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Categoria: Immigrazione Pagina 35 di 41

CHI FA OPINIONE SUGLI IMMIGRATI

Secondo un sondaggio della primavera 2007, il 73 per cento degli italiani ritiene che l’immigrazione abbia un impatto negativo sul paese. Opinioni sulle quali incidono in modo rilevante aspetti sociali e culturali, influenza degli organi di informazione compresa. Ma l’importanza della relazione tra mass media e opinione pubblica non deve offuscare il ruolo giocato da eventi reali, come l’incidenza dell’immigrazione clandestina nelle diverse aree geografiche. Un’analisi che per gli Usa riserva qualche sorpresa. Ma che da noi è impossibile, perché mancano i dati.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Mi sembra ci sia poco da aggiungere.
Ringrazio coloro che sono intervenuti civilmente, dando dimostrazione che si tratta di una questione di grande importanza per il futuro della nostra società.
Mi sembra anche che la maggior parte degli intervenuti siano d’accordo con le posizioni che ho espresso. Qualche precisazione sulle divergenze.

1) La formazione di classi in cui 25 bambini su 30 non parlano italiano è un’esagerazione. Se accadono, le concentrazioni abnormi dipendono:
1) da scelte dei responsabili scolastici;
2) dalla formazione di ghetti urbani (in Italia comunque al momento ancora rari).
La soluzione non sono le classi separate.

2) Costano anche le classi ponte; giacché l’apprendimento dell’italiano in contesti separati sarà più lento, rischiano persino di costare di più delle misure di accompagnamento che propongo, e che in parte sono già in uso. I test di italiano si possono fare, ma come strumenti per dare sostegno didattico, non per istituzionalizzare classi distinte. Penso che forse i test si dovrebbero fare anche per i bambini italiani, allo scopo di dare sostegno a chi ne ha bisogno (senza che sia necessario diagnosticare un handicap).

3) Sbagliato a mio avviso separare l’istruzione dall’integrazione sociale: la scuola deve preparare i futuri
cittadini di una società coesa, dinamica, aperta al futuro. Che non potrà che essere multietnico, al di là delle nostre personali preferenze.

4) A me non risulta che in Germania (stato federale, quindi possono esserci differenze regionali) vi siano classi di inserimento istituzionalmente separate, soprattutto oggi. Sono certo comunque che la tendenza di gran lunga prevalente nel mondo sviluppato non è quella. Anche l’apprendimento delle basi linguistiche può avvenire, e avviene meglio, con altre modalità.

5) Ho un dato nuovo che precisa quanto affermavo nell’articolo (lo devo a Meri Salati, Caritas ambrosiana): in provincia di Milano dieci anni fa c’era un insegnante-facilitatore ogni 50 alunni immigrati; oggi ce n’è uno ogni 500. Di certo le difficoltà saranno maggiori.

6) Mi pare sintonatico che le obiezioni riflettano le posizioni dei giornali filo-governativi, senza riferimento né a esperienze straniere (a parte l’ultimo caso, impreciso), né a opinioni pedagogiche qualificate. Saranno tutti in errore i governi, i responsabili scolastici e i pedagogisti che in Europa e nel mondo hanno scelto altre strade, e sarà più competente in materia l’on. Cota?

CLASSI PONTE? UN’INVENZIONE ITALIANA

Nei paesi avanzati non ci sono precedenti per la scelta di classi separate per i bambini immigrati. Ci sono invece molte esperienze di didattica speciale, volta al rafforzamento delle competenze linguistiche. Nel nostro paese la percezione di un’emergenza educativa è drammatizzata dallo smantellamento delle risorse per fronteggiarla. Il fatto stesso che alcune scuole abbiano investito di più nella didattica interculturale non di rado diventa un pretesto per convogliare solo verso queste gli alunni immigrati. Problemi di merito e metodo della proposta.

IMMIGRAZIONE? NON E’ TUTTO BIANCO O NERO

L’immigrazione è un tema che suscita forti divergenze d’opinione. Per questo è molto usato in campagna elettorale. Alcuni studi sono utili a sfatare diversi miti: ad esempio non è detto che un forte flusso migratorio abbia ricadute su salari e occupazione della popolazione nativa. Altre ricerche aiutano a comprendere la nostra percezione degli immigrati. E illustrano come, in Europa, il dibattito sull’argomento verte soprattutto sugli effetti sociali, mentre, negli Stati Uniti, ci si interessa maggiormente sugli effetti economici.

IL RISCHIO OLTRE IL MARCIAPIEDE

Non è chiara la logica economica del disegno di legge Maroni-Carfagna, ma è abbastanza prevedibile quali saranno i risultati: non una riduzione della prostituzione ma un suo semplice spostamento dalla strada ai luoghi chiusi. La formulazione della norma ignora l’evidenza empirica sui rischi di questa scelta, così come emerge dall’esperienza di altri paesi. Contenere e indirizzare il mercato attraverso strumenti economici piuttosto che affrontarlo con soli strumenti penali darebbe in Italia risultati certamente migliori.

