione fiscale al di sotto del 40 per cento è lo stesso enunciato nella campagna elettorale precedente.
Nel campo del recupero dell’evasione il programma del Pd si rifà ai successi del governo Prodi (stimati in più di 20 miliardi in due anni) e conferma l’impegno nella medesima direzione. Quello del Pdl richiama l’ultima Legge finanziaria del governo Berlusconi che prevedeva come misura principale di contrasto all’evasione il coinvolgimento dei comuni. A questa legge è stata data attuazione nel dicembre 2007.

Fisco e famiglia

Il problema principale del passaggio al quoziente familiare, proposto dal Pdl, è che riconosce un abbattimento di imposta tanto più alto quanto minore è il numero dei percettori e quanto più alta è la differenza fra i redditi da essi percepiti. Il vantaggio maggiore va quindi alle famiglie monoreddito con reddito elevato. Data questa caratteristica, disincentiva l’offerta di lavoro femminile. 
Il quoziente familiare non dà alcun sostegno alle famiglie con debiti di imposta bassi o nulli, diversamente da quanto avviene con la dote proposta dal Pd. A queste famiglie resterebbero gli assegni familiari che però non sono universali (i lavoratori autonomi non ne godono).
Unificare le misure monetarie a favore delle famiglie con i figli, come nel caso della dote, avrebbe il pregio di rendere trasparente e valutabile l’aiuto che complessivamente si ottiene dallo Stato.
Il credito di imposta alle lavoratrici, proposto dal Pd, considera il costo del lavoro di cura (che si deve “comperare” da altri se si va a lavorare) come un costo di produzione del reddito. Non è pensato come sostitutivo dell’offerta di servizi (asili nido, e servizi a favore di anziani non autosufficienti). Bisognerebbe che fosse chiaro che tiene conto non solo della cura dei figli ma anche di quella degli anziani non autosufficienti.
L’Iva è un’imposta armonizzata, quindi il suo abbassamento sui prodotti per l’infanzia è una decisione che non può essere presa da un singolo Stato. E l’imposta di successione già oggi si applica solo alle eredità che superino una franchigia di un milione di euro per il coniuge e per ciascun erede in linea retta.

Fisco e casa

La parte fiscale della politica per la casa è simile fra i due programmi. La maggiore differenza è data dal fatto che il Pdl prevede l’abolizione totale dell’Ici sulla prima casa. Questa misura avrebbe però l’effetto di aumentare la dipendenza dei Comuni dai trasferimenti erariali. Sotto il profilo distributivo, essendo l’Ici sulla prima casa già stata ampiamente ridotta dal governo Prodi, la misura andrebbe principalmente a favore dei contribuenti con case più lussuose.

Fisco, lavoro e imprese

L’abolizione dell’Irap proposta dal Pdl era stata promessa anche nella precedente campagna elettorale. È difficile da realizzare perché comporta una grossa perdita di gettito (circa 38 miliardi) e perché l’Irap è la fonte principale di autonomia tributaria delle regioni.
Per quanto riguarda le altre misure, vale l’avvertenza generale che non è corretto pensare che tutti i problemi possano essere affrontati con incentivi fiscali.
Attenzione ai possibili effetti delle proposte. Per il Pd, l’ampliamento del tetto del regime per contributi minimi andrebbe subordinato all’effettiva capacità di controllare che non faciliti l’entrata nel regime di soggetti che rientrano nel limite di ricavi indicato solo perché nascondono al fisco l’eccedenza. Per il Pdl, il differimento del versamento dell’Iva al momento dell’effettivo incasso potrebbe aumentare la complessità del sistema.
Per gli incrementi contrattuali di secondo livello e gli straordinari, si veda la scheda sul lavoro.
Non si comprendono le motivazioni per cui detassare le tredicesime, come proposto dal Pdl. È un’operazione costosissima (circa 8 miliardi) che introdurrebbe una discriminazione ai danni di chi non ha la tredicesima (lavoratori atipici) e che favorirebbe soprattutto soggetti con alti redditi. A maggior ragione se la detassazione avvenisse sotto forma di applicazione di un’aliquota ridotta.

