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Categoria: Giustizia Pagina 18 di 33

UN’OPERAZIONE DI SINERGIA

Operazione di sinergia: così è stata battezzato un progetto che ha messo insieme la finanza di un gruppo aziendale con il know-how di un altro, entrambi in amministrazione giudiziaria. L’operazione smentisce quanti diffondono il falso messaggio secondo cui le imprese in amministrazione giudiziaria sono destinate al fallimento. Ma se il salvataggio deve costituire il principio fondante della loro gestione, ciò può avvenire solo a condizione che siano amministrate con oculatezza e capacità, in completa autonomia e discontinuità con le pregresse gestioni illecite.

LA ‘NDRANGHETA AL NORD C’È

La sentenza del tribunale di Milano conferma il grado di penetrazione della ‘ndrangheta in Lombardia, con un controllo del territorio e una capacità di influenza sulle amministrazioni locali che coinvolge una vasta area della Regione. Omertà e progressivo allentamento del rispetto della legge si nutrono di fenomeni di illegalità debole, spesso diffusi proprio nei settori di penetrazione delle cosche. Si tratta della più importante e pericolosa organizzazione criminale italiana, con un fatturato e disponibilità enormi. La capacità di coordinamento tra le diverse ‘ndrine.

UN’AGENZIA PER UNA GIUSTIZIA EFFICIENTE

Il malfunzionamento della macchina giudiziaria dipende anche da ragioni organizzative e gestionali. E se la magistratura è un ordine autonomo e indipendente, per funzionare ha bisogno di risorse, personale e fondi che arrivano invece dal mistero di Giustizia. La soluzione è affidare l’organizzazione giudiziaria a un’Agenzia ad hoc sotto la vigilanza del ministro. Come già accade negli Stati Uniti e nel Nord Europa. Avrebbe il vantaggio di essere diffusa sul territorio, imparziale rispetto agli uffici giudiziari e con una struttura amministrativa professionale dedicata.

PROCESSI CIVILI PIÙ VELOCI? APPLICHIAMO LE NORME ESISTENTI

Nelle sue ultime Considerazioni finali il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ha denunciato ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, i costi che l’inefficienza della giustizia civile comporta per il nostro paese, penalizzato in primo luogo sotto il profilo della dimensione media e della competitività delle sue imprese.
Si è così riaccesa l’attenzione su alcune proposte da tempo sul tavolo.

LA TARIFFA DEGLI AVVOCATI

Tra le varie proposte, senz’altro interessante è quella di Daniela Marchesi, che prevede di intervenire sulla tariffa professionale degli avvocati, oggi remunerati a prestazione, in mancanza di preventivo diverso accordo tra le parti. Ciò – si dice sostanzialmente – creerebbe in capo agli avvocati un duplice perverso incentivo, a moltiplicare le attività difensive e a non coltivare con convinzione ipotesi di conciliazione volte a prevenire o a concludere in fretta le liti.
L’intervento sulla tariffa forense, si argomenta, sarebbe “il modo più neutro ed efficace di premiare i comportamenti virtuosi”, come provano l’esperienza tedesca e quella dei processi del lavoro in cui il patrocinio è a cura dei sindacati, che per prassi stipulano per i loro legali compensi a forfait. In alternativa, sarebbe necessario “ridurre l’ampio livello di garanzie che il nostro sistema offre a chi va in giudizio”, incidendo sugli incentivi dei magistrati, “che così diverrebbero i veri dominus del processo”.
La proposta ha il merito innegabile di intervenire in modo pragmatico e puntuale in un dibattito spesso viziato da opzioni ideologiche non sempre supportate da analisi adeguate. Ha inoltre il pregio di non richiedere esborsi aggiuntivi per le casse dello Stato. Rischia però di comportare un costo politico molto elevato, passibile com’è di suscitare la decisa reazione della classe forense, che si vedrebbe oltretutto implicitamente accusata di essere “colpevole” delle lentezze della giustizia.