LA RISPOSTA AI COMMENTI

Grazie a tutti i lettori che hanno inoltrato dei commenti, quasi tutti ottimi. Rispondo brevemente, e cumulativamente.

Innanzi tutto, vorrei chiarire che a mio giudizio la decisione della corte europea (che nella mia lettura stigmatizza la discriminazione basata sulla origine etnica) è ottima. Egualmente, non sono necessariamente a favore dei sistemi di quota proprio perché essi, come il dirigente belga, tendono a far dipendere una decisione dall’appartenenza a una categoria (nel caso della ditta belga, la categoria “europei”, e nel caso delle quote rosa la categoria “donne”).
Detto questo, è vero che c’è un limite all’analogia. Mentre gli “europei” sono una categoria “avvantaggiata”, le donne sono viste in certi ambiti come “svantaggiate”. Alcuni commenti hanno segnalato questa importante differenza. La posizione di questi lettori è certamente legittima.
Un lettore chiede se ci siano studi che valutino l’impatto di rimedi di affirmative action. Lo studio che ci va più vicino, a mia conoscenza, è il lavoro del professore di legge Richard Sanders.(1) Io interpreto i dati da lui presentati come evidenza che, almeno nell’ambito delle Law Schools americane, preferenze razziali nelle ammissioni non aiutano a selezionare “gemme nascoste”, ne’ hanno l’effetto di migliorare le performance di coloro che ne beneficiano – almeno nell’arco del periodo di studio preso in esame.
Una lettrice dice che in concorsi con prove anonime le donne ricevono voti relativamente migliori che in concorsi non anonimi. Sarei interessato ad avere questi dati, se esistono in forma sistematica. Per chi è interessato all’argomento, riferisco al classico articolo “Orchestrating Impartiality”, che mostra che, quando I concorsi per orchestrale furono fatti “ciechi” (con il candidato dietro uno schermo), le donne furono assunte più frequentemente che nei concorsi normali.(2)

(1) Si veda per esempio  “A Systemic Analysis of Affirmative  Action in American Law Schools”, disponibile al sito http://www.law.ucla.edu/sander/Systemic/final/SanderFINAL.pdf
(2) “Orchestrating Impartiality: The Impact of "Blind" Auditions on Female Musicians” di Claudia Goldin e Cecilia Rouse The American Economic Review, Vol. 90, No. 4 (Sep., 2000), pp. 715-741   

DISCRIMINAZIONE E CULTURA DEL MERITO

La Corte di Giustizia Europea definisce discriminatorio il comportamento di un’impresa belga che dichiara di non voler assumere extracomunitari. Sentenza ineccepibile sia sul piano del diritto sia su quello dell’efficienza economica. Talvolta, tuttavia, le politiche anti-discriminazione vanno in rotta di collisione con la cultura del merito. Il caso delle quote rosa.

NON PASSA LO STRANIERO

La vera cifra, anche sul piano simbolico e comunicativo, del pacchetto sicurezza è l’accanimento contro lo straniero. In un percorso verso il diritto penale del comportamento che si manifesta appieno nel nuovo reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato. Anche in un confronto superficiale con gli altri paesi d’Europa, si nota che le sanzioni per lo più previste sono pene pecuniarie e sanzioni amministrative. Diverse, dunque, da quelle detentive che il governo italiano intende adottare. E che oltretutto si riveleranno un’arma spuntata per l’impossibilità di applicarle.

RITRATTO D’ITALIA CON IMMIGRATO (*)

Il Rapporto annuale Istat certifica una forte crescita degli stranieri residenti in Italia nel 2007: sono ormai il 5,8 per cento della popolazione. Una bella fetta dell’incremento si deve all’iscrizione alle anagrafi di circa 300mila rumeni. E certo si sviluppano forme di mobilità circolare, con l’alternarsi di periodi di soggiorno nel paese d’emigrazione e in quello di immigrazione. Ma forse dovremmo chiederci se possiamo continuare ad affrontare i nostri tanti problemi strutturali facendo leva quasi esclusivamente sull’immigrazione.

UN PACCHETTO IN CERCA DI CONSENSO

Qual è la realizzabilità e la prevedibile efficacia del pacchetto sicurezza?Il primo problema concerne gli investimenti necessari per strutture, personale, trasporti. E se si vuole lottare effettivamente contro l’immigrazione irregolare, bisogna stroncare la domanda che la alimenta. Ovvero inasprire e rendere effettive le sanzioni contro i datori di lavoro, soprattutto quando si tratta di imprese. Se si tratta invece di abusivismo di necessità, come avviene per molte famiglie, occorre prevedere canali più semplici e rapidi per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

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