FEDERALISMO FISCALE

Di federalismo fiscale nei programmi dei partiti per le elezioni del 2008 si parla relativamente poco, eccetto come ovvio in quello della Lega Nord, in cui non si parla di altro. Non si tratta certo del tema centrale di questa campagna elettorale, nonostante una riforma costituzionale rimasta a metà. Ma nella vaghezza degli slogan, alcuni spunti interessanti emergono. C’è solo da chiedersi se c’è davvero consapevolezza nei partiti principali di quello che si scrive e della applicabilità delle proposte .

PARTITI MINORI

Nei programmi dei partiti minori il federalismo fiscale o non è citato per niente – la Sinistra Arcobaleno – o se ne parla en passant assieme a molti altri temi e spesso in modo così vago da rendere difficile individuarne i contenuti concreti (La Destra, Partito socialista).

C’è però da aggiungere che questi partiti sanno che comunque non governeranno e non hanno l’esigenza di proporre un programma completo e credibile. I programmi qui servono essenzialmente per riaffermare valori e richiamare voti: sarebbe per certi versi ingeneroso pretendere completezza o anche sensatezza.

LEGA NORD

Diverso il caso della Lega Nord, che è sì un partito piccolo, ma concentrato territorialmente e già dimostratosi in passato essenziale per la vittoria della coalizione di centrodestra. Dunque, capace di esercitare un’influenza concreta. Per questo partito, il federalismo fiscale è l’elemento fondante. Di conseguenza, il programma è radicale.

Non ha dovuto firmare un programma comune con gli altri partiti della coalizione di centrodestra, quindi la Lega Nord ritorna nel 2008 al proprio disegno istituzionale “storico”. Propone di suddividere lo Stato nazionale in tre macroregioni, di attribuire totale autonomia delle Regioni sul piano tributario, di lasciare fino al 90 per cento dei gettiti dei tributi erariali nei territori che li generano, di introdurre la perequazione orizzontale tra le macroregioni e così via.

Inutile dire che gli effetti dell’attuazione di un tale programma sarebbero esplosivi, probabilmente incompatibili con il mantenimento di uno Stato unitario e sicuramente incompatibili con il suo attuale funzionamento. Difficile dire in che misura i proponenti credano davvero nel loro programma: nelle concrete esperienze di governo, la Lega Nord si è poi mostrata molto più “ragionevole”, anche sul tema identitario del federalismo. Certo che su questa base qualche difficoltà di governo ci sarà di sicuro, se la coalizione di centrodestra, forte anche al Sud, vincerà le elezioni.

POPOLO DELLA LIBERTÀ

La medesima tensione è già presente nello stesso programma del Pdl. Il federalismo fiscale è la “sesta missione” , ma si presenta in tono minore, una paginetta scarsa a fronte delle ben più corpose missioni che lo precedono.

Il programma si articola in alcuni principi, tanto condivisibili quanto generici:“attuare l’articolo 119 della Costituzione (…) trovando il giusto equilibrio tra autonomia, equità e efficienza”, garantire la “massima trasparenza ed efficienza nelle decisioni di entrata e di spesa” e così via. Si fanno anche affermazioni contraddittorie, per esempio quando si dice che la perequazione non deve essere tale “da annullare interamente le differenze di capacità fiscale” tra territori, salvo poi affermare subito dopo “fermo il principio costituzionale di giusto equilibrio tra solidarietà ed efficienza”, che di per sé non significa nulla, se non che la prima parte della frase non deve essere presa troppo sul serio.