IL DOMINUS DEL PROCESSO

Soprattutto, rischia di risultare inefficace se non accompagnata e anzi preceduta da misure che sono peraltro di adozione molto più semplice e immediata. Il fatto è che nel nostro processo civile i magistrati sono già i “veri dominus” del processo. O meglio dovrebbero esserlo.
Le norme vigenti attribuiscono alle parti (e ai loro avvocati) la semplice facoltà di chiedere, non certo il diritto di determinare, iter processuale, quantità e tipologia delle attività istruttorie da svolgere e degli atti difensivi scritti da depositare, calendario delle udienze, tutte scelte che sono lasciate alla valutazione discrezionale del giudice.
Esaminiamo infatti che cosa accade nel processo di cognizione ordinario.
Salvo che nella fase iniziale, quando il giudice ha l’obbligo (se richiesto dalle parti) di disporre lo scambio di un numero prefissato di memorie, è lui che dovrebbe valutare quali e quante udienze siano necessarie, verificare l’effettiva utilità delle attività istruttorie chieste dalle parti, presiedere alla loro acquisizione con modalità prefissate dalla legge per evitare lungaggini, acconsentire agli eventuali rinvii richiestigli solo se ne ravvisa l’opportunità. (1)
La conclusione a mezzo trattazione scritta della causa, attraverso comparse conclusionali e repliche (le prestazioni professionali che dalla tariffa sono remunerate con i compensi più alti), poi, costituisce solo una eventualità, poiché il processo – la scelta spetta sempre al giudice – ben potrebbe concludersi con una semplice discussione orale, da svolgersi immediatamente al termine dell’istruttoria, discussione che anzi dovrebbe essere la norma nei casi, largamente maggioritari, in cui non è necessario esaminare sofisticate questioni di diritto o complessi materiali probatori. (2)
Il codice infine affida da sempre al giudice leve potenzialmente molto incisive per sanzionare l’abuso dello strumento processuale, non solo attribuendogli il compito di condannare al rimborso delle spese di giudizio la parte soccombente, ma anche consentendogli di condannare al risarcimento dei danni arrecati alla controparte chi ha proposto l’azione o vi ha resistito con malafede, sebbene il loro utilizzo sia stato storicamente così timido e inefficace che recentemente è stato necessario rafforzarne la forza deterrente. (3)
Ed è sempre il giudice a poter svolgere in ogni momento un tentativo di conciliazione obbligatorio, che – ove non vissuto come una mera formalità – potrebbe avere un rilevante effetto deflattivo.

TRIBUNALI ESEMPLARI

Il problema è che il diritto vivente ha visto sinora una progressiva disapplicazione di molte delle norme ora ricordate, via via svuotate del loro spirito originario. Le ragioni sono molte, ma una di esse è certamente l’insufficiente attenzione generalmente posta dall’amministrazione della giustizia ad aspetti di efficienza gestionale e di corretto disegno degli incentivi a chi ha effettivamente in mano le leve del processo civile, che continua a essere il giudice.
Non a caso, nelle sedi giudiziarie in cui – per iniziativa dei singoli presidenti di tribunale – ci si è concentrati sulla corretta ed efficace applicazione della legge con interventi di micro organizzazione, si sono ottenuti risultati tangibili in termini di diminuzione della durata media dei processi e di smaltimento dell’arretrato. (4) Su questo punto, che già si è evidenziato in passato e su cui sono tornati Decio Coviello, Andrea Ichino e Nicola Persico, la cronaca anche in questi giorni registra un fiorire di prassi virtuose a livello locale, che tuttavia non trovano il riscontro che meritano da parte del ministero della Giustizia. (5)
A fronte di tutto ciò, non esiste nessuna prova che la rimodulazione della tariffa forense, tra l’altro ormai di applicazione residuale, possa avere effetti concreti. (6) Tralasciando quanto avviene in Germania, si deve osservare che l’esempio di quanto avviene nelle sezioni lavoro non è decisivo, ma potrebbe anzi essere la prova del contrario, posto che là è la legge – che come visto nel rito ordinario consente al giudice ampia discrezionalità nell’accogliere le richieste delle parti – a imporre un procedimento molto più scarno, e d’altra parte in quella sede la maggiore specializzazione di ciascun attore e l’uniformità delle questioni che vi vengono trattate forniscono alle parti indicazioni chiare sul possibile esito della causa sin dalle prime battute, incentivando concretamente la ricerca di soluzioni concordate alle controversie.
Insomma, molto si può fare non solo senza chiedere un centesimo ai cittadini, ma anche godendo dei risultati di soluzioni già sperimentate a livello locale. Generalizzate queste a livello nazionale, ben vengano poi misure che ne rafforzino l’impatto, come la revisione delle tariffe legali.

