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Categoria: Immigrazione Pagina 30 di 41

LA BADANTE ALLA FRANCESE *

In Italia l’assistenza pubblica agli anziani è insufficiente. Se ne fa carico la famiglia, spesso ricorrendo alle assistenti familiari. Che sono per lo più straniere e dunque soggette a decreti flussi di dubbia efficacia e a sanatorie varie. Risultato: molti rapporti di lavoro solo formalmente in regola e tanti accordi in nero. Eppure, in Francia con la metà dei soldi spesi nel nostro paese si è creato un sistema integrato, che garantisce un collegamento stabile tra le assistenti e i servizi sul territorio, superando i limiti del rapporto individuale tra anziano e badante.

IL LAVORO DEGLI STRANIERI IN TEMPO DI CRISI *

La crisi economica mondiale ha avuto effetti importanti sulle migrazioni internazionali. Perché la forza lavoro straniera risulta più sensibile al ciclo economico e quindi più penalizzata nelle fasi di recessione. E in Italia? Il forte peggioramento della situazione occupazionale, con una crescita della disoccupazione e una maggior difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro riguarda nello stesso modo lavoratori italiani e stranieri. Sostanzialmente inalterati gli svantaggi di fondo che caratterizzano la condizione degli immigrati nel nostro mercato del lavoro.

RIFUGIATI TRA LAMPEDUSA E BRUXELLES *

La recente ondata di rifugiati dal Nord Africa ha creato divisioni all’interno dell’Unione Europea, tra gli stati in prima linea nell’affrontare il problema e quelli che non sono direttamente coinvolti. Manca infatti un meccanismo che permetta di suddividere tra i vari paesi il peso di un afflusso improvviso di migranti. Eppure dalla crisi in Kosovo a oggi, l’Europa ha fatto dei passi avanti. È questo uno dei temi di cui si discuterà a Trento nelle giornate del Festival dell’Economia, a cui parteciperà anche l’autore di questo articolo.

L’ATTACCO SUICIDA A SCHENGEN

Berlusconi sotto dettatura di Sarkozy sottoscrive una lettera in cui si chiede alla Commissione europea di sospendere gli accordi di Schengen di fronte a casi come quello degli sbarchi su Lampedusa. È una scelta sbagliata per l’Europa e suicida per il nostro paese. È infatti una breccia che mina il processo di integrazione europea e riduce ulteriormente la mobilità del lavoro nel Vecchio Continente. Non servirà affatto a gestire crisi come quella di Lampedusa. Anzi, le renderà ancora più gravi perché impedisce che gli immigrati vadano là dove c’è più lavoro per loro.

QUELLE PAROLE IN LIBERTÀ SUI MIGRANTI

Dal Nord Africa sono arrivate finora in Italia circa 30mila persone, non certo lo tsunami umano di cui parla il presidente del Consiglio. Dopo aver rifiutato di ratificare tre direttive europee sull’immigrazione, ora invochiamo, a sproposito, la libera circolazione per i migranti cui abbiamo concesso la più debole delle figure giuridiche della protezione internazionale. Tutti i paesi europei hanno irrigidito le procedure per l’ingresso, ma hanno accolto masse di rifugiati ben più consistenti. Invece di autoisolarci, dovremmo cercare di costruire soluzioni condivise a livello europeo.

GIÙ AL NORD

E così la Lega dei Ticinesi è il primo partito del Cantone, con un balzo di 8 punti e una campagna elettorale concentrata sul contrasto ai transfrontalieri italiani ("i ratti" nel nobile frasario utilizzato), rei di rubare il lavoro agli autoctoni. Una notizia che fa il paio con le cronache di questi giorni dedicate alla rigida politica di contenimento dei passaggi attuata dal governo francese al valico di Ventimiglia per fermare il flusso di migranti tunisini diretti oltralpe. Come dire, una replica in salsa francese del "fora di ball" incautamente pronunciato da Umberto Bossi sulle scogliere di Lampedusa.
Insomma, sembra proprio che questi episodi segnalino un tema comune, che dalla banalità della geografia suggerisce una saggia cautela alla politica: a parte le calotte artiche, c’è sempre qualcuno più a nord di te. E costruire una identità e una politica sulla propria “norditudine” ti espone alla immediata ritorsione di chi, appresa la lezione, ha il vantaggio di stare qualche parallelo più a nord.

EMERGENZA UMANITARIA TRA IPOCRISIE E REALTÀ

Un paese di 60 milioni di abitanti, con il 12 per cento della popolazione europea, collocato nel cuore del Mediterraneo, può davvero pensare di non fare i conti con il fenomeno dei richiedenti asilo? Ma è tutto il sistema dell’accoglienza che non funziona e che necessita di una legge organica, con una chiara ripartizione di competenze tra centro e periferia, un coinvolgimento degli enti di tutela e una programmazione degli interventi. Quanto alle risorse, basta ricordare che l’accordo Italia-Libia costa 250 milioni di dollari l’anno, per venti anni.