La vera bomba nel programma del Pdl è però l’impegno, esplicitamente preso, di fare approvare dal Parlamento nazionale la proposta di legge sull’articolo 119 approvato dal consiglio regionale della Lombardia nel 2007. La cosa buffa è che non si dice minimamente di che si tratta e l’estensore del programma sembra ignorare che la proposta rende vacue tutte le proposizioni precedenti. Infatti, la proposta lombarda è tutto tranne che vaga e generica. Prevede, tanto per dire, che sia attribuito alle Regioni (con possibilità di modifiche regionali nelle aliquote e detrazioni) il 15 per cento della base imponibile Irpef, l’80 per cento del gettito Iva, tutto il gettito delle accise sulla benzina, l’imposta sui tabacchi, quella sui i giochi eccetera. A spanne, si tratta di circa 15 miliardi di euro di entrate in più per la sola Lombardia. Applicarla a tutte le Regioni, significherebbe trasferire ai territori circa il 5 per cento del Pil in un botto solo. Significherebbe anche minori risorse da destinare allo Stato e alla perequazione territoriale. Oltretutto, la proposta è silente sul lato della spesa, per cui non si capisce se questa ingente devoluzione delle risorse dovrebbe avvenire a competenze date o dovrebbe finanziare una maggiore devoluzione delle risorse (forse l’istruzione?). (1)

In ogni caso, la logica, simile a quella della proposta della Lega, è “prima le risorse e poi le funzioni”. Lasciamo i soldi ai territori e poi vediamo cosa si fa con la spesa, la stessa logica delle attuali Regioni a statuto speciale.

Una proposta radicale dunque, soprattutto per gli equilibri territoriali. C’è da chiedersi se nel Pdl c’è qualcuno che ha fatto i conti e si è chiesto che cosa la sua attuazione implicherebbe per l’equilibrio finanziario del paese e la redistribuzione territoriale delle risorse.

PARTITO DEMOCRATICO

Il programma del Pd non presenta proposte di legge così radicali e dettagliate, ma introduce qualche idea innovativa.

Intanto, prevede una “revisione delle materie del Titolo V” e l’introduzione di una “clausola di supremazia” trasversale alle materie, che tradotto, significa la possibilità per lo Stato centrale di legiferare anche sulle materie regionali, sia pur con “il consenso del Senato”, che dovrebbe diventare un “Senato delle autonomie”. Naturalmente, se la clausola si rivelerà una tagliola per l’autonomia regionale, oppure un semplice principio di coordinamento tra Stato e Regioni, dipende da come verrà implementato, cos’è e qual è il ruolo del Senato delle autonomie, quali procedure per la attivazione della clausola, eccetera. Ma su questo, il programma è silente. Sposa però una particolare interpretazione dell’articolo 119. E prevede che i “2/3 del paese siano liberati dal coinvolgimento dello Stato nel finanziamento delle loro competenze”, che tradotto significa Regioni del Centro Nord autonome e autosufficienti sul piano fiscale, attraverso vere “compartecipazioni dinamiche al gettito dei grandi tributi erariali”, “limitando l’intervento dello Stato alla perequazione dei territori con più basso reddito e (…) svantaggiati nella distribuzione delle risorse pubbliche”.

Si prevedono poi tributi propri per il finanziamento dei servizi pubblici aggiuntivi ai “servizi di base espressamente definiti dalla Costituzione” e garantiti dallo Stato. Insomma, un modello di decentramento costruito, a differenza di quello del centrodestra, sull’attuale Titolo V, ma con un’accentuazione molto forte dell’autonomia finanziaria, e potenzialmente in grado di sostenere un ampio grado di differenziazione territoriale nei servizi.

Bisognerà vedere se davvero si avrà la capacità di attuarlo, visto che su questo le opinioni all’interno del Pd sono assai differenziate.

Ci sono infine due proposte più immediate. La prima è l’estensione a tutte le Regioni del “federalismo infrastrutturale” sperimentato in Lombardia, con la cogestione Stato-Regione delle grandi opere pubbliche. Forse è una buona idea, ma sarebbe stato meglio vedere prima se l’esperimento lombardo funziona davvero. La seconda è la promessa che si elimineranno finalmente le province, laddove si introdurranno le citta metropolitane. Su questo si poteva essere ben più coraggiosi.

(1) Nell’aprile del 2007 la Lombardia ha presentato una proposta di legge, in linea con quanto previsto dell’articolo116 della Costituzione, che prevede la delega di 12 funzioni da parte dello Stato alla Regione. Si tratta tuttavia di funzioni legislative (ambiente, beni culturali, i giudici di pace eccetera) con effetti finanziari minimi e certo non in grado di giustificare da sé una tale devoluzione delle risorse.

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