(1) Sulle memorie si veda il disposto dell’art. 183, comma 6, cpc. Per il resto, spetta al giudice valutare se i mezzi di prova richiesti dalle parti siano “ammissibili e rilevanti” (art. 183, comma 6, cpc); in ogni momento il giudice può sospendere l’istruttoria e invitare le parti alla discussione finale, se ritiene che la causa sia matura per la decisione (art. 187, comma 1, e 281-sexies cpc); per limitarsi alla prova orale, il giudice deve ammettere la relativa testimonianza se richiesta dalla parte “mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata” (art. 244 cpc); il giudice deve poi limitarsi a chiedere al teste se sia vera o meno la circostanza di fatto che questi è chiamato a confermare (art. 253 cpc), impedendogli divagazioni e valutazioni personali. Il rinvio dell’udienza per consentire, ad esempio, che si coltivi un’ipotesi conciliativa è una mera facoltà del giudice, quand’anche gli sia richiesta concordemente dalle parti, neppure contemplata dal codice di rito, che consente la sola “sospensione su istanza delle parti” (art. 296); anche in questo caso spetta al giudice valutare se sussistono “giustificati motivi” per accettare la richiesta.
(2) Si veda il già citato art. 281-sexies cpc.
(3) Si vedano rispettivamente gli articoli 91 e 92 per la prima ipotesi, 96 cpc per la seconda. Per le modifiche apportate il riferimento è agli articoli 91, 92 e 96 cpc dalla legge 69/2009.
(4) Il case study continua a essere quello del Tribunale di Torino.
(5) Rispettivamente, Decio Coviello, Andrea Ichino e Nicola Persico “Giudici in affanno”, 2009. E L. Mancini, “Il processo? Lo accorcia il Tribunale”, Il Sole 24 Ore, 14/6/2011, p. 21, dove si dà conto della “creatività” delle singole sedi giudiziarie nell’ideare e implementare prassi virtuose, che tuttavia faticano a trovare supporto da parte dell’autorità responsabile della funzionalità della “macchina giudiziaria”, il ministero della Giustizia.
(6) Sin dal 2006 è venuto meno il valore vincolante della tariffa; trova oggi applicazione solo ove cliente e avvocato non abbiano pattuito il corrispettivo preventivamente.

IL BUON ESEMPIO DELLA CONCILIAZIONE *

L’Italia è ferma all’ottantesimo posto nella classifica Doing Business, punto di riferimento degli investitori internazionali. Colpa soprattutto dei tempi lunghissimi nel recupero dei crediti per via giudiziale. Per migliorare la competitività del sistema paese e guadagnare posizioni occorrono riforme dagli effetti immediati. Come la conciliazione, che punta a ridurre drasticamente i tempi della giustizia civile, a costo zero per lo Stato. I risultati nei primi tre mesi di mediazione obbligatoria sono molto incoraggianti.

IL COSTO SALATO DELLA GIUSTIZIA CIVILE LENTA

Il governatore della Banca d’Italia attribuisce alla lunghezza dei processi civili la perdita di un punto di Pil per l’economia italiana. Una giustizia lenta rende più difficoltoso ottenere il credito bancario e deprime il livello degli investimenti. Ma soprattutto spinge sistema economico e imprese ad adottare comportamenti, scelte, strutture aziendali volti a minimizzare il rischio di incorrere in giudizio. E il risultato è una forte perdita di competitività. Il compenso a forfait per gli avvocati è il modo più neutro ed efficace di premiare i comportamenti corretti.

