Riproponiamo ai lettori de lavoce.info questo articolo di analisi dei motivi che rendono troppo lunghe le cause civili, aggiornato dopo il varo del disegno di legge delega di riforma del processo civile. Un progetto che non interviene sulla questione principale, gli onorari degli avvocati. Oggi sono legati al numero delle attività svolte nel corso della causa e senza una loro forfaittizzazione non vi sarà alcuna riduzione dei tempi dei processi. Penalizzando ancora la parte che ha ragione.
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Il mantenimento di una fase di appello dalla portata tanto ampia in un sistema accusatorio è frutto di una opzione politica dagli effetti dirompenti. Un generalizzato processo di appello come riesame del fatto, infatti, non è più una esigenza del nostro sistema processuale. Determina però un aumento medio della durata dei processi di almeno tre anni. Si dovrebbe perciò pensare a una riforma del sistema delle impugnazioni. Anche perché un giudizio in tempi eccessivamente lunghi contribuisce a impoverire la democrazia.
Le norme a tutela del risparmio sembrano dettate dall’improvvisazione mentre il diritto penale dell’economia è un campo che esige una attenta razionalità nelle scelte e un bilanciamento accorto tra ragionevolezza dei vincoli ed efficienza. La doppia penalizzazione, amministrativa e penale, contraddice il principio di specialità . Mentre il reato di nocumento del risparmio vivrà solo nella teoria perché richiede eventi enormi e difficili da imputare. E la responsabilità penale per un “evento non voluto” è del tutto estranea al nostro ordinamento.
In Inghilterra e negli Stati Uniti le impugnazioni di una sentenza di primo grado sono molto rare. Perché il ricorso in appello non è consentito per i patteggiamenti. Mentre nelle sentenze seguite a un dibattimento è sconsigliato spesso dagli stessi difensori in virtù del fatto che la condanna di primo grado è immediatamente esecutiva e che la pena comminata potrebbe essere più grave. Anche quando vi si fa ricorso, è per porre rimedio a errori che abbiano privato l’imputato della possibilità di assoluzione, non per riesaminare in toto il giudizio di primo grado.
Il disegno di legge governativo sulla riforma delle autorità di vigilanza finanziaria è debole perché frutto di molte mediazioni tra posizioni diverse. Il principio della ripartizione per finalità è solo affermato, ma non realizzato fino in fondo. Sulla corporate governance non dice quasi nulla. Sanzioni e risarcimenti corrono sul filo del paradosso. Dovrà quindi essere il Parlamento a dare al provvedimento la necessaria razionalità e coerenza.
Anche la Consob ha qualche responsabilità nella vicenda Parmalat. Più in generale, interpreta in forma troppo notarile l’attività di vigilanza sulle società quotate e sui revisori. Al di là dei limiti imposti finora dalle norme, restano decisamente insufficienti i controlli che precedono la quotazione delle imprese, addirittura inferiori a quelli svolti nelle transazioni tra privati. Perché possa trasformarsi in un temibile ufficio ispettivo non basta una legge, serve piuttosto un radicale cambio di mentalità .
La parte più deludente del progetto di legge sulla tutela del risparmio è quella relativa alla riorganizzazione della vigilanza. C’è il desiderio di recuperare al controllo governativo un terreno che dovrebbe invece rimanere di esclusiva pertinenza delle Autorità . E per evitare che queste agiscano con logiche autoreferenziali è necessario definirne con precisione competenze e poteri, riducendo gli spazi di discrezionalità . Occorrono interventi coraggiosi sulla Consob, ma anche sulla Banca d’Italia, per rendere più trasparenti le strutture di governance e i processi decisionali.
Il disegno di legge del Governo sembra prevedere per i fondi pensione una vigilanza per tipologia di intermediari. Ma è una scelta dubbia. Sempre più il fondo pensione assume la veste di organizzazione istituzionale degli interessi dei propri aderenti. E dunque ha nelle banche e nelle assicurazioni una controparte. L’affidamento della tutela della sua stabilità patrimoniale allo stesso organismo che vigila su quella degli intermediari finanziari produrrebbe un singolare conflitto di interessi.
I crimini commessi da organizzazioni richiedono il coinvolgimento di più persone. È un elemento di debolezza che può essere sfruttato per perseguire i comportamenti illeciti. Come insegna lÂ’esperienza delle autorità antitrust, gli sconti nelle sanzioni o i premi per chi denuncia lÂ’attività illegale non devono sostituirsi alle indagini. Si rivelano infatti incentivi più efficaci se lÂ’inchiesta è già avviata. Ed è cruciale sviluppare la capacità di verifica sulle rivelazioni. Indispensabile, poi, una cultura della legalità , per affiancare alla sanzione della legge quella sociale. Riproponiamo per i lettori de lavoce anche gli interventi di Vincenzo Ferrante, Vincenzo Perrone e Luigi Zingales sull’opportunità di premiare chi denuncia illeciti.
I problemi posti dall’intreccio tra istituti di credito e imprese riguardano essenzialmente la possibilità di un eccessivo trasferimento del rischio finanziario sugli investitori. Ma le misure di riforma fin qui ipotizzate non sembrano cogliere appieno l’essenza del problema, mentre introducono distorsioni alle scelte del mercato. Andrebbe invece rafforzata la concorrenza nel settore del credito, migliorata la trasparenza sulle attività di finanziamento e introdotto il divieto di vendita al pubblico per un determinato periodo di tempo di titoli collocati a investitori professionali.