TRE PAROLE SU LAMPEDUSA

La crisi nordafricana bussa alle porte dell’Europa. E a quelle dell’Italia in particolare, con il ministro Maroni che prevede l’arrivo di 80mila migranti. Mentre nelle cronache risuonano tre parole: clandestini, emergenza, Europa. Utilizzate a sproposito, come spesso accade. Perché ancora una volta messaggi propagandistici, speculazione politica, impreparazione voluta e retorica dell’emergenza prendono il posto di politiche serie e lungimiranti. Nel breve periodo, rendono di più.

PRIMA GLI EUROPEI *

Condivido le considerazioni di Maurizio Ambrosini sui “click-day” che si sono svolti questa settimana. Come sempre i numeri sono altissimi, ma ben poco hanno a che vedere con le reali condizioni del mercato del lavoro, poiché si tratta in gran parte di ricongiungimenti familiari. Speriamo si possa riformare al più presto l’intero meccanismo dei flussi. Ancora una volta però il decreto flussi (deciso unilateralmente dal governo) non è collegato a una organica politica di accoglienza e integrazione sul territorio. Ciò è destinato a riaprire l’annosa polemica sull’accesso degli immigrati ai servizi di welfare, soprattutto nelle regioni settentrionali.
Nelle fasi di crisi economica come l’attuale è comprensibile che si formino nell’opinione pubblica tendenze volte a limitare per gli immigrati l’accesso ad alcuni servizi di welfare. Nel nostro paese hanno trovato un’applicazione politico-amministrativa sia a livello nazionale, sia soprattutto a livello locale.
Sono impostazioni coerenti con la normativa europea? E si può parlare di una loro sostanziale efficacia rispetto alle tendenze di lungo periodo che si manifestano all’interno del fenomeno migratorio?

LA STAGIONE DELLE ORDINANZE

Negli ultimi anni, e in particolare dall’estate 2008, dopo l’entrata in vigore della legge n. 125, 24 luglio 2008, che aveva convertito il decreto legge n. 92 del 23 maggio (il cosiddetto "pacchetto sicurezza") si sono succedute alcune centinaia di ordinanze di sindaci di comuni settentrionali, volte a contrastare le fasce più povere dell’immigrazione e successivamente, a ostacolare l’accesso ai servizi e a varie forme di sostegno economico per la maggioranza degli immigrati.
Marco Revelli, nel suo ultimo libro "Poveri, noi" (Einaudi 2010), ne ha ricordate alcune, accuratamente censite dall’Associazione nazionale dei comuni italiani: 788 ordinanze emanate tra l’estate 2008 e quella 2009, per 445 Ccomuni coinvolti, prevalentemente concentrati in Lombardia, Veneto e Friuli, ma con emuli anche in Emilia-Romagna e altrove.
Si va dall’ordinanza "anti-sbandati" del comune di Cittadella (Pd) al "bonus-bebé" riservato a famiglie italiane di Brescia, Latisana (Ud), Palazzago (Bg) e altri; dalla legge della Regione Lombardia sui "phone center" a quella della Regione Friuli sul dialetto nelle scuole; fino all’ordinanza del comune di Rovato (Bs) sulla tutela dei luoghi di culto e a partire dai decreti del presidente del Consiglio del maggio 2008 sulle impronte digitali per i bambini rom.
In generale, i mezzi di informazione hanno dato ampio risalto a questo tipo di provvedimenti all’atto della loro emanazione (o addirittura del loro annuncio politico), senza però seguirne l’iter o monitorarne i risultati. In realtà molti dei provvedimenti sono già stati abrogati dai Tar, dalla Corte di Cassazione o dalla Corte Costituzionale (ad esempio tutti quelli citati in precedenza).
Numerosi ricorsi sono stati presentati e vinti dagli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e la maggioranza delle ordinanze sopravvive solo in assenza di ricorsi, nei numerosi piccoli comuni che le hanno emanate.
Casi di magistratura orientata politicamente? Non proprio.