ECCO DOVE IL CRIMINE FA BUONI AFFARI *

Il crimine organizzato affligge solo l’economia del Sud? Secondo uno studio che fa affidamento sulla domanda di denaro contante per i pagamenti, una buona percentuale di affari criminali si conclude nel Centro-Nord. Nonostante i limiti dell’esercizio, i suoi risultati dovrebbero convincerci che l’economia criminale è una vera e propria questione nazionale. Forse i centri decisionali restano legati alle realtà meridionali, ma le attività criminali sembrano facilmente esportabili in altre realtà territoriali.

CRIMINE ORGANIZZATO, UNA ZAVORRA ALLA CRESCITA

La presenza pervasiva del crimine organizzato in alcune regioni meridionali è storicamente consolidata, fino a diffondersi negli ultimi anni anche nelle aree più sviluppate. Con importanti conseguenze sullo sviluppo economico ed effetti di contaminazione tra attività lecite e illecite, attraverso il riciclaggio e il reinvestimento dei proventi delle imprese criminali. Si falsa così il gioco concorrenziale e il costo della legalità mette fuori mercato le aziende tradizionali. Sabato 28 l’autore discute questo tema a Napoli in una giornata organizzata in anticipazione del Festival dell’Economia di Trento.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Ringraziamo tutti per gli utili commenti ad una riflessione di due economisti che, lo ripetiamo, resta confinata all’ambito dell’analisi economica del diritto. Ad essa vanno certo affiancate altre considerazioni, di diversa natura.

Noi ci siamo limitati, come dice Giorgio Zanarone, ad una lettura neutra, a leggere cioé la norma e ad analizzarne gli effetti in termini di incentivi, indipendentemente da ogni pur meritevole considerazione di altro genere. Opportunamente, Federico Grillo Pasquarelli traduce per noi in cifre i processi eliminati dalla norma, una volta approvata, secondo i dati forniti dal Ministro Alfano: quel trascurabile 0,05% dei processi interessati dalla norma comporterebbe circa 6000 o 7000 processi che muoiono d’un tratto. Un numero impressionante, se pensiamo alle altrettante presunte vittime che aspettano giustizia. Qualche imputato ne avrà un beneficio, ma si tratta certamente di un “peggioramento paretiano”.

Il punto che invece abbiamo voluto sottolineare é che, secondo l’approccio di analisi economica del diritto, tra le motivazioni che spingono a commettere un illecito o un reato vi è il confronto tra benefici attuali privati e costi attesi privati. Questi ultimi derivano dal valore della sanzione (monetaria e/o non monetaria) moltiplicata per la probabilità di essere scoperti e condannati, se colpevoli. La prescrizione dei tempi processuali evidentemente riduce questa probabilità. Ci sono, in genere, ottime motivazioni sociali per questo e la letteratura che citiamo le evidenzia. Si contemperano due esigenze: quelle della vittima e quelle dell’imputato. Un cittadino che non ha commesso il reato, ad esempio, viene liberato da un peso ingiusto, a meno che non preferisca usare il processo per dimostrare compiutamente la propria innocenza. Ci rendiamo conto che è una visione particolare, quella appunto dell’analisi economica al diritto, e ha certamente ragione Federico Grillo Pasquarelli quando evidenzia che altre motivazioni possono manifestarsi.

