La manovra correttiva appena approvata cancella la riduzione del 50 per cento dell’aliquota fiscale finora prevista per le fondazioni bancarie perché enti non a fini di lucro. I benefici per il bilancio dello Stato saranno relativamente modesti e soggetti a un probabile contenzioso. Possono essere consistenti invece gli effetti sulle risorse disponibili per servizi e interventi vari garantiti dal settore privato non profit. Non sarebbe meglio incentivare, anziché comprimere, il ruolo delle fondazioni nel traballante welfare mix italiano?
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Anche se i suoi sostenitori sembrano diminuire di giorno in giorno, il disegno di legge per la tutela del risparmio resta necessario e urgente e deve affrontare correttamente tre questioni per raggiungere i suoi obiettivi: equilibrio negli interventi per rimediare ai fallimenti del sistema dei controlli, riordino delle funzioni di vigilanza sui mercati per linee funzionali, indipendenza delle autorità preposte ai controlli. Un comitato ristretto per redigere rapidamente una versione finale sarebbe garanzia di solidità e qualità giuridica in materie così delicate
Il Governo italiano torna sui suoi passi sulla disciplina delle false comunicazioni sociali. La normativa ora in vigore prevede infatti che non sia comunque punibile una sopravvalutazione o una sottovalutazione dellÂ’utile lordo di esercizio di unÂ’impresa se di importo inferiore al 5 per cento. Ma così si introduce un rischio aggiuntivo per i potenziali investitori. Per compensarlo, questi richiedono un rendimento maggiore per i capitali impiegati. E in un’economia aperta, gli investimenti possono anche dirigersi su imprese di altri paesi.
Un regime di regolamentazione del risparmio dovrebbe essere coerente con il sistema che si intende controllare. Nel caso italiano sono quindi tre le opzioni di intervento: la revisione del nuovo diritto societario, la divaricazione degl’interessi tra amministratori e proprietari e organi di controllo e l’inasprimento delle sanzioni. Solo lÂ’ultimo, però, è rapidamente attuabile. Non serve invece la definizione di nuovi reati, soprattutto se ricordano troppo le grida manzoniane.
Riproponiamo ai lettori de lavoce.info questo articolo di analisi dei motivi che rendono troppo lunghe le cause civili, aggiornato dopo il varo del disegno di legge delega di riforma del processo civile. Un progetto che non interviene sulla questione principale, gli onorari degli avvocati. Oggi sono legati al numero delle attività svolte nel corso della causa e senza una loro forfaittizzazione non vi sarà alcuna riduzione dei tempi dei processi. Penalizzando ancora la parte che ha ragione.
Il mantenimento di una fase di appello dalla portata tanto ampia in un sistema accusatorio è frutto di una opzione politica dagli effetti dirompenti. Un generalizzato processo di appello come riesame del fatto, infatti, non è più una esigenza del nostro sistema processuale. Determina però un aumento medio della durata dei processi di almeno tre anni. Si dovrebbe perciò pensare a una riforma del sistema delle impugnazioni. Anche perché un giudizio in tempi eccessivamente lunghi contribuisce a impoverire la democrazia.
Le norme a tutela del risparmio sembrano dettate dall’improvvisazione mentre il diritto penale dell’economia è un campo che esige una attenta razionalità nelle scelte e un bilanciamento accorto tra ragionevolezza dei vincoli ed efficienza. La doppia penalizzazione, amministrativa e penale, contraddice il principio di specialità . Mentre il reato di nocumento del risparmio vivrà solo nella teoria perché richiede eventi enormi e difficili da imputare. E la responsabilità penale per un “evento non voluto” è del tutto estranea al nostro ordinamento.
In Inghilterra e negli Stati Uniti le impugnazioni di una sentenza di primo grado sono molto rare. Perché il ricorso in appello non è consentito per i patteggiamenti. Mentre nelle sentenze seguite a un dibattimento è sconsigliato spesso dagli stessi difensori in virtù del fatto che la condanna di primo grado è immediatamente esecutiva e che la pena comminata potrebbe essere più grave. Anche quando vi si fa ricorso, è per porre rimedio a errori che abbiano privato l’imputato della possibilità di assoluzione, non per riesaminare in toto il giudizio di primo grado.
Il disegno di legge governativo sulla riforma delle autorità di vigilanza finanziaria è debole perché frutto di molte mediazioni tra posizioni diverse. Il principio della ripartizione per finalità è solo affermato, ma non realizzato fino in fondo. Sulla corporate governance non dice quasi nulla. Sanzioni e risarcimenti corrono sul filo del paradosso. Dovrà quindi essere il Parlamento a dare al provvedimento la necessaria razionalità e coerenza.
Anche la Consob ha qualche responsabilità nella vicenda Parmalat. Più in generale, interpreta in forma troppo notarile l’attività di vigilanza sulle società quotate e sui revisori. Al di là dei limiti imposti finora dalle norme, restano decisamente insufficienti i controlli che precedono la quotazione delle imprese, addirittura inferiori a quelli svolti nelle transazioni tra privati. Perché possa trasformarsi in un temibile ufficio ispettivo non basta una legge, serve piuttosto un radicale cambio di mentalità .