UN DIBATTITO MONDIALE

Il dibattito sull’accesso degli immigrati al welfare è antico quanto l’immigrazione nel mondo e antesignana sul tema può essere considerata la "Proposition 187" dello stato della California che riguardava addirittura l’accesso a determinati servizi degli immigrati clandestini, soprattutto minori. Confermata da un ampio consenso popolare (60 per cento) nel referendum del novembre 1994, dopo innumerevoli ricorsi e contro-ricorsi fu definitivamente abbandonata nel 1999, man mano che i "latinos" messicani acquisivano il diritto di voto.
Naturalmente, anche in Europa, dalla Gran Bretagna alla Francia, fino alla Germania (dove l’estate scorsa il libro di Thilo Sarrazin "Deutschland schafft sich ab" – la Germania si distrugge da sé – è stato accolto da forti polemiche) il dibattito su questi temi è sempre stato particolarmente aspro e l’Italia vi giunge buon’ultima. Come sempre, il confine tra diritti e discriminazione non è così chiaro e le norme europee e nazionali non vanno confuse con il consenso politico che in maggioranza è ancora orientato verso la discriminazione; non a caso uno slogan come "prima gli italiani" può essere considerato come uno dei più popolari nella discussione politica nostrana degli ultimi anni. Si può rileggere su questo sito il dibattito tra Tito Boeri e Hans Werner Sinn in vista del primo allargamento a Est dell’Unione Europea.
Non a caso, ad esempio, la quota degli immigrati residenti nelle case popolari in Lombardia e Veneto non è diversa da quella registrata in Emilia-Romagna o in Toscana. Quel che si vuole sottolineare in questa sede è che i contenuti delle ordinanze comunali si sono scontrati con una evoluzione del fenomeno migratorio nel nostro paese che sembra testimoniare un avanzamento del processo di integrazione o quantomeno di stabilizzazione e che vanno nella direzione opposta a quella dei "lavoratori ospiti" che forse era auspicata dal legislatore della "Bossi-Fini" e del "pacchetto-sicurezza", tendente a incoraggiare la cosiddetta immigrazione circolare.

CITTADINI CON PARI DIRITTI (E DOVERI)

L’immigrazione nell’Italia del 2011 è profondamente diversa da quella di dieci anni prima: in particolare, sono cresciute due tipologie di immigrati tutelate dalla direttiva europea 109/2003, che garantisce loro una sostanziale parità di trattamento rispetto agli autoctoni: i cittadini comunitari e i titolari della carta di soggiorno (o meglio del permesso di soggiorno Ce di lungo periodo).
Il graduale allargamento dell’Unione Europea ha portato i cittadini comunitari residenti in Italia alla cifra ragguardevole di 1.241.368 (dati 2009). I possessori del permesso di soggiorno Ce di lungo periodo sono arrivati (sempre nel 2009) a 1.011.967. Il documento, che si ottiene normalmente dopo cinque anni di residenza in Italia, non necessita più del rinnovo annuale (o biennale) del permesso di soggiorno e può rappresentare una tappa intermedia verso l’eventuale richiesta di cittadinanza italiana dopo ulteriori cinque anni.
Nel 2010 entrambe queste tipologie di immigrati sono ulteriormente cresciute, ma già nel 2009  rappresentavano il 53,2 per cento dei 4.235.059 immigrati allora residenti in Italia. Oltre la metà degli immigrati quindi è già titolare di uno status giuridico forte, che non può essere discriminato nell’accesso ai servizi di welfare, secondo la direttiva europea 109/2003.
Tanto per dare un’idea, gli alloggi popolari in Italia oggi sono poco più di seicentomila.
Si può obiettare che il significato delle ordinanze dei sindaci è da ricercare piuttosto nel facile consenso politico: è vero altresì che il consenso basato sulle mistificazioni, poggia in realtà su basi piuttosto fragili.
La verità è che l’esperienza degli altri paesi ha già dimostrato come sia impraticabile la strada di sbarrare l’accesso ai servizi, dopo che si è fatto entrare un numero rilevante di immigrati. Per il futuro quindi, l’Italia dovrebbe riflettere maggiormente sulle raccomandazioni europee che si muovono in tutt’altra direzione: permettere l’ingresso a un numero di lavoratori stranieri più modesto del passato, ma assicurare a questi piena parità di diritti e doveri rispetto agli autoctoni.

* Regione Emilia-Romagna. Rappresentante delle Regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione.

QUANTA IPOCRISIA IN UN CLICK-DAY

Il decreto flussi non serve all’ingresso in Italia di nuovi lavoratori dall’estero, richiesti nominativamente da imprese e famiglie. Serve a regolarizzare persone già presenti in Italia, ma prive di un permesso di soggiorno che li autorizzi al lavoro. Si riapre anche la possibilità dell’ingresso sotto sponsor, seppure in modo contorto e ipocrita. Ancora una volta, il governo della linea dura si rivela nei fatti incoerente. Meglio sarebbe una politica più trasparente, con la possibilità di convertire il permesso di soggiorno da turistico a lavorativo.

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