Nel nostro schema, ciò che difficilmente trova una spiegazione razionale in termini di policy è il diverso trattamento dei tempi di prescrizione, tra incensurati e non, che la nuova norma introduce. La prescrizione viene cioè modulata non in funzione dei reati, ma dei rei. E’ qui il vulnus, anche economico. Perché è vero che tra gli incensurati vi possono essere innocenti (come evidenziato da Francesco Saverio Salonia), ma vi saranno anche i colpevoli, cioè persone che effettivamente hanno commesso l’illecito o il reato per il quale sono imputati. Al tempo stesso tra i recidivi sotto processo, vi potranno essere innocenti. Il punto che abbiamo voluto evidenziare è che trattare diversamente, ai fini della prescrizione, non già i diversi reati ma i diversi rei può generare effetti perversi. Perché la quota di coloro che hanno commesso reati e che non sono stati (ancora) condannati potrà aumentare in quanto per questi soggetti la sanzione attesa diminuirà. Per via di questo meccanismo, la norma novellata ridurrà la deterrenza. Non abbiamo assunto pertanto, come osservato da Francesco Saverio Salonia, che tutti gli imputati abbiano effettivamente commesso il reato, abbiamo solo convenuto che tra questi, coloro che sono colpevoli ma incensurati avranno ridotti incentivi a rispettare la legge. Non bisogna confondere il piano dell’errore giudiziario post-sentenza (innocenti giudicati colpevoli), con il piano dell’accertamento pre-sentenza (colpevoli prescritti in quanto incensurati).

E’ vero, come rilevato da Matteo Villa, che a seguito di questa norma si potranno generare nuovi (convergenti?) equilibri, ma il nostro ragionamento vale per ogni “nuova” generazione di rei e dunque è altamente probabile, nel nostro schema logico che i reati incrementino a seguito della riduzione di deterrenza generata da una riduzione della prescrizione, anche se per la sola popolazione di incensurati.

Nella nostra lettura abbiamo ovviamente “assunto”, come dice Raffaello Morelli, che a fronte di un processo vi sia un illecito o un reato. Cioè un fatto contrario alla legge. E che quindi qualcuno quel fatto lo abbia commesso, ovvero che vi “debba” essere un colpevole che possa o meno essere poi coinvolto in un processo. E’ certamente vero, come suggerisce Morelli, che questa prassi dell’approccio economico al diritto si possa scontrare con l’idea, giuridicamente vincolante, che è unicamente il processo a stabilire tanto l’esistenza di un reato quanto l’eventuale colpevolezza. Se questo è vero, a maggior ragione però occorrerebbe evitare di intervenire prima del processo, trattando diversamente rei e incensurati, in quanto si utilizzerebbe una verità non processuale “prima” che siano accertati fatti, reati e rei. Peraltro, il piano dell’analisi economica del diritto, per la parte che qui rileva, si basa sulla deterrenza ovvero sugli incentivi a commettere o meno un illecito o un reato in funzione delle regole previste. Dunque il modo in cui “funziona” un processo, nonché il sistema di controlli che lo attiva, influenzano gli incentivi a commettere o meno reati, ceteris paribus. Le conseguenze logiche dell’osservazione di Morelli ci paiono, invece, alquanto estreme, se non paradossali.

Marco Pierini e Giorgio Zanarone evidenziano come il problema della giustizia italiana sia dato da un lato dalla inefficiente macchina amministrativa e dall’altro dai lunghi tempi dei processi. E’ su quel piano che occorrerebbe intervenire. Non già eliminando il processo, con incentivi perversi ai rei. ma garantendone il suo svolgimento in tempi accettabili, con incentivi opportuni a tutti gli attori, giudici e avvocati. Magari depurando le opportune esigenze garantiste dal crescente opportunismo da “azzeccagarbugli” volto ad allungare i processi per ottenere la prescrizione dei reati.

DEI DELITTI E DELLE PENE. E DELLE PRESCRIZIONI

La norma sulla prescrizione breve sposta la distinzione tra recidivi e chi viola la legge occasionalmente dal momento della decisione della pena a quello dell’accertamento dell’illecito, riducendo la possibilità di condanna per i criminali incensurati. Non serve a combattere il recidivismo né a introdurre un garantismo efficace. Se nel lungo periodo produrrà un numero inferiore di condannati, ciò non sarà la virtuosa conseguenza di una riduzione delle recidive, quanto il risultato di una minore probabilità di punire chi ha commesso un reato, ma non ha precedenti penali.

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